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Dal 2004 il blog di Antonio Troise

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Nov 23 2009

Niiu: il primo quotidiano personalizzato d’Europa

Posted by Antonio Troise
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Niiu In tempi in cui c’è una evidente crisi internazionale della stampa stampata a tutto favore dell’informazione online e di crisi del ruolo del giornalista confrontato continuamente con quello del blogger, c’è anche chi ama azzardare e andare controcorrente puntando tutto sulla pagina scritta, ma lo fa in maniera originale.

La sua redazione è in Germania e la testata giornalistica, nata il 16 ottobre 2009 dall’idea di due studenti berlinesi di 23 e 27 anni, Wanja Soren Oberhof e Hendrik Tiedemanne, si chiama Niiu ed ha la prerogativa, sinora unica, di allineare l’informazione ai gusti di ogni singolo lettore, recapitando a casa di ciascuno una edizione personalizzata del giornale, scegliendo gli articoli su una selezione di testate locali, nazionali e internazionali, web compreso. Il costo sarà di 1,20€ per gli studenti e di 1,80€ per gli altri (per dare un metro di paragone, un giornale di stampo classico come Bild costa 0,60€, mentre il Tagesspiegel costa 0.95€).

Un esempio d’oltreoceano

Questa inaspettata sinergia tra carta stampata e web, l’abbiamo già ritrovata, se ricordate, ad inizio di quest’anno, quando negli USA è nato The Printed Blog, un giornale gratuito stampato su carta (sei pagine a colori confezionate da una redazione ridotta all’osso), distribuito nelle principali città americane (Chicago, San Francisco, New York), che in grado di aggregare i migliori contenuti locali pubblicati online su blog e social network, secondo il classico modello del crowdsourcing.

La rivoluzione di Niiu

Ma a differenza di The Printed Blog, è stata messa in atto una altra piccola rivoluzione che trasforma il lettore, passivo per natura, in un particolare editore, con un ruolo attivo di merge delle informazioni. Concepito per attirare i giovani alla lettura dei quotidiani, il concetto editoriale su cui Niiu si basa è altamente innovativo, poiché ciascun lettore potrà costruirsi il proprio Niiu, in base alle preferenze segnalate in fase di sottoscrizione sul sito web del giornale, ed è in grado di integrare gli articoli tradizionali (di testate giornalistiche classiche) con contenuti provenienti da blog, reti sociali e RSS feed, magari condito con giochi, andamento delle azioni in borsa e meteo della propria città, il tutto stampato in versione individuale su carta, con una foliazione diversificata, da 8 a 60 pagine, a scelta dei lettori (anche in base al giorno: per esempio otto pagine il lunedì, ma 60 pagine il venerdì). Gli articoli, in lingua inglese e tedesca, possono essere scelti da circa 500 testate con cui sarebbero stati stretti degli accordi.

Le aspettative

Secondo la tesi dei loro ideatori, molti giovani ‘’sono stanchi di informarsi su internet e sono pronti a pagare per un giornale di loro gradimento’’. L’ obbiettivo è quello di raggiungere il traguardo delle 5.000 copie in sei mesi a Berlino e il vantaggio, oltre che per la nuova generazione di lettori, sarà anche per gli inserzionisti perché avranno il vantaggio unico di fare pubblicità estremamente mirata e toccare dei segmenti di consumatori molto precisi.

Ora non resta che rimanere in attesa e vedere se questo esperimento avrà successo e magari chissà se anche noi potremo usufruire di questo nuovo modello di informazione.

Tag:blog-power, giornali, informazione, Internet, stampa, web, Web 2.0
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Set 24 2009

Perché equiparare la blogosfera con le testate giornalistiche tradizionali? Riflessioni sul Fact-Checking e il Blog Power

Posted by Antonio Troise
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Un paio di giorni fa i giornali diedero la notizia che il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama aveva asserito di voler dare un aiuto economico ai giornali in difficoltà flagellati dalla crisi economica perché il buon giornalismo è essenziale alla salute della democrazia, mentre lo stesso non si può dire dell’exploit che sta avendo la blogosfera e, in generale, tutte le reti di Social Network, considerate solamente come un pool di opinioni senza controllo sui fatti, senza la giusta collocazione delle storie in un contesto verificato e pieno di persone che si urlano una contro l’altra, prive di comprensione reciproca.

Il Fact-Checking

Obama Parole dure giustificate dal fatto che Obama, a suo dire, vorrebbe scongiurare il declino dei giornali su carta (grazie alle elargizioni di aiuti pubblici e ad agevolazioni fiscali ai gruppi editoriali più colpiti dalla crisi) che porterebbe, inevitabilmente, all’affermarsi di una blogosfera che, per sua natura, è senza controlli su tutto ciò che viene scritto. Lo scopo ultimo è quello di dare la possibilità ai quotidiani tradizionali di continuare a offrire “integrità giornalistica, cronache basate su fatti e indagini svolte con serietà” che altrimenti verrebbe sostituita da una blogosfera dove si può trovare ogni sorta di informazione e opinione non verificate (il famoso Fact-Checking, ovvero quella consuetudine, propria di ogni redazione giornalistica, di verificare con cura quanto viene pubblicato). In pratica la blogosfera altro non è che tutta opinione e niente controllo sui fatti!

In parte si può comprendere l’atteggiamento di Obama che ha sparato a zero contro la blogosfera, perché proprio ultimamente molti blog lo hanno attaccato sulla sua riforma sanitaria sbandierando, secondo la sua Amministrazione, dati non aderenti alla realtà. Ma è anche vero che negli Stati Uniti, in cui quasi tutti i blogger avevano sostenuto Obama durante le presidenziali, queste affermazioni sono state viste come delle vere e proprie coltellate al cuore per tutti coloro che lo avevano appoggiato con i nuovi mezzi messi a disposizione dal Web 2.0. Già in passato, a Marzo 2009, Obama aveva in qualche modo rinnegato i blogger definendoli “semplicistici e fuorvianti”.

Il contesto della blogosfera

La risposta arriva da Neil Henry, rettore della Scuola Superiore di Giornalismo di Berkeley, in una interessante intervista su “La Stampa“, in cui afferma:

La blogosfera è una realtà distinta nell’universo dell’informazione per la quale non può essere applicato un controllo sistematico perché contro natura.
[…]
Nello sconfinato mondo della blogosfera, il principio del Fact-Checking (per garantire che l’informazione sia credibile e accurata) non può essere applicato, perché si parla di voci, di opinioni.

Imporre un Fact-Checking sistematico ai blog, significa andare contro la loro stessa natura di flusso libero di opinioni e di analisi, per il quale sono stati creati.

Le differenze tra blog e giornali

Se è vero che le parole feriscono più di una spada è anche vero che la libera diffusione delle idee è da sempre stato un delicato argomento di discussione. E’ noto che quando si ha troppa libertà, questa situazione è sempre vista, da chi detiene il potere, come uno strumento troppo pericoloso che si immagina possa sfociare nell’anarchia più assoluta.

Quando si scrive per un blog, l’autore si assume fino in fondo le responsabilità di ciò che scrive. Parallelamente, il blog offre una maggiore libertà, ovvero il poter scrivere su qualsiasi argomento. In un giornale, invece, l’autore ha la possibilità di sentire la libertà di scrivere ciò che vuole, ma l’argomento è scelto sempre dal giornale stesso. In pratica l’articolo di una testata giornalistica è sempre il risultato di un’azione coordinata all’interno delle proprie competenze e della politica editoriale del girnale stesso.

