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Dal 2004 il blog di Antonio Troise

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Ago 1 2016

Mestiere Impresa di BNL: il networking italiano per le startup

Posted by Antonio Troise
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Oggi la parola startup è sulla bocca di tutti e anche in Italia molti tendono ad aprirne una, agevolati anche dai numerosi incentivi dello Stato. Ma una volta aperta la propria azienda, ecco che possono iniziare i primi dubbi e difficoltà se non si è affiancati da qualcuno con esperienza nel campo. Ma spesso, chi è alle prime armi, va allo sbaraglio e non sempre le scelte fatte risultano essere sempre le migliori. È per questo che nasce Mestiere Impresa, una piattaforma digitale che dà alle aziende la possibilità di incontrarsi, fare rete e potenziare il proprio business. Grazie all’esperienza di BNL Gruppo BNP Paribas che l’ha sviluppata, questa piazza virtuale è il punto di incontro di tutte le aziende italiane che cercano modi innovativi per crescere e diventare sempre più competitive su un mercato in continua evoluzione.

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Il funzionamento è semplice quanto efficace: le imprese che si iscrivono al portale Mestiere Impresa, grazie ad una funzionalità di matching, potranno fare networking con le altre aziende della community, contattarle privatamente per qualsiasi esigenza legata al proprio business e stabilire con loro nuove relazioni.

Tutto questo è possibile dopo una prima registrazione gratuita, dopodicchè le aziende potranno inserire, all’interno del proprio profilo personale visibile online, tutte le informazioni relative alla propria attività e le offerte/richieste di beni e servizi, allo scopo di contattare o essere contattati da chi è interessato a fare rete in un’ottica di progresso e crescita.

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Come potete ben immaginare, le piccole aziende o quelle appena avviate, possono usare questo innovativo agorà digitale per crescere e diventare sempre più concorrenziali, oltre che per farsi conoscere e, magari, trovare nuovi partner utili per il proprio business.

Oramai sfruttare le le potenzialità del networking come i social network è diventato un must per le aziende, e allora perché non sfruttare le competenze e conoscenze, di una piattaforma dedicata alle startup come Mestiere Impresa, per potenziare il proprio giro di affari, crescendo insieme, garantendo, inoltre, ai propri clienti servizi e prodotti di alta qualità, grazie anche allo sviluppo di progetti di co-working.

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La ciliegina sulla torta però, Mestiere Impresa, la offre agli imprenditori italiani dove il gioco si fa più difficile è insidioso, con la possibilità di accedere ad una consulenza evoluta sull’estero per tutti coloro che vogliono espandere il proprio business oltre i confini nazionali (sezione Lavora con l’estero), di avere un supporto specialistico di eccellenza da parte degli esperti BNL e dei partner del Gruppo (sezione Esperti), di consultare le ultime notizie dai mercati per essere sempre aggiornati su tematiche di carattere economico, finanziario e di gestione aziendale (sezione Blog), di accedere ad una sezione dedicata alle startup per accompagnare l’azienda nel processo della digital transformation (sezione Startup).




#mestiereimpresa

Tag:bnl, mestiereimpresa, social-network, startup
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Set 2 2013

L’industria dei Mi Piace

Posted by Antonio Troise
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L'industria dei Mi Piace
In una recente inchiesta di Channel 4 nella trasmissione Dispatches si sono occupati di un fenomeno che ultimamente sta dilagando nei social network: l‘industria dei “Mi Piace” in grado di coinvolgere almeno 20.000 “dipendenti”. Per una paga di 12 dollari al mese (in paesi come il Bangladesh) hanno il compito di creare falsi profili al fine di incrementare il gradimento verso le pagine Facebook, Google+ o Youtube. Per fare un esempio, 1000 sostenitori su Twitter alcuni siti (come Socialkik) li offrono ad appena 29 dollari. Mentre 1000 follower su Instagram, il social dedicato alla fotografia, possono essere comprati per 15 dollari e 1000 “mi piace” per 30 dollari.
Per comprendere quanto sia importante questo mercato emergente, basti considerare che 1000 numeri di carte di credito costano nemmeno 6 dollari.

