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Dal 2004 il blog di Antonio Troise

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Apr 21 2009

Portable Ubuntu: come far girare Ubuntu su Windows senza installazioni, partizioni o virtualizzazioni

Posted by Antonio Troise
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Recentemente ho provato Portable Ubuntu, un’alternativa molto più performante e più semplice ad Ulteo Virtual Desktop, recensito su questo sito qualche tempo fa, che consente di far girare su Windows molte delle applicazioni scritte per Linux, utilizzando la tecnologia Cooperative Linux. Lo scopo principale di Portable Ubuntu è quello di far avvicinare a Linux anche gli utenti meno smaliziati che non sopportano una installazione ex novo di Ubuntu, con tutti i timori, ora meno giustificati di un tempo, di un partizionamento del disco fisso.

Ubuntu, grazie anche alla sua comunity, si è sempre contraddistinto, rispetto alle altre distribuzioni linux, per la estrema semplicità d’uso, sia durante il processo di installazione molto semplificato sia per il fatto di rendere la distribuzione avviabile direttamente da DVD senza passare per forza per una installazione (con tutti gli svantaggi dal punto di vista delle performance dato che la velocità in lettura di un dvd sono sicuramente inferiori a quelle di un hard disk) proprio per offrire a chiunque la possibilità di una valutazione del prodotto.
Ultimamente sono nate anche altre soluzioni, come Wubi Installer, uno speciale tipo di installazione per Windows (che si appoggia sempre alla ISO scaricabile da qui) che permette di trattare Ubuntu come un normale applicativo che si installa e si disinstalla (da Aggiungi/Rimuovi Programmi) e penserà tutto lui ad impostare il setup e a creare le partizioni. Oppure, grazie a Portable Qemu Persistent Ubuntu, che sfrutta la potenza della coppia di Qemu e di un’immagine ISO di Ubuntu (che potete anche personalizzare usando il l’Ubuntu Customization Kit), si può eseguire il sistema operativo virtualizzato su una macchina Windows che resterà intatta: è sufficiente scaricare il file qpubuntu.zip scompattarlo in un device USB e avviare il file batch ubuntu.bat (un altro esempio di uso di QEMU, trattato anche in un mio vecchio articolo, è la mini distribuzione Damn Small Linux).

Come far funzionare Portable Ubuntu

Portable Ubuntu è una applicazione portabile che non richiede alcuna installazione o virtualizzazione di sistema il che viene indubbiamente in soccorso agli utenti poco esperti.
La procedura è semplice (su HowToForge trovate anche una guida inglese passo passo):

  1. Scaricate il file Portable_Ubuntu.exe (che altro non è che un pacchetto autoestraente 7zSFX da 438 MB) e decomprimete l’archivio (che richiede in totale 1,85 GB di spazio libero su disco)
  2. Fate doppio clic sul file run_portable_ubuntu.bat che si trova nella cartella appena scompattata
  3. Si aprirà in alto una piccola barra che metterà a disposizione una versione di Ubuntu utilizzabile come un qualsiasi programma per Windows: infatti tutte le applicazioni linux appariranno come finestre sul desktop di windows (tanto che nella taskbar troverete i task di ogni applicativo aperto e da li potrete massimizzare, minimizzare o chiudere le finestre) e sarà anche possibile effettuare copia ed incolla fra i due diversi ambienti in entrambe le direzioni.
Portable Ubuntu 1

Nel caso aveste ancora dubbi, ecco un filmato che vi spiegherà tutte le semplici e poche operazioni da seguire:

Prime impressioni

Devo però constatare che, a differenza di quanto venga affermato, su un sistema di non ultima generazione (parlo di un PC Pentium IV con appena 512 MB di RAM), l’avvio di Portable Ubuntu, richiede poco più di 1 minuto e l’apertura delle varie applicazioni non risulta molto veloce. Ma d’altronde è comprensibile: se ad occupare la memoria di sistema vi è Windows, con tutti i suoi memory leaks nativi, non è possibile beneficiare totalmente della agilità propria di un sistema operativo come Linux, almeno su sistemi datati.

In ogni caso è indubbiamente comodo avere, sul proprio sistema operativo principale, ahimè Windows, la possibilità di lanciare ma anche installare alcune potenti applicazioni solo per Linux (per non parlare del grande vantaggio di avere la potente shell unix su Windows)! Addirittura, per come è lo scopo del progetto e come si può intuire dal nome, se copiate la cartella di Portable Ubuntu su una pennetta USB o su un hard disk esterno USB (cosa consiglio per avere maggiori performance), avrete la vostra distribuzione Linux sempre con voi ed eseguibile da qualsiasi PC Windows a cui avrete accesso.

Portable Ubuntu 2
Come funziona

Se siete curiosi di sapere quale sia il segreto su che si nasconde dietro Portable Ubuntu, dovete sapere che alla base di questo idea vi è un progetto precedente: andLinux che, usando sempre Ubuntu, si appoggiava su XFCE Panel e KDE (qui la guida step-by-step per l’installazione). Entrambi i progetti, però, si appoggiano a 3 pacchetti software sapientemente combinati tra loro:

  • Xming è una versione dell’X Server per sistemi Windows;
  • Pulse Audio è un Server Audio per sistemi POSIX e Win32 che si “interpone” tra il sistema audio nativo di Windows e quello delle applicazioni;
  • coLinux Kernel è uno dei porting del Kernel Linux per Windows, che permette di far funzionare il kernel di Linux come un vero e proprio processo di Windows. in pratica utilizzando un driver particolare che rende possibile l’esecuzione dell’applicativo coLinux in “modalità Ring 0″ (la modalità privilegiata cui esegue parte del Windows Kernel) si rende funzionante il Kernel Linux all’interno di uno specifico spazio di indirizzamento (quello del processo coLinux). Intercettando gli interrupt hardware, e cooperando con alcune funzionalità del sistema di basso livello di Windows, l’applicativo coLinux rende il Kernel Linux pienamente funzionante. In questo modo il Kernel Linux si avvia ed è in grado di gestire gli esegubili in formato binario elf, ovvero quelli di una tradizionale distribuzione Linux.

Se volete approfondire l’argomento sul sito del progetto troverete tutta la documentazione necessaria, come le istruzioni su come ampliare lo spazio di archiviazione, su quale è la password (importante per installare applicazioni con synaptic) per l’utente predefinito pubuntu (di default è impostata a: 123456) e su come accedere ai file del vostro disco C: di Windows (sarà sufficiente andare nella cartella /mnt/C).

Tag:Linux, portableapps, qemu, ubuntu, usb, virtualizzazione, Windows
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Mar 16 2009

Come estrarre una chiavetta USB senza scollegare l’hardware in modalità sicura facendo attenzione a come formattare la flash drive per non perdere dati

Posted by Antonio Troise
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L’altro giorno ho spiegato come formattare in NTFS una pen drive aggirando le limitazioni di Windows; oggi, invece, voglio spiegarvi come estrarre una chiavetta USB senza scollegare l’hardware in modalità sicura, semplicemente settando correttamente una impostazione di Windows sconosciuta ai più. Questo metodo, implicitamente, vi permetterà, anche di trovare un altro metodo per riuscire a formattare da Windows una pennetta USB in NTFS.