A tal proposito mi piace citare una frase di Dan Gillmor che fa capire come la Rete sia uno strumento fondamentale per interloquire e mette in evidenza la differenza tra conversation e lecture:

Quando sei nel blog partecipi alla conversazione, mentre quando scrivi su un quotidiano stai facendo una lezione!

Granieri, autore di Blog Generation ci fa notare che abbiamo ancora molta difficoltà a considerare la blogosfera come giornalismo.

«Sebbene i materiali da costruzione siano gli stessi (ovvero le informazioni) e alcune procedure di composizione siano simili, i blog non sono giornalismo. Informano, ma non sono giornalismo come lo conosciamo, anche quando a tenere un blog è un professionista riconosciuto dall’Ordine»

Forse, però, è il caso adeguare il concetto di giornalismo alla nostra era: infatti, si può fare del buon giornalismo anche senza alcuna tessera professionale! Ma è tuttavia vero che forse nella sua vastità, la blogosfera manca di uno strumento di controllo proprio dei giornali (o almeno di quasi tutti), che sicuramente non le appartiene e, forse, non ambisce neanche ad avere.

C’è chi afferma che nella blogosfera, c’è una netta prevalenza delle opinioni rispetto alle notizie e che, a volte, ha la tendenza a diventare strumento di attivismo piuttosto che di informazione (non che da queste caratteristiche siano immuni le migliori testate giornalistiche tradizionali), forse proprio di tutto ciò che segue un modello di interrelazione uno-con-molti.

Quel che è certo è che il vantaggio di un blog è quello di non doversi vergognare a volersi rivolgersi solo a nicchie ben individuate che il giornalismo tradizionale spesso ignora a favore delle grandi masse.

Il blog è per definizione non esaustivo?

Il problema è che dato che la blogosfera pullula di blog personali senza nessun tipo di qualità giornalistica, è facile cadere nelle accuse, da parte dell’élite mediatica, di non rilevanza della blogosfera.

Però, come analizza Granieri, il blog, a differenza di modelli a noi più familiari come il quotidiano o la rivista, non ha nessuna pretesa di essere esaustivo. Anzi, al contrario, un blog tende per definizione a portare «fuori da sé» il lettore, dirigendolo verso altre fonti, verso altre voci. Il risultato è che nessuno legge un solo blog, poiché si tratta di un singolo nodo in un’opera collettiva ipertestuale che tende a configurarsi come un sistema di contenuti.

Quindi, per la sua stessa natura, il blog è un atto di generosità: essendo un nodo in un sistema di lettura, sposta l’attenzione (e il lettore) su altre fonti invece di cercare di trattenerlo sulle sue pagine. Questa scelta che in un sistema competitivo sarebbe un suicidio, nel sistema weblog è prassi, è un circolo virtuoso, in cui il trasferimento del lettore è funzionale e non va contro gli interessi personali o privati.

Perchè equiparare i blog ai giornali?

Ma il problema è: chi ha chiesto di equiparare i blog ai giornali? Perché ci si ostina a volerli guardare allo stesso modo?
Chi fa blog, come il sottoscritto, non si sogna mai di essere equiparato ad un giornalista. Il suo “lavoro” lo fa solo per passione e nel tempo libero e i suoi argomenti sono vari e mai dettati da alcuna redazione.

Infatti, come asserisce il giornalista Andrew Sullivan:

La discussione sui blog non va orientata sulla loro essenza giornalistica, ma sulla loro esistenza, sulla loro utilità ed importanza nel nostro mondo attuale e, soprattutto, sulla loro integrazione con il mondo dell’informazione. Mentre gli esponenti del giornalismo tradizionale insistono su quelli che sono gli elementi che non fanno dei blog una forma di giornalismo, Sullivan suggerisce di guardare il blog e il giornalismo non come due soggetti da mettere in contrapposizione, ma come entità complici all’interno della rete. L’uno può servire ad ampliare e migliorare l’altro.

La paura dei giornali tradizionali: il Blog Power

Io credo che non sono i blog a voler diventare testate giornalistiche, bensì penso che siano i giornali tradizionali, (che a causa dell’avvento del web sono in grande crisi), ad aver paura dei blog, che spesso rubano fette di milioni di lettori ai media classici. Ed è da questa paura del diverso, del rivoluzionario, dell’innovativo che nascono queste accuse alla blogosfera che di fatto, ha solo il merito, di regalare un nuovo modo di comunicare le notizie, le idee e le informazioni, ma anche un nuovo modo per partecipare alla conversazione. E’ da qui che nascono i weblog di giornalisti che, tentando di emulare i blog, cercano di recuperare il terreno perduto. Il problema è che siccome sono sempre associati a grandi testate giornalistiche, e quindi sempre in accordo con la politica editoriale in Rete del suo giornale di appartenenza, non riescono mai ad essere fino in fondo come gli autori del blog.

Ma a spaventare più di tutti è la constatazione che, alcune volte, un unico blogger che lavora da casa può raggiungere lo stesso numero di lettori di un grande giornale (è l’effetto del citizen journalism e del Blog Power in senso esteso), senza dipendenti, senza spese e senza costi di produzione. Anche se bisogna ammettere che non può produrre in nessun modo gli articoli approfonditi ad alta intensità di manodopera che un buon giornale propone quotidianamente, questo enorme vantaggio competitivo dipende dall’evoluzione tecnologica ed è inevitabile, ma i giornali tradizionali non lo capiscono ancora pienamente.

Tag:Blog, blog-power, blogosfera, democrazia, giornali, informazione, Obama, stampa, Web 2.0
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Mar 12 2009

Negli USA, The Printed Blog, un quotidiano gratuito farà da aggregatore dei migliori contenuti pubblicati dai blog. Come è la situazione in Italia?

Posted by Antonio Troise
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Negli ultimi mesi stiamo assistendo, più o meno consapevolmente, ad un piccola rivoluzione o, forse più propriamente, ad un piccolo esperimento che consiste nel passaggio di testimone della carta stampata al web: infatti, contro ogni previsione, la carta stampata sta iniziando ad attingere, sempre più frequentemente, al web per avere contenuti di maggiore interesse e che si adattino facilmente ad un più largo pubblico, creando inaspettatamente sinergie proprio laddove un tempo sembravano esserci solo contrasti e diffidenze. Insomma, non mancherà molto che potremmo vedere il Web 2.0 passare dalla Rete alla carta stampata, nel nome del Blog Power!

The Printed Blog

E’ così recente la notizia che negli Stati Uniti è stata lanciata una coraggiosa (soprattutto perché lanciata in piena crisi economica) iniziativa editoriale: The Printed Blog, un giornale gratuito stampato su carta (sei pagine a colori confezionate da una redazione ridotta all’osso), distribuito nelle principali città americane (Chicago, San Francisco, New York), che aggregherà i migliori contenuti locali pubblicati online su blog e social network, secondo il modello del crowdsourcing.