Addirittura alcuni hacker hanno modificato il virus Zeus, un tempo utilizzato per rubare i dati delle carte di credito, per pubblicare voti di gradimento finti su determinate pagine dei principali social network.

Di siti che offrono servizi del genere è pieno, basta cercare su Google le chiave di ricerca giuste per rendersene conto. Ma quel che è interessante notare è che non sempre i profili che generano tutti quei “Mi piace” sono fasulli o inconsapevoli. In molti casi gli utenti sono veri che attraggono altri utenti a suon di crediti. Chi cerca follower offre crediti che poi potrà rivendersi per aumentare il numero dei propri follower (come fanno siti come Grow Followers).

Ed ecco che quindi gli esperti SEO e di Social Media Roi si affrettano a ricordare che:

“Il numero di contatti, da solo, vuol dire sempre meno. Bisogna prestare attenzione al “page engagement”, inteso come somma di like, condivisioni, commenti e post spontanei»”

Basterà a far desistere personaggi in vista o responsabili di aziende a pagare per dimostrare che il proprio profilo o la propria pagina sia di reale interesse?

Tag:facebook, social-network
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Ott 21 2008

E’ giusto fidarsi di Facebook? Nuove regole della UE per garantire la privacy degli utenti dei social network

Posted by Antonio Troise
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In questi ultimi mesi Facebook ha avuto una vera esplosione di popolarità nel nostro Bel Paese. Ogni giorno non posso fare a meno di sentire colleghi di lavoro o amici che si invitano a vicenda, che si scambiano foto e video e che, mi chiedono, come mai ancora non sono su Facebook. Eh si, perché finché non potrò farne a meno tenterò di starne alla larga (è recente il caso di Paolo Attivissimo che è stato costretto ad iscriversi per evitare il rischio che qualcuno mettesse su Facebook un suo clone). Al momento, infatti, non ne vedo una vera e propria utilità ne necessità, anzi, mi sembra quasi una perdita di tempo, che rischia di disperdere il cibernauta tra taggature e inviti a giocare online (o almeno è quello che riesco ad intravedere tra i miei conoscenti) nella piazza virtuale più grande del mondo in cui ritrovare anche vecchi amici di cui si erano perse le tracce e, perché no, farsene altri nuovi sparsi per il mondo, per condividere foto, video e scambiarsi messaggi in tempo reale.

Niente più barriere e distanze tra le persone

Se è vero che Facebook (ma nella lista dei grandi social network rientrano anche MySpace e Friendster) hanno contribuito a terminare il lavoro iniziato nel Web 1.0 di abbattere le barriere e le distanze tra le persone, è inevitabile che il fatto di essere rintracciabili da chiunque semplicemente digitando nome e cognome su Google, causi la paura del “Grande Fratello”.

Creato nel 2004 da Mark Zuckerberg, all’epoca semplice studente di Harvard, con il solo scopo di mantenere i contatti tra ex compagni di classe, Facebook si è diffuso tanto da entrare in breve tempo tra i 10 siti più cliccati al mondo, primo fra tutti i social network: con i suoi 132.105.000 utenti unici (dati di Giugno 2008) ha raggiunto il primato sorpassando il leader MySpace, con appena 117.582.000 utenti, in quanto, per ciò che riguarda la facilità di utilizzo e l’integrazione della messaggistica istantanea non ha pari. Ma in Italia, come al solito (non so se per fortuna o meno) è sempre un po’ in ritardo, e solo negli ultimi mesi c’è stata una brusca accelerata: nel terzo trimestre del 2008 la diffusione di Facebook è stata così veloce che ha portato l’Italia alla guida della classifica mondiale per incremento di utenti (+135%).

Rischio Privacy per Facebook

Ogni utente ha una propria pagina e sceglie a chi renderla visibile, con buona pace sull’effettiva tutela della privacy. Ma il fulcro di Facebook non sono gli utenti, bensì i gruppi, vere e proprie comunità interne, quasi microcosmi o fan club che spaziano in tutti gli interessi possibili e sono gli utenti che decidono a quale gruppo aderire o quale gruppo creare.

