Tempo di Lettura: 5 minuti
Stavo navigando qua e la su dei siti, quando mi imbatto nella seguente frase: “Egregio, cosa la perplime?“. Perplimere… mai sentita come parola anche se poi avevo comunque colto il significato che doveva avvicinarsi a “Egregio, cosa la rende perplesso?”. Ma quel perplimere era curioso, affascinante e inspiegabilmente sembrava funzionare meglio. Allora mi documento ed ecco che la solita Accademia della Crusca mi svela l’arcano.
Il verbo perplimere significa “essere perplesso” o “rendere perplesso”, ed è entrato nella nostra lingua in un passato recente, ma con un percorso particolare che ne ha limitato l’ambito d’uso e che ne ha pertanto impedito, almeno per ora, l’ingresso nei vocabolari di lingua italiana (nei quali non è attualmente registrato).
L’impiego del verbo perplimere è dovuto alla prosa creativa del comico Corrado Guzzanti, che lo ha lanciato nei primissimi anni Novanta, nella trasmissione televisiva “Avanzi”. La parola venne inserita in uno dei dialoghi fra il personaggio Rokko Smitherson e Serena Dandini, ed ebbe talmente successo che fu più volte riutilizzata nella trasmissione, con ricchi esempi nella coniugazione (perplimere, perplimo, perplimete, perplèi, perplime[re]) e nelle varianti (perplerre).
Molte furono le parole inventate da Rokko Smitherson (regista romano di “filmaggi de’ paura”), un personaggio che basava la sua comicità satirica proprio sui giochi di parole e su neoconiazioni allusive (sospensionismo, su astensionismo; antiproibizionale, su antiproibizionista; sopravvolare, su sorvolare; cartone animale, su cartone animato; psicoanale, su psicoanalista; ecc.). Fra le molte innovazioni linguistiche perplimere attecchì più facilmente nella lingua comune a causa della sua perfetta adeguatezza morfologica, che tra l’altro colma anche una lacuna lessicale della nostra lingua: il verbo è infatti spontaneamente riconducibile dai parlanti italiani al participio passato perplesso (sulla base di verbi come comprimere / compresso; sopprimere / soppresso, ecc.); e del resto manca in italiano un verbo che renda in modo sintetico l’azione dell’essere o del rendere perplessi, per cui il neologismo si incunea perfettamente nel nostro sistema linguistico.
Probabilmente per questa sua funzionalità nel coprire un vuoto morfologico e semantico (che l’italiano eredita dal latino), sulla scia della trasmissione la parola ebbe una notevole e crescente fortuna, seppure in contesti informali e per lo più in accezione ironica; e, del resto, nonostante l’origine peculiare, perplimere ha resistito a lungo nella nostra lingua, tanto che recentemente se ne è persa anche la sfumatura ironica, come emerge dai quesiti e dalle segnalazioni di neologismo giunti alla nostra redazione.
Ci sono molte parole o frasi che i comici lanciano e rimangono nell’aria per parecchi anni, ripetute da sempre più persone, fino a dimenticarne l’origine (quante espressioni mio padre usava che poi scoprire essere frasi di Carosello o di qualche comico dell’epoca), ma non mi ero mai imbattuto in un neologismo che riesce a coprire un vuoto morfologico e semantico dell’italiano tanto da essere accettato nella lingua italiana, a dimostrazione che la nostra lingua è ancora viva e in continua evoluzione.
Il caso nel corso dell’evoluzione della lingua
Per illustrarvi come la lingua italiana sia in continua evoluzione e che è nella forma attuale, solo per tutta una serie di coincidenze, farò un excursus e vi racconterò di una lezione universitaria sui dialetti che seguii tempo fa.
Nell’Italia antica si parlava il latino, ma il latino parlato era molto diverso da quello letterario oltre ad essere molto diverso regione per regione, poiché i vari popoli sottomessi dai Romani parlavano il latino con elementi fonetici e lessicali propri delle loro lingue originali. Dopo la fine dell’Impero Romano, venendo a mancare un centro politico che diffondesse un modello di lingua uguale per tutti, le differenze tra i vari latini regionali crebbero sempre più, poiché è nella natura delle lingue evolvere spontaneamente. Il risultato fu una grande frammentazione linguistica: così dai latini regionali nacquero i volgari, cioè i dialetti del latino parlati nelle varie città, mentre nella scrittura ancora si continuava ad usare il latino, e questa situazione si potrasse per diversi secoli.
Verso il XIII secolo alcuni autori iniziarono a scrivere versi d’amore nei propri volgari. Il primo volgare usato per la scrittura di versi fu il sicialiano e quindi fu la volta del volgare fiorentino. Ma fu solo grazie alla enorme fama di autori fiorentini come Dante Alighieri, che anche autori non toscani iniziarono a scrivere non più solo in latino, ma anche in fiorentino, fino a farla diventare la lingua dei letterati di tutta Italia, anche se nella vita quotidiana tutti continuavano a parlare solamente i volgari locali (chiamati poi dialetti). La cosa curiosa è che i dialetti italiani che ancora oggi conosciamo e usiamo non sono dall’italiano (che è venuto dopo, poiché è nato da uno di questi dialetti, il fiorentino) ma direttamente dal latino attraverso un processo durato ormai duemila anni. I dialetti nati prima della lingua nazionale (come il napoletano, il genovese, il veneziano, il siciliano, etc) sono, infatti, detti dialetti primari.
Questi dialetti primari hanno continuato ad essere l’unica forma di lingua parlata ancora molti secoli dopo Dante. Per esempio, nell’800, anche se oramai si scriveva solo in italiano e il latino era del tutto sparito dall’uso, tranne che per pochi esperimenti letterari e nella Chiesa, tutti parlavano nella vita quotidiana sempre e solo in dialetto.
L’esempio più significativo è quello di Alessandro Manzoni, autore di opere italiane considerate punto di riferimento fondamentale per la storia della lingua italiana, non parlava italiano perché nessuno lo faceva, tranne naturalmente in Toscana. Infatti, Manzoni era un aristocratico milanese e nella sua vita quotidiana e familiare, alternava il dialetto milanese con la lingua francese, che all’epoca era la lingua dell’aristocrazia. La lingua italiana al di fuori della Toscana era sempre e solo scritta. Sarà solo a partire dal 1860, con l’Unità di Italia, l’istruzione obbligatoria, le migrazioni, le esperienze militari e, successivamente, la diffusione dei media, che gradualmente l’Italiano divenne anche la lingua parlata.
Insomma, se non fosse per autori fiorentini come il sommo Dante, forse oggi l’italiano avrebbe potuto assomigliare molto di più al siciliano (furono per primi gli autori sicialiani a scrivere nel loro volgare) che al fiorentino. Oppure, Manzoni avrebbe potuto scrivere “I Promessi Sposi” in sicialiano, o magari, in milanese o francese!
da non dimenticare anche l’importanza che ha avuto la Televisione, quella con la T maiuscola … per la diffusione dell’Italiano parlato 😉
@gpessia: Si giusto, come dicevo i media, e quindi nello specifico anche la Televisione (ma ancora prima anche la radio), nel bene e nel male, ha avuto il suo ruolo nella diffusione dell’italiano parlato!
Solo ora mi accorgo della citazione 🙂 Grazie per l’erudita spiegazione, non si finisce mai d’imparare!
“Perplimere” mi perplette alquanto
http://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20070708005551AA16kHM