The Printed Blog

Ad essere convinto della buona riuscita del suo giornale è l’investitore Joshua Karp, che ha addirittura inizialmente previsto una uscita bi-quotidiana del giornale (in realtà dal 27 Gennaio 2009, data in cui è uscito il primo numero, sono reperibili solo 6 numeri, per cui al momento l’uscita sembra attestarsi su base settimanale) che aggregherà, quasi in tempo reale, i contenuti pubblicati in rete su blog personali e social network, nella speranza che questo innovativo giornale possa attirare gli investimenti di inserzioni pubblicitarie rilevanti e fortemente localizzate sul territorio. Ma non verranno pubblicati solamente articoli (qui per segnalare i contenuti interessanti, mentre è stato aperto anche un canale su Twitter) ma anche recensioni su dischi, film, fotografie, risorse interessanti trovate online, locali commerciali, segnalazioni di eventi e quant’altro possa essere ritenuto interessante.

Secondo Joshua Karp, infatti, il quotidiano cartaceo resterà ancora a lungo la principale fonte di informazione, soprattutto più nelle grandi città e metropoli dove, per forza di cose, le persone trascorrono una parte importante del loro tempo sui mezzi di trasporto. E quale migliore miniera di materiale fresco trovare se non quella di attingere direttamente dalla blogosfera e da internet! Ovviamente, gli autori che vedranno i propri contenuti pubblicati saranno retribuiti (per ora non è specificato quanto sarà l’ammontare), ma avranno anche l’indubbio vantaggio di poter esporre i propri contenuti ad un pubblico al di fuori della rete, portando, di fatto, la voce dei blog nel mondo offline!

The Printed Blog

Al momento sono circa 300 i blog che hanno già dato il permesso di pubblicare il loro articoli (interessante la voce in copertina che dichiara “Printed with explicit permission from each content provider“) e se volete visionare il prodotto, a mio dire, inaspettatamente valido, è possibile scaricare una versione PDF del giornale da leggere sul computer.

L’editoria sperimentale in Italia

In Italia un progetto simile, in pieno clima di editoria innovativa, è stato sviluppato dalla Acacia Edizioni che ha l’intenzione di portare nelle edicole italiane un giornale dal titolo “Social Network Magazine“, in cui gli articoli riguardanti questo nuovo giornale parlano di “uno scorrere continuo di informazioni e di commenti”. Al centro di tutto c’è una tecnologia poco chiara dal nome “WebCode”, un’esclusiva di Dooit, che permette di integrare in maniera univoca e bidirezionale l’informazione stampata con le informazioni in Rete. SN Magazine ha in pratica la più grande redazione del mondo: ogni lettore può proporre un tema e creare il suo team di collaboratori. Sarà poi la sua reputazione on line e il giudizio degli altri lettori della Rete a decretare la sua presenza nell’edizione cartacea.
In questo modo per la prima volta un prodotto editoriale stampato potrà sfruttare tutta la potenza della Rete ed essere sempre e continuamente aggiornato.

Purtroppo, queste sono le uniche notizie, in parte lacunose, su questo progetto editoriale italiano, di cui, però, non sono riuscito a trovare neanche il sito web ufficiale. Da un lato c’è da dire che l’idea, proprio come The Printed Blog, è interessante e coraggiosa, dall’altra parte, è facile capire che gli investitori hanno finalmente capito che possono investire in altri modi sul web, e aprire questo vaso di Pandora, potrà portare benefici o guai, tutto sta a come si saprà sfruttare l’idea e come i lettori giudicheranno il prodotto.

Se pensate, però, che sarebbe bello avere anche in Italia un progetto ambizioso come quello di The Printed Blog, allora dovete sapere che l’esperimento di BlogMagazine si avvicina molto, e forse si è anche ispirato, a questo modello americano. Purtroppo ancora non ne esiste una versione stampabile e non esiste alcuna distribuzione, probabilmente perché il progetto è ancora in fase di sviluppo e, forse, anche perché in Italia in pochi credono in queste realtà. Certo è che, comunque, anche il magazine online proposto dalla directory di blog Liquida, che ogni giorno cataloga centinaia di post da più di 10.000 blog, potrebbe essere di ispirazione per un progetto di un quotidiano cartaceo sulla blogosfera italiana.

Tag:Blog, blog-power, blogosfera, giornali, informazione, PDF, stampa, web, Web 2.0
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Gen 28 2009

Cronaca di una morte annunciata… dal declino di Microsoft all’ascesa di Apple: il mio punto di vista

Posted by Antonio Troise
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Oggi ho letto una intervista al programmatore e saggista Paul Graham che, ha messo in luce alcuni argomenti interessanti sul rapporto con Microsoft. C’è da dire che queste valutazioni sono sicuramente di parte, dato che Paul è un utilizzatore dei prodotti della Mela da diversi anni, ma non per questo alcune sue speculazioni, non mi hanno fatto riflettere.

Il primo punto interessante è stata l’affermazione, per molti scontata, che:

Microsoft abbia perso rilevanza nel corso degli anni. Perché ha perso smalto e appeal, oltre che mercato. Una volta, dice Graham, era il Mac il computer da regalare ai nonni, perché le piattaforme “toste” erano altre. Oggi è Windows, mentre ancora più di Linux è il Mac ad avere la piattaforma più “sexy” e intrigante per chi voglia usarla creativamente e al 100%, sia in ambito professionale che in ambito softwaristico.

In effetti, quando ero ancora studente, l‘unico punto di riferimento per noi giovani programmatori ed elettronici era il mondo Microsoft, con il suo DOS e il suo Windows 3.11/Windows 95. Francamente avevo solo lontanamente sentito parlare di un altro mondo come quello Apple, ma nessuno dei miei amici, conoscenti o professore ne parlava mai.
Oggi, sembra, invece, che la cosa si sia capovolta: tutti hanno un PC Windows, con i suoi pregi e difetti, mentre adesso il vero status symbol cui fregiarsi è possedere un Mac o un iPhone. Sia perché sono prodotti “più costosi” della norma dei PC o dei telefonini, sia perché in effetti sono oramai universalmente riconosciuti come prodotti differenti, stabili e più potenti, oltre che avere un design elegante e inconfondibile.

Il secondo punto è:

Microsoft è morta nel 2005, più o meno. L’anno dopo la quotazione di Google, avvenuta nell’agosto 2005, piuttosto invece quando l’azienda di Mountain View ha lanciato Gmail come servizio totale. A ucciderla è stato l’inizio del cloud computing, cioè dei servizi attraverso il web che hanno reso indifferente l’uso di questo piuttosto che di quell’altro tipo di computer, basta che abbia un browser compatibile. Il desktop di Microsoft è morto per colpa di Ajax, la tecnologia delle pagine web 2.0, che per ironia della sorte sono in parte state create proprio da Microsoft dato che la X di Ajax è il XMLHttpRequest che permette di far funzionare la pagina come una vera e propria applicazione dal punto di vista della comunicazione con il server e che venne creato da Microsoft per avere una versione web di Outlook che funzionasse come quella applicativa da installare.