Come noto, quando dobbiamo estrarre un dispositivo di archiviazione USB (una chiavetta flash o un hard disk portatile) dal proprio PC, anche se è vero che le porte USB sono Plug and Play e supportano i dispositivi hot swap per la rimozione a caldo delle periferiche, è sempre opportuno avviare la procedura che “Scollega l’hardware in modalità sicura” in modo da essere sicuri che tutte le attività di scrittura vengano terminate, onde evitare possibili perdite di dati e di informazioni. Ovviamente, il più delle volte questa operazione potrebbe sembrare noiosa, e quante volte vi sarà capitato, magari andando di fretta, di non seguire tutta la procedura corretta, con il conseguente messaggio di errore di Windows che vi farà sudare freddo? Personalmente non credo di aver mai perso dati scollegando un dispositivo USB in maniera affrettata, ma il rischio esiste sempre.

Scollegare USB

Altre volte, invece, può capitare che, anche quando si va cliccare sull’icona in basso a destra per la rimozione sicura dell’hardware, il sistema operativo potrebbe rispondere che è impossibile disattivare la periferica perché in uso, e di provare in un secondo momento, nonostante, però non vi sia, almeno apparentemente, alcun trasferimento dati in corso. Solo dopo 3-4 tentativi, si riuscirà a rimuovere il dispositivo, con evidente perdita di tempo.

Come estrarre una chiavetta USB senza scollegare l’hardware in modalità sicura

Ebbene, se anche voi siete afflitti da questi problemi, è perché forse non siete a conoscenza del fatto che, se si disattiva la cache di scrittura sul dispositivo USB, è possibile saltare la fase di disconnessione del hardware in modalità sicura, senza, però, alcuna perdita dei dati. Per fare ciò, è sufficiente andare sulla voce Sistema (System in inglese) del Pannello di controllo

Scollegare USB

e cliccare sul tab Hardware -> Gestione Periferiche (Device Manager),

Scollegare USB

e quindi selezionare la voce “Unità disco” (Disk Drives) e con il pulsante destro del mouse cliccare sulla periferica USB desiderata cliccando poi sulla voce Proprietà (Properties).

Scollegare USB

Dalla finestra che si aprirà, nella scheda “Criteri” (Policies) verifichiamo che sia spuntata la voce “Ottimizza per la rimozione rapida” (Optimize per quick removal) che, di solito, è l’opzione di default dei sistemi Windows.

Scollegare USB

Purtroppo, questa operazione, andrebbe eseguita su ogni PC su cui si intende collegare il dispositivo e su ciascuna periferica USB a cui si vuole disabilitare la cache in scrittura, ma una volta impostato, non avrete più necessità di scollegare l’hardware in modalità sicura.

Metodo alternativo per abilitare la formattazione NTFS su Windows

Quello che non tutti sanno, però, è che dalla maschera dei criteri, è possibile anche formattare in NTFS una pen drive aggirando le limitazioni di Windows. Infatti, se si imposta il valore “Optimize for performance“,

Scollegare USB

nella maschera di formattazione della periferica USB, comparirà anche la voce NTFS oltre che quella di default FAT32;

Scollegare USB

mentre se si imposta, come suggerito nella procedura sopra esposta per rimuovere una chiavetta USB senza scollegare l’hardware in modalità sicura, il valore “Optimize for quick removal”

Scollegare USB

allora nella maschera di formattazione della periferica USB, comparirà solo la voce di default FAT32.

Scollegare USB

Il motivo di questo comportamento, apparentemente anomalo, è presto spiegato. Nell’opzione “Optimize for quick removal” la formattazione NTFS non viene mostrata perché è caldamente sconsigliato effettuare l’estrazione di una periferica flash formattata NTFS senza eseguire la procedura di estrazione dell’hardware in modalità sicura, poiché si rischierebbe di compromettere l’integrità del file sistem, in quanto questo particolare file system proprietario Microsoft, mantiene sempre aggiornato l’NTFS transaction log (journal) e, se questo venisse corrotto, si rischia di rendere il contenuto della periferica USB inutilizzato. Insomma, siccome NTFS è un journaling file system, tutti i disk transactions sono loggati separatamente sulla periferica, il che comporta, inevitabilmente, un carico di scrittura maggiore e praticamente invisibile all’utente.
Ironicamente, la formattazione FAT32, nonostante più vecchia e con tutte le sue limitazioni, si dimostra essere, nei casi di rimozione improvvisa del drive, molto più sicura.

Conclusioni

Quindi, ricapitolando, se volete immagazzinare su una chiavetta USB file più grandi di 4GB, o magari volete criptare i vostri documenti con il tool messo a disposizione da Windows XP Professional (EFS file encryption), assegnare i privilegi ai vari file, o settare i disk quotas, allora dovrete necessariamente formattare la pennetta USB con il file system NTFS (usando il tool convert.exe, oppure usando l’utility gratuita per Windows HP USB Disk Storage Format Tool, o, infine, per usare l’utility di formattazione di Windows, impostando “Optimize for performance” nei criteri di ottimizzazione delle performance) ma così facendo non potrete mai disabilitare la cache in scrittura sul drive esterno, pena la corruzione dei dati.

Se invece, non avete particolari necessità, potete lasciare la formattazione FAT32 (che di fatto, proprio perché non è proprietaria, è supportata da tutti i sistemi operativi Linux, Mac e Windows, ma anche dai lettori MP3 o dalle cornici digitali, risultando, in pratica, il minimo comune denominatore di tutti i sistemi), e disabilitare senza problemi la scrittura della cache che vi permetterò di rimuovere un drive USB senza passare per la procedura di rimozione dell’hardware in modalità sicura. A voi la scelta!

Tag:cache, fat, filesystem, flash, format, ntfs, usb, Windows
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Feb 23 2009

Come formattare una penna USB da FAT32 a NTFS su Windows

Posted by Antonio Troise
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Al giorno d’oggi, trovare una penna USB grande 8 o 16 GB è molto facile e i prezzi sono oramai molto contenuti per cui non è raro trovarsi a dover copiare un file, magari una ISO di un DVD, di dimensioni superiori ai 4 GB. Oltre al fatto che, almeno per ora, le velocità delle pennette USB di tipo flash memory, sono inferiori rispetto agli hard disk esterni, e quindi, per copiare file di grandi dimensioni, ci si impiega più tempo che non a fare la stessa operazione su un normale hard disk a testina, il problema più grande che normalmente si incontra è che tutte queste flash drive, per ragioni di retrocompatibilità, sono sempre formattate FAT32. Se si considera, poi, che Windows XP non ha, nella sua utility di formattazione, un opzione che prevede la possibilità di inizializzare una pen drive in NTFS, si capisce bene che, per la maggior parte degli utenti, questo risulta essere un problema insormontabile.