Il problema è che le piazze virtuali, più che quelle reali, si prestano maggiormente all’uso indiscriminato e senza regole dei dati personali. E’ questo che, dall’Unione Europea, durante la 30ma Conferenza internazionale delle Autorità per la protezione dei dati personali tenuta a Strasburgo, 78 Garanti della privacy di tutto il mondo il 17 Ottobre 2008 si sono riuniti, per approvare un documento comune che tutti i social network (compreso, quindi, Facebook) dovranno rispettare per non incorrere in sanzioni. Quella del social network, sembra incredibile a dirsi, è l’emergenza più evidente della rete, che mette a rischio la privacy di milioni di cittadini.

Per capire quanto la nostra privacy sia a rischio, e potete provarlo voi stessi, se volete sapere se un amico è registrato su Facebook senza dovervi registrare è sufficiente, digitare il nome del vostro conoscente su un qualsiasi motore di ricerca accompagnato dalla parola “Facebook” e, se registrato e maggiorenne, quasi certamente potrete trovare la sua scheda pubblica collegata al noto social network. Da sabato 25 Ottobre 2008 non sarà più possibile trovare profili personali su Facebook utilizzando semplicemente i motori di ricerca: certo nulla vieta di registrarsi con un account fake per scandagliare i vari siti di social network, ma almeno si saranno ridotte le possibilità. Ma andiamo nel dettaglio delle decisioni prese dalla.

Perché fidarsi di Facebook?

E’ pur vero che le nuove tecnologie, oltre ad essere una indubbia opportunità per aprire le porte del successo o semplicemente alle nuove amicizie, sono anche fonte di nuovi problemi in quanto nessuno ha mai previsto tutte le insidie, soprattutto per la privacy. In particolare, questo documento, invita gli utenti del social network a tenere d’occhio i propri dati personali (per esempio, i minorenni non dovrebbero mai rendere noti indirizzo di casa e numero di telefono), ricorrendo, magari, all’uso di uno pseudonimo. In realtà se da un lato l’uso di nickname proteggerebbe la propria privacy e limiterebbero, anche se non escluderebbero, l’uso illecito dei dati, dall’altra vanificherebbe lo scopo ultimo di Facebook: quello, cioè, di trovare vecchi amici o compagni di classe di cui si erano perse le tracce, grazie all’indicizzazione, capillare, della maggior parte degli esseri umani! Una sorta di database del genere umano, compilato su base volontaria: ogni giorno ricevo email o richieste verbali di iscrizione a Facebook. So che a farmela non sono qualche Grande Fratello come lo Stato o Google, ma semplicemente dei miei amici: perché dunque non fidarsi? Ebbene, io di loro mi fido: ma c’è da fidarsi dei gestori di Facebook? E se ci si può fidare di loro, si nasconde sempre l’eventualità che qualche utente malintenzionato possa approfittare delle informazioni personali messe sul mio profilo pubblico.

Le regole per i gestori dei siti di social network

Ma, oltre ad informare gli utenti dei social network, i Garanti hanno avuto anche il compito di avvisare i provider di Facebook o altre agorà virtuali, che devo avere una speciale responsabilità verso tutti gli utenti, iniziando dal fatto che questi devono essere informati in modo chiaro ed esaustivo circa le possibili conseguenze a cui potrebbero andare incontro pubblicando informazioni sulla loro persona (tra queste spicca anche la consuetudine dei datori di lavoro che utilizzano i social network per valutare i candidati o controllare la condotta dei propri impiegati).
Inoltre, tra le raccomandazioni, i provider devono prestare attenzione a usi diversi da quelli principali, come quelli di marketing, e devono tenere sempre alto il livello delle misure di sicurezza per scongiurare intrusioni negli archivi. Quindi, devono sempre ricordare agli utenti che è sempre possibile, in qualsiasi momento, esercitare il diritto, in caso di irregolarità, di correzione o di cancellazione definitive, delle informazioni registrate.
Infine, un’altra raccomandazione molto importante, è il diritto all’oblio, ovvero che i dati degli utenti devono essere resi accessibili ai motori di ricerca solo quando esiste un consenso esplicito e informato della persona interessata e non devono essere automaticamente divulgati su internet. Ciò significa che, per impostazione predefinita, tutti i social network dovranno rendere inaccessibile ai motori di ricerca tutti i dati sensibili dei propri utenti, a meno che il loro consenso non sia chiaramente espresso.

