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Dal 2004 il blog di Antonio Troise

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Set 15 2008

Risparmio energetico: quanti Kw consumano un uomo e un avatar di Second Life. Quando anche i siti web inquinano e possibili soluzioni

Posted by Antonio Troise
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L’energia, o meglio la disponibilità di energia, è ormai una condizione necessaria per il benessere dell’uomo. Per saperla gestire al meglio, però, è necessario prima sapere quanto e come viene consumata da ciascun individuo. Se pensate che, prima della Rivoluzione Industriale, tutto il lavoro veniva eseguito dall’uomo esclusivamente con la forza muscolare, è allora possibile calcolare che il lavoro, ad esempio di un manovale, possa equivalere a circa 20-30 Kg di petrolio all’anno. Vale a dire che se si deve impiegare una macchina per far compiere lo stesso tipo di lavoro e la stessa mole di lavoro, considerando un verosimile rendimento del 20%, consumeremmo circa 20-30 Kg di petrolio in un anno.

Dopo la Rivoluzione Industriale, l’introduzione delle macchine ha radicalmente mutato questa situazione. Se un nostro antenato consumava circa 2000 Kcalorie al giorno, oggi un cittadino medio negli USA, con tutte le macchine e i prodotti che ha a disposizione, può consumare, verosimilmente, anche oltre 250.000 Kcalorie al giorno. In altri termini ogni cittadino americano ha a sua disposizione, ogni anno, l’equivalente energetico di 8000 Kg di petrolio!

Come vedere il consumo energitico anche nel web: Facebook e Second Life

Ma il consumo energetico è possibile vederlo anche laddove non ci si immagina di trovarselo: per esempio su una pagina web. Sono, infatti, pochi gli internauti coscienti di inquinare il pianeta per il solo fatto di esistere e ancora meno che sanno di inquinare il doppio grazie al web. Per esempio, dovete sapere che, secondo una statistica di Jesse Chan, i servizi di Facebook, con i suoi 100 milioni di iscritti, consumano ben 56,5 milioni di Kwh e producono 28.600 tonnellate di CO2 all’anno. Ma il problema, non è ovviamente circoscritto a Facebook ma si estende a tutti i siti internet: da MySpace a Google, compreso, ovviamente anche il mio, che altro non è che un tassello piccolissimo di una enorme server-farm mangia corrente.

Per esempio, un avatar (la parola di origine sanscrita che indica la controparte virtuale di un essere umano sul web) del social network Second Life consuma 1.752 Kwh all’anno, mentre un uomo, in media, ne consuma 2.436. Il bello è che una persona di una nazione in via di sviluppo, però, consuma solo 1.015 Kwh, ovvero molto meno di un avatar! Inoltre, per un avatar, consumare 1.752 Kwh significa anche produrre ben 1,17 tonnellate di CO2, in pratica l’equivalente prodotto da un Suv per 2.300 miglia.

C’è, però, chi sarcasticamente ricorda che le 28.600 tonnellate di CO2 prodotte da Facebook in un anno, non sono niente considerando che il pubblico di questo Social Network ne produce migliaia di volte in più solamente respirando!

I Data Center inquineranno come gli aerei

A mettere i brividi sul nostro futuro, ci pensa un rapporto della società McKinsey che ci ricorda che, nel 2020, se non verrà implementata una politica di contenimento dei consumi, le emissioni dei sistemi server supereranno quelle del traffico aereo commerciale e si avvicinerà sempre più a quello marittimo (che è prossimo allo 0,8% del totale mondiale).
La bolletta energetica per alimentare e raffreddare i data center di tutto il mondo supererà fra poco meno di 12 anni gli 11 miliardi di dollari, considerano circa 41 milioni di macchine attive. Al momento l’archiviazione dati e il “funzionamento” del web produce 160 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Una quota carbonica monumentale che corrisponde allo 0,3% del totale mondiale.

Come indica il rapporto, il motivo principale sta nella bassa efficienza dei data center: i server vengono utilizzati appena al 6% delle capacità, mentre i grossi centri di raccolta dati lavorano al 56% della potenza.

L’iniziativa verde di Google

Ma il fatto più importante è che occorre sensibilizzare questi grandi portali, a comprare solo energie verdi dalle aziende elettriche oppure, magari in un futuro non troppo lontano, producendo energia rinnovabile per i propri server.

Ne è un esempio Google che, con il suo programma verde, ReC (Renewable Energy Cheaper than Coal), ha lanciato una interessante iniziativa per investire in energie rinnovabili a partire dal fotovoltaico, dall’eolico e dal geotermico per poi esplorare nuove soluzioni, con l’obiettivo finale di avere zero emissioni di CO2. Intanto Google ha già iniziato con i piccoli dettagli (che potremmo fare anche tutti noi), come usare lampadine più efficienti e sfruttare la luce solare.

Resa energetica dei pannelli solare e dipingere i tetti di bianco

Intanto, per aiutare il singolo cittadino a risparmiare energia, è venuto in corso anche un interessante sito web, RoofRay, che, basandosi su Google Maps per scegliere la zona dove risiede la propria abitazione, permette, a chi vuole installare un impianto di pannelli solari sul tetto di casa propria, di calcolare quanta sarà la resa energetica nel corso degli anni e se quindi conviene spendere una cifra abbastanza alta (nonostante lo stato italiano dia alcuni contributi) per questo tipo di impianto.