Formattare una pen drive in NTFS

Quello che non tutti sanno, però, è che questo è solo un evidente problema di limitazione della utility grafica di Windows XP, perché di fatto è possibile formattare una pendrive come NTFS.

Formattare una penna USB in NTFS

Come noto, di solito, le pen drive vengono sempre formattate FAT32 e credo sarà sempre così almeno finché i drive non supereranno le dimensioni di 32 GB (mentre, fino a qualche anno fa, le prime pennette USB avevano addirittura un file system formattato FAT16, con un limite di 2 GB). Il motivo dell’adozione della partizione FAT32 è semplicemente quello di evitare problemi di compatibilità con altri sistemi operativi, dato che il file system NTFS è una tecnologia proprietaria di Windows (patented technology) e non tutti i sistemi operativi (come Mac OS X) la supportano nativamente in scrittura.

In realtà, prima di proseguire il discorso, vorrei far chiarezza su una mia affermazione procedente, che a prima vista potrebbe risultare non propriamente esatto. Quando ho asserito che 32 GB era il limite della dimensione di un volume FAT32, in realtà è più giusto dire che questo è solamente un altro limite arbitrario delle utility di formattazione e partizionamento di Windows 2000/XP/Vista, ed è per questo che credo che tale file system verrà adottato almeno finché le pen drive non supereranno tali dimensioni, visto che, altrimenti, con i sistemi operativi di casa Redmond non si avrebbe la possibilità di formattare il disco.
In ogni caso Utility di terze parti (ma anche il sistema di partizionamento di Mac OS X) possono tranquillamente creare e gestire partizioni FAT32 fino a 1 TB; io stesso ho un hard disk esterno da 320 GB formattato FAT32. Quel che invece resta immutato è che, con il FAT32, la dimensione del singolo file non può essere superiore ai 4 GB!

Quindi, se l’uso prevalente della vostra penna USB è sotto Windows e avete la necessità di caricare file di grandi dimensioni (superiori ai 4 GB), o semplicemente volete ottimizzare lo spazio usato sul disco riducendo le dimensioni dei cluster, allora dovrete fare in modo di formattare la vostra flash drive in NTFS. L’unico modo per farlo utilizzando gli strumenti messi a disposizione da Windows, è quello di convertire il file system anziché formattarlo!

Per farlo, basterà aprire il prompt dei comandi del DOS ed eseguire il comando DOS Convert sull’unità USB. Quindi, nel caso la lettera associata alla vostra pen drive sia “G” (la potete verificare andando su Risorse del Computer),

Formattare una pen drive in NTFS

allora dovrete lanciare il seguente comando:


convert G: /fs:NTFS

ATTENZIONE: La procedura inizierà senza chiedere alcuna conferma (a differenza di quanto avviene, invece, se si fa la stessa operazione sul disco di boot).

L’indubbio vantaggio nell’usare il comando “convert”, oltre alla estrema velocità dell’operazione, è anche quello di non perdere i dati contenuti nella pennetta, dato che questa applicazione non formatta il disco (cosa, invece, che sarebbe accaduta se avessimo una qualsiasi utility di formattazione) bensì converte semplicemente il file system da FAT32 a NTFS (mi sento comunque di consigliarvi un backup prima della conversione).

UPDATE: Grazie all’utility gratuita per Windows HP USB Disk Storage Format Tool è possibile formattare una pendrive USB in NTFS e, anche, renderla avviabile in fase di boot. Sviluppata da HP per le sue pendrive, ma che funziona senza problemi anche con altre, ha dalla sua la semplicità di utilizzo e la comoda funzionalità che permette di rendere la vostra pennetta USB avviabile in fase di Boot del sistema: basterà formattarla, copiarci i file: boot.ini, ntldr, e ntdetect, e, infine, configurare il vostro Bios per permettere l’avvio da USB, ed il gioco è fatto.

Tag:cluster, fat, filesystem, flash, format, ntfs, usb, Windows
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Feb 9 2009

Cosa valutare nella scelta di un Hard Disk esterno da 3,5” da 1 o 2 Terabyte della Western Digital

Posted by Antonio Troise
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Per effettuare backup dei miei PC e per immagazzinare foto e video, avevo intenzione di comprare un Hard Disk da 1 o 2 Terabyte della Western Digital: sembrano i più affidabili ed, inoltre, al momento, di queste dimensioni, nei negozi sembrano esistere prevalentemente di questa marca. Ho provato anche un modello Lacie ma era estremamente rumoroso rispetto al corrispettivo modello Western Digital (decisamente silenzioso durante il funzionamento per l’assenza di ventole), cosa che, per forza di cose, dovendolo affiancare al mio silenziosissimo iMac, lo ha fatto escludere dalla selezione.

Hard Disk esterno da 2 Terabyte

Inizialmente stavo valutando un dispositivo di storage da 2 Terabyte per avere un prodotto definitivo che sarebbe durato nel tempo: il WDH2U20000E, ovvero il WESTERN DIGITAL MY BOOK MIRROR 2 TB (DOPPIO DISCO) USB RAID 0-1

Hard Disk 2 Terabyte della Western Digital

Su ePrice avevo anche trovato un buon prezzo: € 289,99.

Ma leggendo il manuale di istruzioni disponibile online e analizzando le sue caratteristiche ho capito che forse non faceva al mio caso. Infatti gli svantaggi erano molti:

  • Essendo un disco mirror, ovvero costituito da 2 HD 3,5” distinti da 1 Terabyte l’uno, occupava il doppio dello spazio di un comune disco esterno: 9,8cm di larghezza dei 2TB contro i 5.4cm di larghezza del modello da 1TB
  • Il modello preso in esame, che è quello di fascia più bassa, non prevede una porta Firewire ma solo USB 2.0. Avendo anche computer Mac, che sono dotati di queste interfacce, mi avrebbe fatto comodo usarle in modo da lasciare libere quelle USB 2.0. Il modello, identico a questo ma con anche l’interfaccia Firewire, è troppo costoso e si aggira sui € 469,99.
  • Essendo un sistema di mirror Raid 0/1, ovviamente, prevede l’installazione di un software proprietario per la gestione del mirror dei dischi (da installare su tutti i sistemi Mac o Win a cui dovrà essere connesso l’hard disk), anche nel caso si intenda, come nel mio caso, usarlo con configurazione Raid 0, e quindi come se fosse un unico HD da 2 Terabyte, anzi nello specifico, come 2 hard disk su un unico filesystem. Ciò, di fatto, secondo me, non volendo usare il mirroring ma tutto lo spazio a disposizione, costituisce un punto a sfavore.
Hard Disk esterno da 1 Terabyte

Appurato, quindi, che, al momento delle mie valutazioni, non esisteva alcun hard disk singolo da 2 Terabyte (è recente la notizia che Western Digital ha annunciato il primo hard disk con capacità di ben 2TB, il Caviar Green 2TB, al prezzo di 299$), e non volendo ricadere nel mirroring, ho optato per la versione da 1 Terabyte sempre della Western Digital: il WDH1CS10000E, ovvero il WESTERN DIGITAL – My Book Home 1 TB Tripla Interfaccia USB + FW400 + eSATA.