Conclusione

Queste nuove regole cambieranno le carte in gioco e credo che nei prossimo mesi assisteremo ad una flessione delle utenze registrate su siti di social network, spaventate dalla possibilità che la propria privacy venga violata. E’ anche vero, però, che è giusto educare le persone su pericoli perché quando si naviga sul web, bisogna essere coscienti dei rischi che si incorrono quando si diffondono avventatamente i propri dati sensibili. Il problema è: saranno sufficienti queste nuove regole per tutelare il navigatore?

Tag:facebook, Internet, privacy, sicurezza, social-network, web, Web 2.0
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Ago 21 2007

Spock.com: il motore di ricerca delle persone che raccoglie le biografie di oltre 100 milioni di uomini, dalla rockstar alla persona comune

Posted by Antonio Troise
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Spock.com Con progetti molto ambiziosi e qualche polemica sulla privacy, è stato appena lanciato il primo motore di ricerca dedicato solo alle persone: Spock.com

Anche se il nome richiama alla mente lontani ricordi di Star Trek, Spock è stato creato da una società californiana di Redwood City, che ci ha investito sette milioni di dollari, raccoglie più di 100 milioni di profili (soprattutto americani) e cresce ogni giorno. E, come racconta uno dei suoi fondatori, Jay Bhatti, vorrebbe arrivare ad “averne uno per ogni uomo presente sulla terra”.
Su Spock è possibile trovare la biografia di uomini famosi come cantanti, attori, politici, vincitori di nobel, ma soprattutto di persone comuni!

L’idea di base è semplice e nasce dalle statistiche che dicono che il 30% delle ricerche online riguarda le persone, solo che l’esperienza per l’utente è oggi molto frammentata e insoddisfacente.
La novità di Spock è di mettere insieme informazioni pescate nella Rete, e completarle con foto e parole chiave, e collegare ciascun profilo a quello di altre persone, rendendo tutto più semplice.

Dove “trova” le notizie Spock? Ci sono diverse fonti: i siti delle università, come la galleria degli alunni della Cornell University esposta nella homepage, o le biografie censite da Wikipedia. Per la gente comune i dati arrivano dai siti di social-networking come MySpace, Friendster, LinkedIn e Facebook, mentre le foto per ora da siti come Flickr.
Il resto lo aggiungono i navigatori. Questa varietà di informazioni è il punto di forza di Spock rispetto a siti come Wink.com che, con un lavoro simile, ha già raccolto più di 200 milioni di profili. Così se Google è il leader nella ricerca di documenti, nelle intenzioni dei suoi inventori Spock.com dovrebbe diventarlo nella ricerca delle persone.

Nato nell’epoca del Web 2.0 e delle tecnologie wiki, il motore di ricerca non poteva che essere permeato da una certa atmosfera partecipativa. Per esempio, ogni scheda individuale è arricchita dai “tag”, attributi che caratterizzano la persona in questione. Inoltre, oltre al nome e cognome, le ricerche si possono fare anche per categorie: nella homepage ne sono suggerite alcune ma ogni navigatore potrà inserire quelle che preferisce.

Per creare un profilo il lavoro sporco viene fatto dal motore, poi tocca alla comunità di navigatori. Gli utenti di Spock non possono intervenire sulle biografie, ma possono aggiungere in qualsiasi scheda foto, “parole chiave” e aggiornare le “persone collegate”. Un sistema di filtri dovrebbe garantire la qualità: chi interviene sulle pagine viene giudicato in base a una specie di pagella di credibilità valutata dalla comunità di Spock. Se si accumulano troppe insufficienze (perché si aggiungono informazioni false, ad esempio) si viene espulsi dalla rete di “aggiornatori”.