Su questo punto penso si potrebbe discutere per ore: oramai molte applicazioni che prima erano solo desktop, si sono spostate sul web, con la nascita della famosa Era del Web 2.0. Si può fare tutto sul web, dalla piattaforma di Office (Google Docs) a Photoshop (Adobe Photoshop Express) e decine di aziende hanno costruito e stanno costruendo la loro infrastruttura IT (comprensiva di server, programmi per la gestione, posta elettronica aziendale) in completo outsourcing facendo mashups di applicazioni e servizi offerti via Internet con la modalità d’uso Web 2.0 che prevede zero installazioni e zero server in azienda.
Ovviamente il Web 2.0 si è potuto evolvere solo perché la banda larga ha iniziato a prendere piede in tutto il mondo e ne è stata quindi la sua naturale evoluzioni tecnologica.

L’ultimo punto, infine, tratta argomenti fin troppo opinabili:

“Sono felice che Microsoft sia morta”, continua Graham. “Era come Nerone o Commodo: un tiranno malvagio nel modo in cui lo possono essere solo quelli che ereditano il potere. Perché bisogna ricordarsi che il monopolio di Microsoft non è cominciato con Microsoft. L’ha ottenuto invece da Ibm. Il mondo del software per le aziende è stato un monopolio a partire dagli anni cinquanta fino al 2005. Praticamente per tutta la sua esistenza. Uno dei motivi per cui il web 2.0 ha così tanta euforia dietro a sé è che per la prima volta, consciamente o no, si capisce che potrebbe finalmente essere finita questa epoca del monopolio“.

Riflessioni personali

In definitiva, non credo che Microsoft sia morta, ma forse è rimasta per troppo tempo ferma, crogiolandosi sui successi del passato. Forse ha saputo investire male le sue ricerche, forse ha a capo una classe dirigenziale non all’altezza, forse credeva di possedere il monopolio ma poi lo ha perso per troppa sicumera. Resta il fatto che Microsoft sta assistendo ad una involuzione dell’utente medio che ora guarda altrove, alle alternative, tanto da lasciare il mondo di Windows e affini come l’ultima spiaggia sui cui approdare.

Io non ho nulla contro l’azienda di Bill Gates, per anni l’ho seguita e ammirata (ricordo quando lessi tutto di un fiato il libro di Bill Gates “La strada che porta a domani“), ho programmato sulla sua piattaforma a partire dal atavico Visual Basic 4, ho usato con soddisfazione Windows 2000 e, un po’ meno, Windows XP, ho installato a tutti i miei amici e colleghi tutte le patch per far funzionare a dovere il sistema operativo di casa Redmond (le portavo sempre con me sui floppy disk), ma ad un certo punto è stato naturale cambiare, guardare al di là, perché notavo una sorta di staticità nel mondo Microsoft. Qualche anno fa avevo intenzione di programmare per la piattaforma Windows Mobile, ma alla fine ho desistito in quanto non vi era una soluzione univoca. Windows .NET rendeva le mie applicazioni sempre più complesse e incompatibili con le vecchie versioni realizzate. Windows Vista imponeva limiti e restrizioni inutili e quanto mai pesanti.

Passare ad Apple è stata una prova, e sono passato dal Macbook Pro all’iPod Touch: una scelta migliore dopo l’altra che mi lasciano quella sensazione di poter sempre contare su un futuro migliore. Ho iniziato a programmare per l’iPhone con l’SDK che mette a disposizione gratuitamente la Apple e tutto risulta chiaro e delineato (unico scoglio imparare bene Objective-C e Cocoa Touch), uso il mio portatile come mai ho usato tutti i portatili Asus, Acer, Compaq e Toshiba che ho avuto in precedenza. Molte applicazioni per il mondo Mac sono migliori di tante altre per Windows. Vi è una sorta di organicità e coerenza che rende usare i prodotti della mela un vero piacere. E la semplicità insita in ogni cosa, non è indice di superficialità o carenza.
Proprio ieri ho installato una applicazione per iPhone/iPod Touch di nome Wanted, una applicazione presente in App Store (per ora gratuita) che consente di creare, con pochi semplici passaggi, dei veri e propri manifesti stile “Ricercato” (appunto Wanted) con le foto presenti su iPhone e con la possibilità di aggiungere oggetti come cappelli, baffi, pistole, trecce e stelle da sceriffo. In tre minuti ho scaricato l’app, l’ho aperta, preso una foto, realizzato il mio fotomontaggio, salvata l’immagine, aperto un’altra applicazione gratuita HP Print, che ha rilevato la mia stampante di rete e ha stampato su carta 10×15 il mio wanted personalizzato. Una semplicità disarmante che mi ha colpito. Una semplicità che Apple è riuscita a trasferire anche sui prodotti di terze parti grazie ad un SDK davvero rivoluzionario. Dalla mia esperienza (ma potrei sbagliarmi) non esiste nessun altro prodotto che è in grado di dare una esperienza così concreta e user friendly come quello che possono offrire i prodotti di Cupertino (anche se a volte taluni prodotti dimostrano ancora di seguire qualche ferma ostinazione e i dettami di una semplice convinzione personale di chi li realizza, piuttosto che seguire le richieste degli utenti).

Questa non voleva essere un elogio a Apple, ma una disamina neanche troppo approfondita (sarebbero troppi gli argomenti da trattare e troppo vasti i temi da affrontare), una serie di riflessioni a braccio, sul mondo Apple e Microsoft, partendo da degli spunti di riflessione sulle idee di Paul Graham. Spero di non avervi annoiato.

Tag:Apple, bill-gates, Google, iPhone, microsoft, Web 2.0, Windows
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Dic 17 2008

Mentre l’enciclopedia Treccani diventa aperta e web 2.0, il dizionario italiano De Mauro ha rischiato di sparire. Spiegazione del perché Wikipedia e il Wikizionario non correranno mai il rischio di cessare di esistere!

Posted by Antonio Troise
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Ricordo la Treccani, come il nome di una delle più autorevoli enciclopedie che nella mia adolescenza erano anche sinonimo di un enorme quantità di tomi dal prezzo spropositato (complessivamente l’Enciclopedia consta di 62 volumi, per un totale di 56.000 pagine con circa 50 milioni di parole, anche se quest’anno ha lanciato una edizione speciale in soli 3 volumi) e stampata su carta speciale garantita 200 anni, che avrebbe dovuto contenere, nelle intenzioni forse troppo ambiziose dei suoi autori, tutto lo scibile dell’umanità. Non ho mai posseduto la Treccani e mai l’ho potuta consultare per le mie ricerche scolastiche, e sono quindi contento di constatare che finalmente potrò farlo ora che ha deciso di pubblicare gratuitamente sul web una porzione consistente dell’opera globale delle enciclopedie e dei dizionari Treccani. Se, infatti, in passato il sito dell’Enciclopedia Treccani era una semplice vetrina web, oggi tutti possono finalmente consultare liberamente oltre 160mila lemmi.

E’ interessante notare, però, che il nuovo sito web 2.0 della Treccani, non mette solo online parte del suo vasto patrimonio enciclopedico, ma anche una serie di strumenti utili e interattivi, come widget, toolbar e feed rss per categoria, per farne un punto di riferimento del sapere in Rete, attorno al quale creare una sorta di social network della cultura italiana. E’ infatti possibile, commentare le voci enciclopediche, segnalare contenuti per arricchire il patrimonio Treccani, inserire parole chiave (tag) utili a creare percorsi tematici e ricerche incrociate, e si potranno scaricare widget per consultare le risorse enciclopediche direttamente dal proprio sito.
Infine, è possibile anche creare un proprio profilo personale per salvare percorsi di navigazione e link utili, scambiarsi messaggi, intervenire in dibattiti, ricevere aggiornamenti e porre quesiti alla redazione.