Hard Disk 1 Terabyte della Western Digital

Su ePrice ho trovato, anche questa volta, un buon prezzo di € 176,99

Questa volta ho trovato, invece, alcuni vantaggi:

  • Le dimensioni sono abbastanza ridotte e comunque si attestano sui normali valori degli HD esterno da 3,5”.
  • Non necessita di alcun software da preinstallare sui sistemi operativi per far funzionare l’hard disk in modalità RAID 0 (anche se sono consigliati alcuni, non sono obbligatori)
  • Oltre ad 1 interfaccia USB 2.0 (la cui velocità di trasferimento arriva anche a 480 Mbit/s), dispone anche di 2 interfacce Firewire 400 (che è in grado di raggiungere i 400 Mbit/s), e 1 interfaccia eSata (con velocità massima di trasferimento di ben 3 Gb/s) ottima nel caso si debbano elaborare filmati in alta definizione. Vi erano anche hard disk con interfaccia Firewire 800, in grado di innalzare la velocità della connessione a quasi 800 Mbit/s, ma i prezzi, anche questa volta iniziavano a lievitare troppo per un hard disk di 1 Terabyte
Conclusioni

Insomma, alla luce di queste mie considerazione, ho optato per l’acquisto del modello da 1 Terabyte con tripla interfaccia USB + FW400 + eSATA (qui ho trovato una guida su come rimuovere il Button Manager, che non ho installato comunque poiché talvolta può creare qualche problema). Ovviamente queste erano le mie esigenze particolari e magari non coincideranno con le vostre. Ho però voluto condividere questi miei pensieri nella speranza possa essere utile a qualcuno nella scelta del vostro hard disk esterno. In realtà esisteva anche il modello MyBook World Edition II da 1 Terabyte con solo una interfaccia ethernet, ma è comunque dotato di una configurazione a doppio drive e di funzionalità RAID 1, cosa che, come spiegato in precedenza, non faceva al caso mio.

Tag:firewire, hard-disk, sata, storage, usb
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Nov 26 2008

IEEE 1667: in arrivo lo standard di autenticazione delle porte USB per impedire la copia non autorizzata dei dati sensibili sui dischi esterni USB

Posted by Antonio Troise
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Il nuovo standard IEEE 1667, in corso di standardizzazione presso l’”Institute of Electrical and Electronics Engineers” (IEEE) (l’autorità che si occupa delle certificazioni in campo elettronico ed elettrico), è la nuova tecnologia che farà storcere il naso a molti ma che darà maggiore sicurezza alle aziende che potranno così godere di una maggiore riservatezza dei loro dati. Nato con l’obiettivo di bloccare la visualizzazione di dispositivi USB da parte del sistema, il suo scopo ultimo sarà quello di impedire la copia di dati presenti sul computer su dispositivi removibili come hard disk esterni e pennette USB.

In realtà la richiesta di questo nuovo standard arriva direttamente da tutte quelle aziende che, purtroppo, sono state toccate dal furto di dati sensibili e che guardano con sospetto ai numerosi, economici e sempre più capienti dispositivi USB come ad una fonte possibile di dispersione se non furto di dati ed informazioni riservate.

Uno standard che mette d’accordo tutti

Con l’adozione dello standard IEEE 1667, l’unico modo per far vedere al computer un dispositivo sarà di passare per un processo di autenticazione e di convalidazione, salvo altre impostazioni decise dalle aziende, che potranno decidere quali dispositivi potrete collegare al vostro PC aziendale e in assenza delle quali non saranno in grado di essere visti dal sistema. In pratica si potranno completamente bloccare le porte USB senza ricorrere a metodi empirici come sistemi proprietari o configurazioni particolari che disabilitano le porte USB, ma solo con sistemi non standardizzati che obbligano ad acquistare software aggiuntivi o a seguire procedure complesse.

Il nuovo formato, infatti, non è dipendente da una piattaforma e potrà funzionare su differenti sistemi operativi, chiaramente previo supporto. Microsoft, tra i grandi promotori dello standard, dovrebbe integrare il supporto IEEE 1667 in Windows 7, nella speranza che, come accade su molte configurazioni su Windows Vista, questa autenticazione non sia solo di intralcio agli utenti.

Per maggiori dettagli tecnici sullo standard IEEE 1667, potete leggere questo articolo di Computer.org: Authentication in Transient Storage Device Attachments.

Tag:drive_usb, hard-disk, IEEE, IEEE 1667, microsoft, security, sicurezza, standardizzazione, usb, Windows
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Ott 17 2008

Diremo presto addio al Firewire? Perché Apple ha abbandonato questo standard e i 4 principali problemi che incontreranno i possessori dei nuovi Macbook

Posted by Antonio Troise
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Che uno standard venga soppiantato da un altro per via del fatto che diventi obsoleto, magari perché meno veloce (come accadde tra l’USB 1.1 e USB 2.0), è un fatto normale in tecnologia. Un po’ meno, anche se è accaduto più spesso di quanto uno si aspetterebbe, che uno standard migliore venga soppiantato da uno che è tecnologicamente inferiore ma molto più diffuso (come accadde tra VHS e Betamax). Ancor meno che una società, come Apple, che ha da sempre sponsorizzato lo standard Firewire, decida ad un tratto di non renderlo più presente nei suoi Macbook e nel LED Cinema Display da 24″ (che ha solo un hub USB), sostituendolo con il più diffuso USB, e lasciandolo, nella sua versione a 800 MB/s (visto che con un semplice adattatore si possono interfacciare dispositivi FW400 con un ingresso FW800), solo nella fascia più professionale dei portatili.
In realtà, non è la prima volta che Apple abbandona le Firewire nei suoi prodotti consumer: è accaduto, infatti, che con gli iPod di 5° generazione la porta Firewire è stata sostituita da una USB, ma il motivo principale era che si doveva rendere il lettore musicale compatibile con tutti i PC Windows (che solitamente era senza porta Firewire), visto che inizialmente l’iPod era nato solo per piattaforma Mac.

Firewire 400 to Firewire 800

La scomparsa della Firewire 400 nella fascia più economica dei laptop Apple, ha creato discussioni a non finire sul web e tutti si chiedono perché la società di Cupertino non abbia abbandonato solamente il vecchio Firewire 400 lasciando almeno un ingresso Firewire 800.

Ma, prima di analizzare nel dettaglio gli eventi, sarà bene fare un breve excursus sulle origini del Firewire, per poi passare ad analizzare i 4 principali problemi che incontreranno coloro che compreranno il nuovo Macbook, fino ad arrivare alle ipotesi finali sul perché Apple si sia comportata in questo modo.

Le origini del Firewire

La tecnologia di connessione ad alta velocità IEEE 1394 è stata creata da Apple nel 1995 e introdotta nel mondo informatico il 13 settembre 2000 sui portatili di fascia consumer con la FireWire 400. Questo nuovo standard portava al pubblico la facilità del montaggio video grazie al primo iMovie, quando ancora sulla maggioranza dei Pc nemmeno era considerata l’USB e l’unica alternativa per avere connessioni veloci era usare le catene SCSI (ma che avevano il grande svantaggio di non poter essere collegate a caldo).