Certo è che, visto che le schede sono aperte al pubblico, questo potrebbe provocare ai responsabili del sito qualche problema in materia di vandalismo (l’esempio di Wikipedia insegna che non tutti partecipano al gioco di Internet in modo costruttivo) oltre a denunce per diffusione di notizie false. Bhatti, però, garantisce che ciascuno può chiedere di cancellare il suo profilo e informarsi sulla provenienza delle informazioni: infatti, permette ai legittimi titolari delle schede di reclamarne il controllo e di correggere gli eventuali errori.

Chi crede nelle potenzialità di questo motore (votato dal pubblico del Web.2 Expo di San Francisco come la migliore novità del settore) dice che un giorno potrebbe essere usato anche dalle aziende che cercano personale, o per cercare persone scomparse con una funzione simile a quella di alcuni siti della polizia.

La ricerca di persone è davvero uno dei servizi più importanti e richiesti di Internet (quante volte avete inserito il nome di qualcuno, magari il vostro, su Google?) e l’utopia di un unico grande motore di ricerca Web di tutti gli abitanti del pianeta è affascinante. La realizzazione di un simile progetto rischia però di cozzare contro numerose leggi, specie quelle a tutela della privacy degli individui. Una situazione, a ben vedere, a cui Internet è ormai abituata.

[via repubblica e la stampa]

Tag:biografie, social-network, spock, Web 2.0, wikipedia
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Mag 11 2007

Usi e costumi di Twitter: ecco perché non dovrebbe valere la regola della terza persona

Posted by Antonio Troise
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Uso Twitter da pochi giorni e per ora sto cercando capire come lo usano gli altri twitteriani veterani. In effetti, anche se lo strumento è di una semplicità disarmante, soffre, secondo me, di alcune ristrettezze e di alcune regole che sono altrettanto allarmanti e che ne potrebbero ben presto minare le fondamenta.

Fullo tempo fa scrisse le famose Twitter rules (e successivamente le relative spiegazioni) che includevano, tra gli altri, 2 assiomi che vorrei esaminare:
1 – “Su Twitter si parla in terza persona”.
2- “Su Twitter non si dialoga e non si risponde agli altri utenti, per quello ci sono gli IM o le mail”

Su Twitter si parla in terza persona
Il primo punto che vorrei esaminare è la famosa regola/convenzione sull’uso della terza persona quando si scrive su Twitter. Non è raro trovare twitteriani che scrivono in terza persona come: “sta pensando di andare a fare la spesa”. Secondo Fullo, sulla homepage e sui feed di Twitter compare la forma “nickname vostro testo”, per cui se si scrivesse in prima persona si avrebbero solo dei risultati osceni come:

“Antonio sto pensando di andare a fare la spesa”

Come vedete sembra che ci stia rivolgendo ad Antonio e non che è Antonio che parla.

In realtà questo format compare solo nella homepage di Twitter mentre nei feed compare il formato classico:

“Antonio: sto pensando di andare a fare la spesa”

La stessa cosa accade per molti client Windows ed estensioni per Firefox di Twitter.
Se anche non vengono inseriti i due punti per separare il soggetto dal testo, comunque vengono messi degli accapo o, in ogni caso, si usa una formattazione diversa, a mo’ di IM.
Ecco qualche esempio:

Teletwitter
Teletwitter

triQQR
triQQr

Twitterrific
Twitterrific

Il risultato di queste discrepanze di rappresentazioni produce anche evidenti confusioni tra le persone: così si trovano persone che seguono con costanza la regola aurea della terza persona e altre che passano da una forma in prima persona ad una in terza, probabilmente perché magari a volte scrivono dall’homepage di Twitter e a volte da qualche altro client.

Twitbin Il mio parere è che non si può fare una regola se poi i principi su cui si basa vacillano: è vero, l’homepage ha un format tale da permettere una scrittura in terza persona, ma quanti di voi usano solo l’homepage? Se vi è un proliferarsi di client che prediligono una scrittura in prima persona, allora forse è il caso di ripensare a questa regola.

Questo articolo è nato da una riflessione che ho avuto ieri: in Italia si è soliti usare la terza persona, ma chi scrive in inglese che forma usa? Dando una letta veloce alla lista pubblica non mi pareva che venisse seguita molto questa regola.
Secondo, leggendo Dottorstranoweb, se ogni micropost si interpreta come una risposta alla domanda “cosa sto facendo” (“what am I doing”) proposta nel badge pubblico da inserire nel proprio sito o blog oppure a “cosa stai facendo?” (“what are you doing?”) che nella homepage di Twitter sovrasta il campo in cui inserire i propri messaggi, è consigliabile usare sempre la prima persona.