Come nelle enciclopedie cartacee non mancano i riferimenti da una voce all’altra, anche nel portale Treccani l’ipertestualizzazione è pervasiva: ogni parola dei lemmi delle enciclopedie e del vocabolario è un rimando, ogni rimando è un approfondimento. Basta, infatti, come avviene avviene per il dizionario De Mauro, fare un doppio click su una qualsiasi parola del testo e si verrà subito rimandati alla relativa voce del Vocabolario online o della Enciclopedia online.

Pensate che, la progettazione e l’avvio del portale hanno richiesto un investimento di meno di 500mila euro per due anni di lavoro, e il coinvolgimento di sei persone dello staff che lavorano quotidianamente sul portale. Niente male per un paese abituato a fare i conti con futuristici portali alla stregua di Italia.it, costato ben 45 milioni di euro!

Il fuggevole del Dizionario De Mauro

E se una nuova enciclopedia, pronta a collaborare o a sfidare Wikipedia, è nata, ecco che per un attimo la Rete ha tremato alla notizia che la famosa versione online del Dizionario italiano De Mauro Paravia, stava per sparire per fare posto, nell’homepage del sito, al Dizionario dei sinonimi e contrari De Mauro Paravia. Infatti, come sarà noto a tutti, il De Mauro è l’unico dizionario italiano completo di tutti i lemmi, tanto da essere un riferimento web per moltissimi utenti Internet, da anni linkato da blog e siti per la sua comodità di utilizzo. Certamente, esistono da tempo molte alternative, come il Vocabolario Treccani, il dizionario Garzanti (accessibile, però, dietro registrazione), il nuovo ed internazionale Google Dictionary (tanto da permettere di cercare il significato di una parola in circa 21 lingue, realizzando anche le corrispondenze tra una lingua e l’altra), e i collaborativi Dizionario Italiano e, forse più famoso, Wikizionario, ma tutti sono ancora troppo giovani per essere completi e diffusi sul web come il De Mauro. Infatti, sulla sua scia, sono nati moltissimi plugin per le toolbar, estensioni per firefox, e barre di ricerca che interrogavano direttamente questo database, e da anni veniva linkato da moltissimi siti web.

Fortunatamente, si è scoperto che, almeno per ora, il dizionario italiano aveva solo cambiato indirizzo web. Ora si trova su old.demauroparavia.it e grazie alla collaborazione del webmaster, tutte le richieste provenienti search plugin di Firefox e che puntavano al vecchio demauroparavia.it, ora vengono automaticamente rigirate su old.demauroparavia.it.

I benefici dei siti Wiki che non potranno mai cessare di esistere

Insomma, per ora il pericolo è stato scongiurato, ma sicuramente è stato utile a molti, me compreso, ad aprire gli occhi sulla caducità delle informazioni su internet. Se è vero che se una cosa c’è su internet è probabile che una sua traccia sarà disponibile per sempre, è anche vero che se sparisce un database enorme, come il De Mauro appunto, sarà ben difficile rimpiazzarlo in poco tempo con un altro di pari livello. E’ per questo che progetti come il Wikizionario, e in generale, Wikipedia sono le migliori soluzioni per tutti, in quanto, proprio per la loro natura collaborativa e free, possono crescere costantemente nel tempo, migliorandosi e perfezionandosi, e possono essere liberamente replicate su qualsiasi sito o supporto. Infatti, è possibile scaricare l’intero contenuto e struttura di Wikipedia (un enorme dump XML del database), da http://static.wikipedia.org/downloads/ (qui la versione italiana di 1.6 GB aggiornata al Giugno 2008), mentre è possibile scaricare l’intero contenuto del Wikizionario da questa pagina: http://download.wikimedia.org/itwiktionary/. Basterà quindi installare il software con licenza GNU GPL MediaWiki su un qualsiasi sito web (ma anche localmente su un qualsiasi pc) per replicare all’infinito l’informazione contenuta nella più grande enciclopedia della Rete!

Tag:cultura, database, demauroparavia, dizionario, treccani, vocabolario, Web 2.0, wikipedia
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Dic 11 2008

Gli influencer del Web: chi sono e come agiscono. Quando le aziende studiano come conquistare chi influenza le decisioni del popolo della rete

Posted by Antonio Troise
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Forse non tutti sanno che sul Web il 90% dei contenuti online, articoli, commenti, video e fotografie di ogni social media, è creato da non più del 10% degli utenti internet. E sono proprio queste persone che hanno la capacità di riuscire ad influenzare le comunità online in modo da riuscire ad indirizzarle, più o meno coscientemente, verso una decisione o un acquisto e anche, perché no, l’elezione di un presidente degli Stati Uniti (tanto che Obama ha raggiunto il record di un miliardo di dollari in rete, di cui 150 milioni di dollari con singole donazioni di 100 dollari dal suo sito).
Come già ricordato in un mio articolo sul blog power, le aziende che guardano al webmarketing stanno iniziando a riconoscere e ad interpretare questa realtà, tanto che sono continuamente alla ricerca degli influencer, che rappresentano, di fatto, la chiave di volta per dialogare con successo con la Rete. Infatti, gli influencer possono determinare il successo di un prodotto o di un servizio, ma anche il suo fallimento. E’ per questo che le società devono considerarli un asset strategico, visto che possono essere i promotori naturali di una azienda o i critici più credibili.

Lo studio della Rubicon Consulting

Un recente studio della americana Rubicon Consulting ha tracciato il profilo degli influencer, tentando di carpirne i segreti, la loro diffusione, gli spazi dove agiscono (le comunità online) e le modalità con cui comunicano e propagano i loro messaggi. Al termine della sua indagine, è così riuscita a identificare 5 macro gruppi di comunità, in funzione delle caratteristiche degli utenti:

  1. VICINANZA: Meetup, creazione di gruppi fisici
  2. ATTIVITA’ IN COMUNE: Wikipedia, enciclopedia online
  3. CONDIVISIONE DEGLI STESSI INTERESSI: Youtube, video online per categorie
  4. COMPETENZA: social network professionali
  5. CONNESSIONI: Facebook, MySpace, SecondLife, tutti social network costruiti su ogni tipo di connessione tra persone

Un’altra rappresentazione, più visiva, che mostra gli influencer nei social network è possibile trovarla qui, dove, però, li si dividono in 4 macro aree:

Influencer
Analisi

Le comunità online originate dalle connessioni, come Facebook, sono, come è facile immaginare, le più frequentate (circa il 25% degli utenti internet) e le più importanti per i giovani sotto i 20 anni. Quindi, seguono, con il circa il 20% degli utenti internet, le comunità nate con attività in comune e condivisione di interessi.

I contenuti degli influencer sono in prevalenza:

  • Video (94%)
  • Articolo sul blog personale (92%)
  • Recensione (89%)
  • Una domanda (87%)
  • Una risposta (83%)
  • Foto (77%)
  • Commento (76%)
  • Aggiornamento propria area in un social network (75%)
Chi è l’influencer

Inoltre, se è vero che gli influencer possono determinare il successo di un prodotto o di un servizio, è anche vero che la loro influenza varia da settore a settore: mentre circa il 60% dei navigatori acquista un prodotto di elettronica di consumo seguendo i suggerimenti letti, solo il 18% sceglie un meccanico per la propria macchina. E’ elevata comunque la percentuale di coloro che decidono in base alle informazioni in rete: il 52% la vacanza, il 48% il film da vedere, il 41% la nuova auto e il prossimo lavoro, il 38% il ristorante.