Nonostante sulla carta l’USB 2.0 fosse leggermente più veloce (480 Mb/s contro 400 MB/s), nella pratica Firewire è sempre stato superiore all’USB 2.0 nel trasferimento dati grazie alla sua robustezza e alla sua banda dati passante notevolmente più ampia. Inoltre, grazie al fatto di poter garantire una velocità costante nella trasmissione del flusso video e, più in generale, di grandi quantità di dati, fu scelto come standard de facto per le videocamere in Digital Video (DV).

Problema 1: Nessun supporto per i dischi esterni Firewire

L’assenza della Firewire limita le scelte di chi, come me, possiede già dischi esterni Firewire visto che, al momento, non esistono in commercio adattatori per passare da un formato USB ad uno Firewire, rendendo di fatto inutilizzabili questi hard disk esterni, a meno che non si abbia anche un doppio ingresso USB come certi previdenti produttori hanno previsto.

Drive Firewire

Problema 2: Supporto parziale delle videocamere USB AVCHD

Ad oggi, l’ultima versione di iMovie 08 supporta anche l’acquisizione video da USB 2.0 delle videocamere AVCHD, anche se, come ho potuto constatare spesso, i formati video non sono ancora del tutto gestiti correttamente! Indubbiamente le telecamere AVCHD sono molto più pratiche di quelle DV o miniDV, poiché sono in grado di effettuare una registrazione tapeless, ovvero non sequenziale su nastro, ma direttamente come file. Dovendo, quindi, trasferire un file e non un flusso video, è facile intuire che, non è più necessario disporre di una velocità costante nella trasmissione del flusso video, e quindi può essere usato lo standard USB al posto di quello Firewire.

Fireware DV video editing

Però, io credo, che finché i Mac non gestiranno correttamente tutte le telecamere AVCHD, allora la scelta di abolire la connessione Firewire non ha senso. Se è vero che l’utente non professionale tende a scegliere un portatile entry level come un Macbook al posto di un Macbook Pro, è anche vero che, con lo stesso ragionamento, si suppone che possa scegliere anche una telecamera AVCHD al posto di una DV poiché, anche se sono più compatte e registrano direttamente su disco fisso, la loro qualità è nettamente inferiore, tanto da non essere ritenute accettabili da una buona parte dell’utenza che fa un uso minimamente intensivo del video. Infatti la maggior parte di queste telecamere, ad eccezione di quelle in alta definizione (anche se, comunque, alcune sono ancora legate al Firewire), registrano in MPEG2, e su uno schermo a 32” vi assicuro che la differenza si vede nettamente.

La questione quindi è: che senso ha eliminare uno standard (DV: Firewire) se prima non si risolvono i problemi di compatibilità con l’altro formato (AVCHD: USB)?

Leggendo le varie discussioni sparse per la rete, uno dei principali motivi di contestazione è nel fatto che chi ha intenzione di fare video digitale usando formati che consentono una post lavorazione (non necessariamente professionale, come il DV non compresso), non trova più una risposta nel MacBook.

La mia esperienza diretta mi ha portato a combattere spesso con le telecamere USB. Io ho una Sony Handycam con Hard Disk da 30GB e nativamente iMovie e Quicktime non leggono il formato video della mia telecamera (solo VLC, al solito, vi riesce e iDive, un ottimo catalogatore di video digitale che non ha, però, niente a che vedere con lo stato dell’arte di iTunes e iPhoto). Il problema, quindi, è che non sono mai riuscito a montare video proveniente dalla mia telecamera AVCHD semplicemente importandolo da iMovie, bensì deve sempre prima effettuare una preventiva conversione in MOV con ffmpegX, con la conseguente perdita di tempo (almeno paio d’ore). Tutto questo, invece, non accadeva, quando usavo la mia vecchia, ma qualitativamente migliore, telecamera Mini-DV.

Problema 3: Schede audio Firewire

Il problema, in ogni caso, rimane per le schede audio: da quelle economiche a quelle professionali, la connessione avviene via Firewire, proprio perché consente un flusso dati costante e una banda notevole. Solo su quelle Firewire è, infatti, garantita la registrazione multitraccia, mentre su quelle USB spesso non viene supportata.

Audio Firewire

Su molti siti dedicati alla musica, il consiglio diventa di acquistare il modello entry level fintanto che sarà disponibile. I musicisti, infatti, soffrono particolarmente della mancanza di questo tipo di connessione poiché molte apparecchiature audio di livello professionale si interfacciano solo attraverso Firewire, e un aggiornamento del portatile significherebbe di fatto vanificare migliaia di euro di investimento.

Problema 4: Firewire Target Disk Mode

Un quarto argomento tirato in ballo quando si parlava dei problemi che si incontravano dal momento in cui si è eliminata la porta Firewire sui portatili entry level, è quello relativo all’impossibilità di usare il Firewire Target Disk Mode, ovvero la modalità con cui qualunque Mac viene temporaneamente trasformato in un semplice hard disk esterno per trasferire facilmente file, se il computer è collegato via Firewire ad un altro e all’avvio premiamo il tasto T sulla tastiera.

Firewire Target Disk Mode

Indispensabile per le assistenze tecniche, questa funzione è anche parte del processo che Apple consiglia per migrare da un Mac ad un altro Mac i proprio documenti e le proprie preferenze. In qualche forum si legge di amministratori di sistema che si dichiarano pronti a passare a PC a fronte dell’impossibilità di usare il target mode: “visto che si deve spendere del tempo, tanto vale spenderlo per passare da Mac a PC e si spende meno“.

E’ notizia di oggi, però, che, per supplire alla mancanza di porta Firewire e dare comunque la possibilità di migrare applicazioni e dati da un Mac all’altro, il sistema operativo dei MacBook di nuova generazione è stato aggiornato con il Migration Assistant via Ethernet, dando accesso a questa funzione via ethernet e via wireless, anche se la cosa è sconsigliabile per questioni di stabilità e velocità.
Quel che l’aggiornamento non è in grado di fare è abilitare l’uso del Target Mode; Apple non ha aggiornato questa interessante funzione per renderla utilizzabile via USB.

Firewire Target Disk Mode

Vedere sparire questa peculiarità unica del mondo Mac e che contribuiva a renderlo sostanzialmente diverso da un comune PC, è un vero peccato, anche perché non esiste un equivalente di tale tecnologia nelle specifiche dell’USB. Ciò significa che per tutti coloro che acquisteranno un portatile Macbook, d’ora in avanti i dati andranno trasferiti solamente tramite network o da un backup esistente.

Le ipotesi per spiegare la mossa di Apple

C’è chi teorizza che, probabilmente Apple, togliendo la Firewire dalle macchine entry level, abbia cercato di spingere i professionisti del video e dell’audio ad acquistare solo i MacBook Pro con la scusa che hanno schede video e software (FinalCut) più adatti al loro scopo. Ciò farebbe pensare, quindi, che Apple abbia pensato che i “dilettanti”, invece, dovrebbe accontentarsi solamente della connessione USB ed iMovie, da collegare con la crescente pletora di telecamere Usb, lasciando ai professionisti le porte Firewire per l’audio e il video, creando un marcato segno distintivo del target consumer.