Ovviamente queste sono riflessioni personali, poi sta ad ognuno di noi decidere se rispettare o meno la particolare netiquette di Twitter! Io per il momento mi diverto a scrivere in terza persona perché è una cosa che, non facendo quasi mai nella vita normale, può risultare spassoso. Come dice pseudotecnico: posso finalmente scrivere in terza persona senza sembrare fuori di testa!

Luca Sartoni, invece, esprime un concetto che ha un che di schizofrenico, a proposito dell’uso della terza persona, con la seguente frase:
“Prima ero io adesso sono lui, mi laverò anche i denti in terza persona?”

Su Twitter non si dialoga e non si risponde agli altri utenti, per quello ci sono gli IM o le mail
Per finire, vorrei fare una breve constatazione sulla secondo regola che ho preso in esame: “Su Twitter non si dialoga e non si risponde agli altri utenti, per quello ci sono gli IM o le mail”.
In effetti il vantaggio di Twitter è di non doversi far vedere online come su un IM anzi potrebbe funzionare anche stando sempre offline, grazie all’ausilio degli SMS. Ma gli esseri umani sono animali sociali e non rivolgersi per nulla al prossimo è quasi contro natura (anche qui si vedono eccezioni alla regola e quando ci si vuole rivolgere a qualcuno si mette una chiocciolina davanti al nickname).
Per cui, anche qui, una regola val bene se è accettata da tutti e non stravolge la vita di tutti giorni: scrivere micropost di quel che si fa senza avere contatti con gli altri va contro il concetto stesso di collaborazione propria del web 2.0 riducendosi, infine, ad un mero e semplice voyerismo d’altri tempi.
Cosa che non darebbe giustizia a Twitter!

Tag:email, microblogging, netiquette, social-network, twitter, Web 2.0
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Mag 10 2007

Anche io sono approdato su Twitter

Posted by Antonio Troise
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Twitter Per “colpa” di Boliboop anche io, ieri, sono approdato su Twitter e questa è la mia pagina: http://twitter.com/levysoft. All’inizio ero un po’ scettico su questo servizio web 2.0 ma devo dire il primo giorno con Twitter non è andata male. Diciamo è un instant messagging con maggiori tempi di latenza, nel senso che non occorre rispondere subito a tutto vantaggio di chi lavora tanto e non può stare tutto il giorno a “chattare”.
Davide ha espresso bene il concetto con questa frase: “Twitter si colloca in una zona intermedia tra l’instant messaging e lo scambio di e-mail, non avendo l’assillo del primo e l’estrema limitazione sociale del secondo“.

Secondo me Twitter non serve a chattare ma a dire la propria, dire cosa si fa, che si pensa, cosa si sta progettando e a suggerire nuovi link e idee. Insomma un enorme calderone in cui far affluire ciò che si vuole. Quello che non volevo da Twitter è che mi impegnasse troppo durante l’arco della giornata, invece, almeno nel primo giorno, non è andata così. E’ stato uno strumento collaborativo da cui si poteva imparare dall’esperienza e dalle conoscenze degli altri.

Per semplificare l’accesso al servizio e non essere costretto ad accedervi sempre e solamente attraverso il browser, ho cercato un bel client Twitter per Windows. Dopo qualche ricerca sono approdato su Twitter Fan Wiki – Apps in cui sono elencati tutti i client per Windows, Mac, Linux, Multi Platform, Mobile apps, Web Apps, Browser Addons/Plugins e addirittura per Second Life.
Ho provato qualche client ma sinora nessuno, tra quelli per Windows, mi ha soddisfatto sono rimasto però colpito da quelli per Mac, come TwitterCamp e Twitterrific

E’ stata una bella esperienza e invito chi ancora non lo avesse provato ad iscriversi a questo servizio.

Tag:email, microblogging, social-network, twitter, Web 2.0
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