Ma come si distingue un influencer? Di solito, un influencer, pubblica un contenuto in Rete più di una volta al giorno, e metà di loro ha meno di 22 anni e solo l’8% ha più di 50 anni. Il 40% sono studenti, mentre il 60% sono in prevalenza uomini, ma anche le donne hanno la loro influenza, tanto che il 78% delle mamme blogger negli Stati Uniti, da un giudizio sui prodotti per bambini e il 96% di tutte le mamme online considera con attenzione i loro consigli.

Epilogo

Quel che è certo è che l’opinione degli influencer è (almeno in teoria) indipendente e non una merce in vendita, tanto che l’unica arma delle aziende è quella di informare correttamente gli influencer, ascoltarli e dotarli di strumenti comparativi del proprio prodotto o servizio.
Quindi, in definitiva, l’investimento più importante è nella qualità della relazione con gli influencer!

Altre riferimenti

Per maggiori informazioni potete andare direttamente sulla pagina che dello studio della Rubin Consulting: Online Communities and Their Impact on Business che è stato diviso in 3 sezioni:

  1. Part One: How online community works
  2. Part Two: Leading Web Destinations and Community
  3. Part Three: Web Community and Social Life

Oppure potete scaricare direttamente il PDF del report completo.

Sotto il tag blog-power, infine, trovate alcuni miei articoli che parlano di marketing, web e blog.

Tag:blog-power, facebook, Internet, marketing, Obama, web, Web 2.0
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Nov 11 2008

Su Flickr sono presenti 3 miliardi di fotografie: tra essere e apparire, la moda dell’iPhone mette in secondo piano l’ottica Zeiss e le risoluzioni maggiori dei Nokia

Posted by Antonio Troise
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3 billionth Flickr photo Flickr, con questa immagine, il 3 Novembre 2008 ha raggiunto i 3 miliardi di foto inserite nel suo enorme database fotografico, con oltre 7 milioni di utenti. Pensate che, solo un anno fa (proprio a Novembre 2007), aveva appena superato i 2 miliardi di foto, con un eccezionale crescita esponenziale e un tasso di crescita del 50% all’anno. Per fare un metro di paragone, si potrebbe dire che, visionando una fotografia al secondo, ci vorrebbe almeno un centinaio di anni di un individuo, senza bere, mangiare o dormire, per vedere tutto l’archivio disponibile sul popolare sito di foto-sharing (che nel frattempo, se ancora esistente, sarebbe cresciuto a dismisura).

In tutto ciò, comunque, il servizio nato in Canada nel 2004 (e poi acquisito da Yahoo!) si è visto strappare lo scettro di re del photo-sharing dai ben più popolari social network alla MySpace e Facebook. Quest’ultimo, in particolare, solo un mese fa aveva annunciato di aver raggiunto ben 10 miliardi di immagini condivise, con una media di 30 milioni di nuove foto pubblicate ogni giorno. Flickr, però, rimane, comunque, il social-network verticale preferito dagli appassionati della fotografia di qualità, in cui i fotografi professionisti trovano la loro vetrina preferita, mentre Facebook è sempre più “generalista”.

Essere o apparire

Resta comunque il fatto che queste cifre sono a dir poco impressionanti e danno l’esatta misura di quanto internet riesca a permeare la nostra società, che ha sempre più voglia di mostrarsi e di condividere scatti e filmati con parenti, amici e sconosciuti, a volte trascurando anche il naturale desiderio di riservatezza.

Qualcuno, però, fa una giusta osservazione e ci ricorda che in questi ultimi anni, con il web 2.0, con i blog, con Flickr e Facebook, sembra che la partecipazione a qualsiasi tipo di evento sia non solo la dimostrazione di esistere ma proprio il fine ultimo dell’esistenza, tanto da far passare in secondo piano l’essere mettendo in risalto solamente l’apparire. Non basta più infatti, esserci, l’essenziale è che anche gli altri lo sappiano e ancora meglio se a saperlo è tutto il pianeta!

L’iPhone re dei telefonini per la fotografia

A tastare però il polso della popolazione di Flickr ci sono le statistiche che rivelano come, la maggioranza delle foto e dei filmati presenti su Flickr, provengono dai videofonini: primo fra tutti, segnando un altro record invidiabile, l’iPhone di Apple, quindi seguito da Nokia e Sony Ericsson.
Il fatto che l’iPhone sia prima ha stupito molti perché, in un sito dedicato anche alla fotografia professionale, sembra che agli internauti che inviano foto web non interessi avere l’ottica Zeiss e la superiore risoluzione degli apparecchi finlandesi, ma solo la facilità di pubblicazione sul web.

Ma, forse, potrebbe anche essere la conferma che semplicemente l’iPhone è diventato un telefonino alla moda, e in una popolazione che tra apparire ed essere, fa prevalere l’apparire senza più guardare all’essenza delle cose, è obbligatorio far ricadere la scelta sul prodotto più trendy in assoluto (senza per questo voler denigrare l’iPhone che, a mio dire, è il miglior prodotto tecnologico degli ultimi anni)!

Tag:Apple, facebook, flickr, foto, fotografia, iPhone, nokia, Web 2.0
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Ott 21 2008

E’ giusto fidarsi di Facebook? Nuove regole della UE per garantire la privacy degli utenti dei social network

Posted by Antonio Troise
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In questi ultimi mesi Facebook ha avuto una vera esplosione di popolarità nel nostro Bel Paese. Ogni giorno non posso fare a meno di sentire colleghi di lavoro o amici che si invitano a vicenda, che si scambiano foto e video e che, mi chiedono, come mai ancora non sono su Facebook. Eh si, perché finché non potrò farne a meno tenterò di starne alla larga (è recente il caso di Paolo Attivissimo che è stato costretto ad iscriversi per evitare il rischio che qualcuno mettesse su Facebook un suo clone). Al momento, infatti, non ne vedo una vera e propria utilità ne necessità, anzi, mi sembra quasi una perdita di tempo, che rischia di disperdere il cibernauta tra taggature e inviti a giocare online (o almeno è quello che riesco ad intravedere tra i miei conoscenti) nella piazza virtuale più grande del mondo in cui ritrovare anche vecchi amici di cui si erano perse le tracce e, perché no, farsene altri nuovi sparsi per il mondo, per condividere foto, video e scambiarsi messaggi in tempo reale.

Niente più barriere e distanze tra le persone

Se è vero che Facebook (ma nella lista dei grandi social network rientrano anche MySpace e Friendster) hanno contribuito a terminare il lavoro iniziato nel Web 1.0 di abbattere le barriere e le distanze tra le persone, è inevitabile che il fatto di essere rintracciabili da chiunque semplicemente digitando nome e cognome su Google, causi la paura del “Grande Fratello”.