Macbook Firewire

Altri, invece, non credendo che un ingresso in più o in meno possa stravolgere il design di un prodotto, probabilmente l’ipotesi più plausibile è che forse si è voluto distinguere maggiormente, il Macbook dal Macbook Pro che, ad eccezione delle dimensioni dello schermo, della scheda grafica (integrata e non) e dal processore (più o meno veloce), sembrano del tutto uguali!

Conclusioni

In definitiva, quindi, al momento chi vuole a tutti i costi un Macbook con Firewire ma pensa che i Pro siano troppo costosi, è rimasto solamente il vecchio MacBook bianco con case in plastica, che oltre ad avere la porta Firewire, è anche dotato di masterizzatore DVD al costo di appena solo 949 euro. Certamente la scheda grafica integrata Intel è meno veloce di quella nuova della nVidia (e ciò potrà risentirne il montaggio video), ma almeno si potrà disporre di una comoda stazione portatile per il video alla portata di tutte le tasche.

UPDATE: Sulla rete sta iniziando a circolare, per i più nostalgici, questo video ripreso durante l’evento Mac di inizio anno 1999. Nel filmato Steve Jobs presenta al pubblico il Firewire con queste parole:

“Che cos’è il FireWire? Pensate al FireWire come ad un USB, ma piuttosto che veicolare 12 megabits-per-secondo riesce a raggiungere la ragguardevole velocità di 400 megabits-per-secondo,” dice Jobs. “Ed è già uno standard di fatto.“

UPDATE 2: Da Les Numériques arriva una notizia interessante: a giudicare dai test comparativi condotti, la porta USB 2.0 dei nuovi MacBook Pro ha finalmente prestazioni paragonabili alla FireWire, proprio quando la FireWire sparisce di circolazione.
Le performance dell’USB sono da sempre la spina nel fianco di ogni mac user; è infatti risaputo che a parità di Mac e disco esterno USB, un semplice trasferimento file avviene più velocemente se eseguito sotto Boot Camp e Windows che sotto OS X. Ora però assistiamo ad un netto miglioramento della bontà dei driver USB su Mac. Un disco rigido esterno a doppia interfaccia USB e FireWire ha prodotto infatti una velocità di circa 20 MB/s e 30 MB/s rispettivamente in scrittura e lettura, a prescindere dalla porta usata per i test, con risultati migliori persino rispetto al Pc Windows usato per le prove.
E’ un bene sapere che finalmente l’USB ha prestazioni di tutto rispetto, ed è una gradita sorpresa constatare che i nuovi Mac siano in grado di sostenere alte velocità di trasferimento e bassi tempi di accesso, ora che la FireWire si appresta a diventare un ricordo del passato.

Tag:Apple, AVCHD, drive_usb, dv, firewire, iPod, laptop, mac, macbook, macbook pro, mpeg2, nvidia, sony, Tecnologia, telecamere, usb, usb-2.0
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Ott 13 2008

I cavi USB con sezione più larga possono far funzionare gli hard disk portatili su porte sottoalimentate. La mia esperienza e la spiegazione applicando la legge di Ohm

Posted by Antonio Troise
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Recentemente ho comprato un hard disk esterno 2.5” USB 2.0′ da 320 GB della Verbatim. La scelta è ricaduta su questo marca (che molti forse snobberano in favore de più blasonati Lacie o WD) per due semplici ragioni. Il prezzo di 79€ era molto allentante e, inoltre, avendo avuto modo di provare lo stesso modello, ero rimasto piacevolmente colpito dalla sua estrema leggerezza, silenziosità, reattività e, per finire, dal fatto che funzionava senza alcun problema su una delle porte USB 2.0 del mio Macbook Pro che, notoriamente, è sottoalimentata.

Portable Hard Drive 2.5\\\'\\\' USB 2.0 320GB

Infatti, come ho avuto modo di scrivere tempo fa in questo mio articolo, quando collego direttamente alla porta USB posta sulla sinistra del mio portatile (porta A), hard disk con capacità superiori ai 160GB, questi non funzionano, mentre partono normalmente se li collego alla porta USB 2.0 posta sulla destra (porta B). Il problema era che per tutti i più recenti Macbook Pro, Apple ha creato una porta USB 2 “diretta” ed una USB 2 “condivisa”. Il risultato è che, finché i dispositivi USB collegati non hanno bisogno di una tensione troppo elevata, le porte sono perfettamente uguali e funzionanti. Ma nel momento in cui avrete bisogno di una tensione un po’ più superiore alla norma (e probabilmente gli hard disk portatili da 250 Gb e 320 GB rientrano in questa categoria), allora potrete usare una sola porta USB!

Macbook Pro

Ora, una volta constatato il problema e siccome sulla porta USB 2.0 posta sulla destra del laptop di solito vi collego il mouse (per una semplice ragione di comodità in quanto non sono mancino e far girare il cavo intorno al mio portatile non mi sembra esteticamente apprezzabile oltre che scomodo), potete capire che trovare un hard disk di quelle capacità che funzionasse anche sulla porta USB 2.0 sottoalimentata del mio Macbook Pro, è stata una vera novità.

I primi problemi

Quando però ho scartato la confezione del mio hard disk portatile e l’ho collegato al mio laptop, ho scoperto che anche questo, come tutti gli altri, funzionava correttamente solo sulla porta destra mentre su quella sinistra non riusciva a partire.

Portable Hard Drive 2.5\\\'\\\' USB 2.0 320GB

Non dandomi per vinto, ho provato a circoscrivere il problema, provando a cambiare il cavo USB in dotazione nella confezione con altri che avevo a disposizione. Alla fine, dopo alcuni tentativi, ho scoperto un fatto curioso: l’hard disk funziona perfettamente sulla porta sottoalimentata se si sostituisce il cavo USB dato in dotazione (da 3,5mm circa), con uno con diametro più grande (di circa 5mm)! Addirittura, l’hard disk a cui avevo preso in prestito il cavo “cicciottone” (un 160 GB della WD) non funzionava se gli collegavo un qualsiasi cavo USB più fino!

Pensando ad un difetto del drive (dato che il primo hard disk Verbatim che provai non aveva di questi problemi), ho provveduto anche a farmelo cambiare ma i risultati sono stati sempre gli stessi. A questo punto, mi viene da pensare che, il primo hard disk Verbatim che provai, nonostante avesse un cavo fino, probabilmente faceva parte di una partita riuscita sin troppo bene, rispetto al prodotto che veniva proposto con quel prezzo.