Infine, per risolvere il problema del Global Warming, ovvero del Surriscaldamento Globale, dopo una ricerca condotta presso i Lawrence Berkeley Laboratory, c’è anche chi propone una soluzione a basso costo per cercare di emulare l’azione benefica dei ghiacciai che si stanno inesorabilmente sciogliendo a causa dell’innalzamento della temperatura: colorare di bianco i tetti delle nostre abitazioni, simulando così una calotta glaciale in grado di respingere i raggi del Sole. Hashem Akbari, uno dei fisici impegnati nel progetto, ha dimostrato come mille metri quadrati di “tetto bianco” possano compensare la produzione di ben dieci tonnellate di anidride carbonica.

Tag:avatar, calorie, facebook, Google, inquinamento, Kwh, petrolio, second-life, server
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Nov 9 2007

Il picco di Hubbert delle riserve petrolifere

Posted by Antonio Troise
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Petrolio In questi giorni non si fa altro che parlare del rialzo del prezzo del petrolio, arrivato alla soglia di 100 dollari al barile, che costera’ alle famiglie italiane ben 390 euro in più all’anno: 120 euro per i carburanti, 40 euro per il riscaldamento, 40 euro per le bollette del gas e della luce e 90 euro per i costi di trasporto. Nel frattempo, l’Agenzia internazionale per l’energia assicura che l’impennata fino 100 dollari sarà «il colpo di grazia per l’economia globale» e ipotizza che si arrivi a 159 dollari entro il 2030.

E’ per questo che ho deciso di parlare del picco di Hubbert, ovvero quella teoria scientifica, proposta, nella sua formulazione iniziale, nel 1956 dal geofisico americano Marion King Hubbert, riguardante l’evoluzione temporale della produzione di una qualsiasi risorsa minerale o fonte fossile esauribile o fisicamente limitata. Nel nostro caso parleremo del petrolio.

Questa teoria permette di prevedere, a partire dai dati relativi alla “storia” estrattiva di un giacimento minerario la data di produzione massima della risorsa estratta nel giacimento, così come per un insieme di giacimenti o una intera regione. Il punto di produzione massima, oltre il quale la produzione può soltanto diminuire, viene detto picco di Hubbert.

In particolare, la storia di produzione della risorsa nel tempo segue una particolare curva a campana, detta appunto curva di Hubbert, che presenta in una fase iniziale una lenta crescita della produzione, che man mano aumenta fino ad un punto di flesso e quindi al picco per poi cominciare un declino dapprima lento, e quindi sempre più rapido.

Sebbene tali analisi risultino molto più complicate a causa della grande incertezza sulle riserve petrolifere di molti stati (in particolare mediorientali), la maggior parte delle analisi fa cadere il “picco di Hubbert mondiale” all’incirca nel secondo decennio del XXI secolo o, più precisamente, tra il 2006 e, al più tardi, il 2020, anche in previsioni di eventuali crisi economiche che potrebbero temporaneamente ridurre la richiesta di petrolio.

Il fatto di prevedere, per il futuro a breve, un’epoca in cui il petrolio diverrà sempre meno disponibile ed economico, impone di ricercare sostituti adeguati per i principali campi di applicazione del petrolio, con i conseguenti problemi (e costi) connessi alla riconversione di apparati industriali, impianti di generazione elettrica, e anche al cambiamento di abitudini individuali e collettive.

Il raggiungimento a breve del picco di Hubbert potrebbe portare a cambiamenti geopolitici oggi difficilmente prevedibili.
In particolare è da notare che l’area del pianeta che dovrebbe raggiungere più tardi il “picco” è (come unanimemente riconosciuto) l’area mediorientale. Il mondo si troverà dunque (almeno in una prima fase) ad essere sempre più dipendente da quest’area, oggi politicamente instabile. In seguito, l’utilizzo di nuove risorse, potrebbe portare “alla ribalta” altre aree del pianeta oppure anche essere causa di guerre o instabilità politiche.

Sulla base degli studi intorno al Picco di Hubbert per la risorsa petrolifera sono sorte diverse teorie scientifiche e, principalmente, economiche e politiche, alcune delle quali anche di stampo più o meno “catastrofista“. Tra le più importanti, la teoria di Olduvai proposta da Richard Duncan, che lega l’esistenza stessa della civiltà industriale all’inclinazione “crescente” della curva di Hubbert, giungendo dunque a prevedere la fine di tale tipo di civiltà in un epoca di curva di Hubbert “decrescente”. Questo ovviamente postulando che la produzione energetica mondiale continui a basarsi prevalentemente sull’utilizzo del petrolio e di fonti fossili.

Se la previsione, secondo la quale l’era del petrolio stia volgendo precipitosamente verso la fine, risultasse esatta, quel che è certo è che ancora non esiste alcun “piano B”, e forse bisognerebbe iniziare a progettare la civiltà del dopo-petrolio, nel segno della “decrescita energetica”, in modo da trovare un’altra fonte di energia sufficiente a sostituire il petrolio.

[via wikipedia e zeus news]

Tag:petrolio, scienza
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