Creato nel 2004 da Mark Zuckerberg, all’epoca semplice studente di Harvard, con il solo scopo di mantenere i contatti tra ex compagni di classe, Facebook si è diffuso tanto da entrare in breve tempo tra i 10 siti più cliccati al mondo, primo fra tutti i social network: con i suoi 132.105.000 utenti unici (dati di Giugno 2008) ha raggiunto il primato sorpassando il leader MySpace, con appena 117.582.000 utenti, in quanto, per ciò che riguarda la facilità di utilizzo e l’integrazione della messaggistica istantanea non ha pari. Ma in Italia, come al solito (non so se per fortuna o meno) è sempre un po’ in ritardo, e solo negli ultimi mesi c’è stata una brusca accelerata: nel terzo trimestre del 2008 la diffusione di Facebook è stata così veloce che ha portato l’Italia alla guida della classifica mondiale per incremento di utenti (+135%).

Rischio Privacy per Facebook

Ogni utente ha una propria pagina e sceglie a chi renderla visibile, con buona pace sull’effettiva tutela della privacy. Ma il fulcro di Facebook non sono gli utenti, bensì i gruppi, vere e proprie comunità interne, quasi microcosmi o fan club che spaziano in tutti gli interessi possibili e sono gli utenti che decidono a quale gruppo aderire o quale gruppo creare.

Il problema è che le piazze virtuali, più che quelle reali, si prestano maggiormente all’uso indiscriminato e senza regole dei dati personali. E’ questo che, dall’Unione Europea, durante la 30ma Conferenza internazionale delle Autorità per la protezione dei dati personali tenuta a Strasburgo, 78 Garanti della privacy di tutto il mondo il 17 Ottobre 2008 si sono riuniti, per approvare un documento comune che tutti i social network (compreso, quindi, Facebook) dovranno rispettare per non incorrere in sanzioni. Quella del social network, sembra incredibile a dirsi, è l’emergenza più evidente della rete, che mette a rischio la privacy di milioni di cittadini.

Per capire quanto la nostra privacy sia a rischio, e potete provarlo voi stessi, se volete sapere se un amico è registrato su Facebook senza dovervi registrare è sufficiente, digitare il nome del vostro conoscente su un qualsiasi motore di ricerca accompagnato dalla parola “Facebook” e, se registrato e maggiorenne, quasi certamente potrete trovare la sua scheda pubblica collegata al noto social network. Da sabato 25 Ottobre 2008 non sarà più possibile trovare profili personali su Facebook utilizzando semplicemente i motori di ricerca: certo nulla vieta di registrarsi con un account fake per scandagliare i vari siti di social network, ma almeno si saranno ridotte le possibilità. Ma andiamo nel dettaglio delle decisioni prese dalla.

Perché fidarsi di Facebook?

E’ pur vero che le nuove tecnologie, oltre ad essere una indubbia opportunità per aprire le porte del successo o semplicemente alle nuove amicizie, sono anche fonte di nuovi problemi in quanto nessuno ha mai previsto tutte le insidie, soprattutto per la privacy. In particolare, questo documento, invita gli utenti del social network a tenere d’occhio i propri dati personali (per esempio, i minorenni non dovrebbero mai rendere noti indirizzo di casa e numero di telefono), ricorrendo, magari, all’uso di uno pseudonimo. In realtà se da un lato l’uso di nickname proteggerebbe la propria privacy e limiterebbero, anche se non escluderebbero, l’uso illecito dei dati, dall’altra vanificherebbe lo scopo ultimo di Facebook: quello, cioè, di trovare vecchi amici o compagni di classe di cui si erano perse le tracce, grazie all’indicizzazione, capillare, della maggior parte degli esseri umani! Una sorta di database del genere umano, compilato su base volontaria: ogni giorno ricevo email o richieste verbali di iscrizione a Facebook. So che a farmela non sono qualche Grande Fratello come lo Stato o Google, ma semplicemente dei miei amici: perché dunque non fidarsi? Ebbene, io di loro mi fido: ma c’è da fidarsi dei gestori di Facebook? E se ci si può fidare di loro, si nasconde sempre l’eventualità che qualche utente malintenzionato possa approfittare delle informazioni personali messe sul mio profilo pubblico.

Le regole per i gestori dei siti di social network

Ma, oltre ad informare gli utenti dei social network, i Garanti hanno avuto anche il compito di avvisare i provider di Facebook o altre agorà virtuali, che devo avere una speciale responsabilità verso tutti gli utenti, iniziando dal fatto che questi devono essere informati in modo chiaro ed esaustivo circa le possibili conseguenze a cui potrebbero andare incontro pubblicando informazioni sulla loro persona (tra queste spicca anche la consuetudine dei datori di lavoro che utilizzano i social network per valutare i candidati o controllare la condotta dei propri impiegati).
Inoltre, tra le raccomandazioni, i provider devono prestare attenzione a usi diversi da quelli principali, come quelli di marketing, e devono tenere sempre alto il livello delle misure di sicurezza per scongiurare intrusioni negli archivi. Quindi, devono sempre ricordare agli utenti che è sempre possibile, in qualsiasi momento, esercitare il diritto, in caso di irregolarità, di correzione o di cancellazione definitive, delle informazioni registrate.
Infine, un’altra raccomandazione molto importante, è il diritto all’oblio, ovvero che i dati degli utenti devono essere resi accessibili ai motori di ricerca solo quando esiste un consenso esplicito e informato della persona interessata e non devono essere automaticamente divulgati su internet. Ciò significa che, per impostazione predefinita, tutti i social network dovranno rendere inaccessibile ai motori di ricerca tutti i dati sensibili dei propri utenti, a meno che il loro consenso non sia chiaramente espresso.

Conclusione

Queste nuove regole cambieranno le carte in gioco e credo che nei prossimo mesi assisteremo ad una flessione delle utenze registrate su siti di social network, spaventate dalla possibilità che la propria privacy venga violata. E’ anche vero, però, che è giusto educare le persone su pericoli perché quando si naviga sul web, bisogna essere coscienti dei rischi che si incorrono quando si diffondono avventatamente i propri dati sensibili. Il problema è: saranno sufficienti queste nuove regole per tutelare il navigatore?

Tag:facebook, Internet, privacy, sicurezza, social-network, web, Web 2.0
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Lug 25 2008

Quando le idee buone falliscono perché troppo rivoluzionarie: il caso di OpenServing

Posted by Antonio Troise
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Oggi stavo cercando informazioni su OpenServing perché ero alla ricerca di un servizio dalle sue caratteristiche: un blog collaborativo che estendeva il modello di informazione Open source e dal contenuto Creative Commons al Social Media, facendo propri i concetti di network collaborativo e di autorevolezza dei post di Digg.

OpenServing, basato su una versione light di MediaWiki (la piattaforma Open-Source dietro Wikipedia), era nato il 12 Dicembre 2006 da una costola di Wikia, una compagnia fondata da Jimmy Wales, che offre gratuitamente hosting per ospitare wiki.