La teoria della sezione dei cavi USB

Su internet non ho trovato alcuna informazioni su una eventuale correlazione tra le tensioni in ingresso e i diametri dei cavi USB. Probabilmente sarà una combinazione tra le dimensioni del cavo e dal tipo di hard disk montato (che può richiedere più o meno alimentazione). Quel che è certo è che forse devo anche rivedere una delle ipotesi che feci tempo fa in un altro mio articolo: probabilmente, il fattore che determina il non funzionamento di un hard disk su una porta sottoalimentata, non è la dimensione in GByte del drive che richiedeva una tensione maggiore per il funzionamento (supposi che superando i 160GB non funzionassero più) bensì, semplicemente, il diametro o sezione del cavo USB (infatti lo stesso 160 GB che sembrava funzionare senza problema, avevo un cavo USB grosso, che sostituito con uno più fino, non funzionava più).

Confronto tra la sezione dei cavi USB 2.0

Sembra, quindi, che taluni hard disk, per funzionare su porte USB con una tensione minore di quelle standard, debbano avere un cavo USB più largo rispetto alla media: in particolare, dalle mie misurazioni (purtroppo effettuate non con un calibro ma un semplice righello, per cui possono essere affette di un margine di errore), devono avere un cavo USB da 5mm invece che da 3.5mm.

La spiegazione applicando la Legge di Ohm

Per spiegare questo fenomeno, forse, ci può essere di aiuto la seconda legge di Ohm (R = r l/S) che, in poche parole, ci insegna che, a parità di ogni altra condizione, la resistenza R di un conduttore (ovvero la tendenza di un conduttore a ostacolare il passaggio della corrente elettrica) è direttamente proporzionale alla sua lunghezza e inversamente proporzionale alla sua sezione. Per cui, all’aumentare del diametro del cavo USB, la resistenza del conduttore diminuisce.

Questo presupposto ci porta inevitabilmente ad applicare la prima legge di Ohm che afferma che la differenza di potenziale (tensione) applicata ai capi di un conduttore è direttamente proporzionale all’intensità di corrente che in esso circola e alla resistenza.
In forma matematica:

ΔV = i R

in cui ΔV indica la differenza di potenziale, i l’intensità di corrente ed R la resistenza. Tale legge permette di determinare, ad esempio, che è necessaria una differenza di potenziale di 10 V (volt) per far circolare una corrente di 2 A (ampere) in un conduttore che ha la resistenza di 5 Ω. Se, invece, il conduttore ha una sezione più larga, la resistenza scende, e, di conseguenza, anche la differenza di potenziale necessaria per alimentare un eventuale drive esterno, scenderà.

Al momento in cui scrivo non ho sottomano un tester per verificare questa tesi, ma credo che si possa avvicinare molto alla realtà.

Voi che ne pensate? Le mie ipotesi possono essere corrette? Vi è mai capitato di notare un simile comportamento anomalo negli hard disk esterni?

Tag:alimentazione, drive_usb, hard-disk, macbook pro, ohm, portatile, resistenza, usb, usb-2.0
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Mag 16 2008

Perché le 2 porte USB dei Macbook e Macbook Pro sono alimentate diversamente e quale scegliere per far funzionare correttamente alcuni hard disk portatili

Posted by Antonio Troise
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Non ci avevo mai fatto caso fino a quando non ho comprato un hard disk portatile da 2,5” USB 2.0 autoalimentato da 250 GB. Fino a quel momento avevo sempre collegato a una qualsiasi porta USB del mio Macbook Pro un hard disk da 160 GB e uno da 60 GB e non avevo avuto alcun problema: qualsiasi fosse stata la sua formattazione, riuscivo ad alimentare e a leggere/scrivere sull’hard disk portatile semplicemente collegandolo ad una qualsiasi delle due porte USB 2.0 del mio laptop (anche se non era collegato direttamente ad una presa di corrente).

Ma dopo l’acquisto di un hard disk da 250 GB le cose sono cambiate e ho iniziato ad avere qualche problema di funzionamento: se inizialmente pensavo ad un difetto di fabbricazione del dispositivo di memorizzazione, poi ho iniziato ad individuare una costante nel suo comportamento. Normalmente sono solito collegare un mouse USB sulla porta posizionata a destra del mio Macbook Pro, e quindi, tutti i dispositivi di archiviazione, se non sono firewire, li devo per forza di cose collegare alla porta USB posizionata alla sinistra del mio portatile. Ma quando ho iniziato a collegare a questa stessa porta, il nuovo hard disk da 250 GB, ho cominciato ad avere i primi problemi: il led di alimentazione si accendeva ma si udiva il caratteristico Clak-Clak tipico di una alimentazione insufficiente, come se la testina non riuscisse a spostarsi correttamente sul disco, e, ovviamente, la periferica non veniva montata da Mac OS X.

Il bello era che, quando spostavo il mio nuovo dispositivo di storage dalla porta USB 2.0 sinistra del mio Macbook Pro a quella di destra, non avevo alcun problema e l’hard disk riprendeva a funzionare correttamente.
La prova del nove l’ho avuta quando, spostandolo sulla porta sinistra, e collegandolo con un cavo con doppia USB (di quelli, cioè, che prendono l’alimentazione da due porte USB), l’hard disk riprendeva a funzionare anche sulla porta di sinistra: peccato che questa soluzione è alquanto scomoda poiché mi occupa entrambe le porte USB!

E’ stato così che ho capito che non tutte e due le porte USB 2 presenti sui MacBook sono uguali!

Devo dire che, di solito, i problemi di scarsa alimentazione si verificavano quando si usavano le vecchie porte USB 1.1 (che quindi avevano bisogno di utilizzare una fonte aggiuntiva) mentre con le porte USB 2.0 non mi era mai capitato.

A conferma delle mie ipotesi è venuto anche un articolo del giornalista del mondo Mac, Andy Ihnatko, che ha rivelato la scoperta della stranezza nella puntata 88 di MacBreak Weekly. Ma sono state molte le segnalazioni di utenti Mac con questo genere di problemi.

Da alcune prove fatte con il mio Macbook Pro e da quelle fatte da setteB su un Macbook, sembra, quindi, che Apple abbia creato una porta USB 2 “diretta” ed una USB 2 “condivisa”. Il risultato è che, finché i dispositivi USB collegati non hanno bisogno di una tensione troppo elevata, le porte sono perfettamente uguali e funzionanti. Ma nel momento in cui avrete bisogno di una tensione un po’ più superiore alla norma (e probabilmente gli hard disk portatili da 250 Gb e 320 GB rientrano in questa categoria), allora potrete usare una sola porta USB!

Ma ecco nel dettaglio (grazie all’ausilio del System Profiler) per il Macbook e il Macbook Pro, quali porte usare per dispositivi USB che richiedono tensioni di alimentazioni superiori alla norma.

Le differenti alimentazioni delle porte USB 2.0 del Macbook
Macbook

Se avete un Macbook e avete qualche accessorio USB non ben funzionante (hard disk, pen drive, microfoni USB o anche iPod) dovete avere cura di preferire sempre la porta B e non la A, visto che questo che potrebbe non fornire tutta l’alimentazione necessaria.

Macbook Ports

La cosa interessante è che sui laptop della generazione “precedente”, come il compatto PowerBook da 12 pollici, questo non accadeva, ed entrambe le porte USB 2 risultavano indipendenti.

Nel caso, quindi, avete un Macbook, è possibile verificare le affermazioni precedenti semplicemente collegando un mouse USB sulla porta A e aprire System Profiler per rendersi conto che il dispositivo condivide il bus USB con la tastiera e il trackpad

Macbook System Profiler A

mentre ciò non accade (ed il mouse risulta come dispositivo indipendente) se lo colleghiamo alla porta B.

Macbook System Profiler B
Le differenti alimentazioni delle porte USB 2.0 del Macbook Pro
Macbook Pro

Se avete un Macbook Pro e avete qualche accessorio USB non ben funzionante (hard disk, pen drive, microfoni USB o anche iPod) dovete avere cura di preferire sempre la porta B (ovvero quella posta ala vostra destra) e non la A (ovvero quella posta alla vostra sinistra), visto che questo potrebbe non fornire tutta l’alimentazione necessaria.

Macbook Pro Ports

Anche in questo caso, se avete un Macbook Pro, è possibile verificare le affermazioni precedenti semplicemente collegando un mouse USB sulla porta A e aprire System Profiler per rendersi conto che il dispositivo condivide il bus USB con il Bluetooth USB Host Controller (e non, come avveniva con il Macbook, con la tastiera e il trackpad).

Macbook Pro System Profiler A

mentre ciò non accade (ed il mouse risulta come dispositivo indipendente) se lo colleghiamo alla porta B.

Macbook Pro System Profiler B
Tag:alimentazione, Apple, drive_usb, hard-disk, iPod, laptop, mac, Mac os x, macbook, macbook pro, mouse, portatile, storage, trackpad, Tutorial, usb, usb-2.0
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Gen 19 2008

In arrivo connessioni eSATA autoalimentate per i nostri hard disk e impianti home theater: presto diremo addio agli antiestetici alimentatori esterni

Posted by Antonio Troise
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La Serial ATA International Organization (SATA-IO), il gruppo di standardizzazione SATA, ha annunciato, per la fine del 2008, il rilascio di nuove specifiche che eliminano la necessità per i drive SATA (Serial Advanced Technology Attachment) di utilizzare una connessione di alimentazione separata. Il nuovo standard si chiamerà Power Over eSATA e sembra che le nuove specifiche consentiranno agli utenti di drive di utilizzare un cavo Power over eSATA per prelevare l’alimentazione direttamente da un sistema host.
Le specifiche Power over eSATA sono state create congiuntamente da Intel, Hitachi e altri vendor di disk drive, in collaborazione con produttori di cablaggio e di laptop.

eSATA

eSATA, o external-SATA, è un’interfaccia per supporti esterni, in particolare per hard disk; l’aggettivo external si riferisce alla possibilità di collegare esternamente dispositivi SATA, tramite opportuno connettore e relativo cavo, simile a quello SATA classico ma comunque non compatibile. In pratica, in alternativa (e in concorrenza) alle connessioni USB o Firewire ormai ampiamente conosciute nell’ambito dei dischi esterni, questa interfaccia si aggiunge proponendo connessioni decisamente più veloci, al punto di poter gestire un disco esterno come se fosse uno interno ed al pieno delle sue prestazioni: avendo un disco esterno eSATA lo si può collegare, tramite opportuno cavo, alla porta eSATA della scheda madre, in modo da avere un disco esterno con prestazioni se non uguali, almeno paragonabili ad uno interno, esattamente come se il disco esterno fosse parte integrante del PC alla maniera dei tradizionali dischi interni.
Infatti, se lo standard USB 2.0 è in grado di trasferire un massimo teorico di 480 Megabit/sec., e FireWire 400/800 Megabit/sec., la capacità di eSATA è in linea con lo standard interno SATA 300, offrendo quindi una capacità teorica di 2,4 Gigabit al secondo, un valore incomparabilmente superiore ai precedenti, a patto, però, di usare un cavo non più lungo di 2 metri.

Un altro innegabile vantaggio dello standard eSATA, è quello di non avere la necessità di convertire il protocollo di comunicazione da Parallel ATA/SATA a USB/FireWire, come ad esempio avviene negli odierni hard disk esterni compatibili USB 2.0.

Ultimamente, però, l’eSATA sta facendo il suo ingresso nel consumo di massa anche grazie al regno dell’home theater, dove si richiedono bus di trasmissione dati sempre più veloci ed efficienti. Quindi, ciò significherà che, con l’introduzione dell’eSATA bus-powered, molto presto si elimineranno definitivamente gli antiestetici grovigli di cavi e le montagne di alimentatori che fuoriescono dai sempre più sottili schermi LCD.

E’ lecito pensare, quindi, che nel prossimo futuro lo standard eSATA dovrà affrontare la concorrenza di USB 3.0 e FireWire S3200, due tecnologie pronte a moltiplicare le rispettive velocità di trasferimento dati.

UPDATE: Purtroppo sembra che, al pari di USB, l’energia fornita da Power Over eSATA non sia sufficiente per alimentare dispositivi come drive ottici e hard disk da 3,5 pollici: ciò ne limiterà l’uso ai dispositivi mobili, come i già citati dischi da 2,5 pollici.

Tag:firewire, hard-disk, lcd, sata esata, usb
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Ott 22 2007

WUSB: Wireless USB

Posted by Antonio Troise
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WUSB Dopo l’annuncio dello standard USB 3.0, ecco arrivare anche quello della tecnologia wireless USB (WUSB) che, sfrutta una modulazione a banda larga (Ultra Wide-Band) permette di rimuovere completamente qualsiasi connessione via cavo continuando a mantenere una velocità di 480Mbps entro i 3 metri dalla sorgente e 110Mbps entro un raggio di 10 metri, con l’unico difetto che il segnale non è in grado di attraversare i muri. Se da una parte questo è un aspetto negativo, dall’altra molti i vantaggi, come ad esempio la sicurezza che il vicino di casa non intercetti le comunicazioni.

Grazie all’introduzione nel mercato dei chipset WUSB, le potenzialità saranno incredibili: si potranno trasferire senza fili le foto dalla propria camera verso un hard disk esterno comodamente e piuttosto velocemente. La stessa cosa si potrà fare con un chiosco di stampa, senza preoccuparsi di portarsi dietro il cavo giusto o magari disporre della memory card compatibile.

Nella speranza che entro la fine dell’anno i produttori (come Lenovo, Belkin) lancino prodotti WUSB, dagli HUB ai notebook, il W-USB, comunque, mentre è in attesa che tutti gli altri dispositivi, una volta ricevuta la certificazione, possano invadere il mercato, se la dovrà vedere con il Bluetooth soprattutto nel campo delle condivisioni delle immagini fra cellulari. Il Bluetooth 3.0, però, sarà praticamente un alleato del Wireless USB, perché di fatto condivide la stessa tecnologia radio UWB. Il Bluetooth 3.0, però, sbarcherà sul mercato non prima di 2 anni.

Tag:belkin, bluetooth, lenovo, usb, wireless, wireless_usb, wusb
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