OpenServing

OpenServing era, in sintesi, un mix di diversi siti di social network, che cercava di trarre il meglio da tutti. Nello specifico, una volta creato il proprio wiki (del tipo tuonome.openserving.com) era possibile:

  1. creare, perfezionare e mantenere contenuti come in Wikipedia
  2. Votare per gradimento, come si fa in Digg. OpenServe si affida ad un sistema di voto: piuttosto che una selezione da parte del singolo autore, è la community a votare.
  3. Commentare, come si fa nei vari forum e nei blog
  4. Ogni commento viene a sua volta valutato e votato, come in OkNotizie. Mentre di solito è il webmaster ad essere responsabile del processo di filtro dello spam e dei commenti, qui il compito è nelle mani della community. Proprio come le ‘opinioni’, anche i commenti possono essere votati. In questo modo, i migliori commenti salgono e quelli meno interessanti scendono.
  5. Gli articoli più votati vengono mantenuti nella home page

Era questa miscela di combinazioni che mi aveva incuriosito per un mio progetto; se ci si mette, poi, che i guadagni pubblicitari pay-per-click attraverso gli Adsense Google andavano al 100% alla community e che i costi di banda e di spazio di storage, per creare e mantenere la community, erano totalmente gratis, si capisce bene perché questo progetto mi incuriosiva.

Probabilmente, però, questo modello di business era troppo filantropico, e a Gennaio 2008 OpenServing ha chiuso i battenti (tanto che, ad oggi, il sito non è più raggiungibile):

Openserving was a short-lived Web publishing project owned by Wikia, founded on December 12, 2006, and abandoned in January 2008.
It is assumed that Wikia’s professional management team members decided that they would not profit from Openserving’s laboring contributors, so there was no longer an incentive to maintain the space.

Quelli di Wikia suggeriscono di usare, al posto di OpenServing, MyWikiBiz.com, che, però, secondo me nulla ha a che vedere con il progetto originale.

E’ un vero peccato che i suoi creatori non abbiano creduto in questo servizio, che dire rivoluzionario è poco; probabilmente, forse, non è stato neanche riconosciuto come tale dai media e dagli internauti. Forse era qualcosa che anticipava i tempi di un web 2.0 che era ormai prossimo al web 3.0.
Sta di fatto che, secondo la mia personale opinione, è stata persa una occasione per fare e vedere qualcosa di nuovo.

Tag:Blog, blogosfera, creative-commons, opensource, Web 2.0, wiki, wikipedia
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Lug 23 2008

Come abilitare lo scrolling infinito della homepage del proprio blog su WordPress caricando dinamicamente gli articoli

Posted by Antonio Troise
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Ecco un nuovo plugin per WordPress che permette di rendere l’homepage del proprio blog virtualmente infinita: Infinite Scroll.

Questo plugin sfrutta il concetto di pageless pagination (letteralmente, paginazione senza pagine), avvistata per la prima volta sul sito di Google Reader e che permetteva di caricare dinamicamente, in presenza di una lunga lista di item non letti, le informazioni mano a mano che si proseguiva nella lettura; da quel momento, poi, questa tecnica ha iniziato ad essere inclusa silenziosamente (come ogni cosa che semplifica le operatività maggiore è suo grado di trasparenza e immediatezza e maggiore è il suo successo) nelle varie applicazioni del web 2.0 fino ad arrivare, finalmente, grazie al contributo di infinite-scroll.com, anche sui nostri blog con piattaforma WordPress.

Caricamento dinamico degli articoli

Sino ad ora, a sfruttare le caratteristiche ajax, erano solo plugin quei che permettavano di passare da una pagina all’altra di un blog senza ricaricare l’intero sito. Ma ora, finalmente, siamo giunti alla piena usabilità, grazie ad un plugin che richiede pochissime conoscenze per il suo corretto funzionamento.
Il contenuto della propria homepage, infatti, viene normalmente caricato col normale numero di articoli impostabili dal Pannello di Amministrazione di WordPress (Gestione -> Lettura) ma, quando si arriva in prossimità dell’ultimo post in fondo alla pagina, vengono caricati un altrettanto numero di articoli e così via fino ad arrivare, con un po’ di pazienza, alla fine degli post scritti.

Il sistema è davvero semplice e al contempo geniale perché permette, soprattutto ai nuovi visitatori che vogliono avere una rapida panoramica di quello che viene scritto in un blog, di scorrere rapidamente i vari articoli, che vengono svelati mano a mano che si scorre la pagina verso il fondo, senza dover aspettare che la pagina si ricarichi nuovamente cliccando sul classico link di navigazione “Pagina Successiva”. E’ facile immaginare che questa sorta di scrolling infinito della pagina, permette di far conoscere un maggior numero di articoli ai nuovi visitatori perché, si sa, un po’ come accade nei motori di ricerca, è difficile andare oltre la seconda o terza pagina di navigazione!

Installazione
  1. Scaricare il plugin
  2. Dopo averlo scompattato il pacchetto zip, installare il contenuto nella directory dei plugin di WordPress (/wp-content/plugins/)
  3. Attivare il plugin
  4. Nella pagina Impostazioni/Infinite Scroll occorre settare alcuni selettori css (Content CSS Selector, Post CSS Selector, Navigation links CSS Selector, Previous Posts CSS Selector) che si trovano nel proprio template (nel file index.php del tema installato). L’autore garantisce che, per la maggior parte dei temi, il plugin dovrebbe funzionare senza alcuna modifica e con i selettori di default. Personalmente sul mio sito ho dovuto personalizzare i selettori css relativi alla barra di navigazione (div.navigation_bottom e div.navigation_bottom a:first) dove si installa l’ajax loader che visualizza il caricamento in corso degli articoli (e che sostituisce i link Pagina Successiva e Pagina Precedente)
  5. Di default il plugin funziona solo se si è loggati come utente Administrator ed è disabilitato a tutti gli altri utenti o a chi non è loggato. Lo scopo è permettere la corretta messa a punto del plugin senza disservizi. Terminata la fase di configurazione, nella pagina Impostazioni/Infinite Scroll è possibile abilitare a tutti la funzionalità di scrolling dinamico.
Impressioni

Devo dire che rispetto al Live Scrolling di Google Reader, il sistema mi sembra meno reattivo, nel senso che mentre nel primo caso neanche ci si accorge del caricamento dei nuovi item, con questo plugin occorre arrivare all’ultimo post per iniziare il caricamento dei successivi (secondo me dovrebbe iniziare almeno a due o tre articoli dalla fine) e attendere qualche secondo. Credo, però, che ciò in parte sia da imputarsi alla ovvia differenza prestazionale di un server come quello di Google rispetto a quello usato da me; inoltre queste differenze si notano soprattutto perché scorrevo la pagina con la rotellina del mouse senza leggere, ma in condizioni normali, un visitatore darebbe una occhiata agli articoli e quindi, forse, neanche si accorgerebbe del caricamento.
In teoria è possibile anche impostare un basso numero di articoli visualizzabili in homepage (2 o 3 al massimo) perché i successivi verrebbero caricati dinamicamente mentre si scorre la pagina.

Bug

Ho incontrato una non perfetta compatibilità con il plugin SyntaxHighlighter, in quanto non riesco a visualizzare correttamente il codice incluso negli articoli caricati dinamicamente. Ho intenzione di contattare l’autore del plugin per metterlo a conoscenza di questa problematica.

In conclusione

Non so quanto questo plugin possa incidere a livello prestazionale e di banda occupata ma non credo che possa apportare grossi problemi, a tutto vantaggio di una navigazione più veloce e fluida.
Se volete vedere il plugin in azione, andate nella homepage di Levysoft e scorrete la pagina verso il basso.

Tag:Ajax, Blog, Css, Javascript, Php, Plugin, template, Web 2.0, Wordpress
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