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Dal 2004 il blog di Antonio Troise

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Gen 13 2009

Codec Cappelli: il rivoluzionario sistema di compressione di foto e video made in Italy. Dubbi e riflessioni sulla sua possibilità di diffusione

Posted by Antonio Troise
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Ieri è stato presentato a Roma nella sala capitolare del Senato un nuovo codec per la compressione digitale made in Italy: lo standard di compressione “Cappelli” (in omaggio al suo ideatore Claudio Cappelli che è anche presidente della società napoletana Eco Controllo) che, a detta degli esperti, ha una capacità di archiviazione di foto e video 3-4 volte superiore agli standard normali. Se l’invenzione del codec MP3 ha permesso l’avvento della musica digitale e il codec MPEG2/4 quello del video digitale, il codec Cappelli promette di fare miracoli: si legge che è possibile comprimere, nell’esiguo spazio di 1,44 MB di un floppy disk ben 20 minuti di un filmato ad alta qualità (su alcune fonti si parla di qualità DVD ma non credo che la qualità MPEG 2 possa arrivare ad occupare così tanto per appena 20 minuti di filmato visto che un film da due ore entra appena in un DVD da 4,7GB!) dal peso complessivo di 3,1 Gigabyte!
Di fatto, il nuovo codec è superiore a qualsiasi altro sistema di compressione in vigore, ivi compresi quelli di ultimissima generazione denominati H264 ed Mpeg4, tanto che sarà possibile archiviare molte più di ore di video sugli stessi supporti multimediali di adesso. Ma il nuovo sistema permette anche di ottenere immagini compresse di qualità media più elevata rispetto agli altri codec attualmente in circolazione. Tale capacità è data dall’ottimizzazione dell’organizzazione dei dati che si traduce anche in un uso più efficiente delle bande su cui viaggiano i dati per la tv digitale. «Con la possibilità – prosegue Cappelli – di moltiplicare i canali digitali e la tv interattiva».

Ma, sebbene molte società dell’IT Technologies siano interessate a comprare i diritti di questo nuovo formati, Claudio Cappelli ha dichiarato di non avere alcuna intenzione di cedere il brevetto e punta a mantenere il marchio in Italia. Attualmente ancora non è disponibile in commercio ma tra le prime applicazioni si punta alla IPTV, la televisione via Internet. Il sistema, garantisce Cappelli, permette la fruizione dei programmi via web senza disturbi e distorsioni causati dall’elevata compressione, che rendono la tv via Internet spesso poco soddisfacente»

Questi i dati del codec Castelli o codec Eco Controllo: il programma è stato realizzato da 12 programmatori in 1 anno e mezzo di lavoro in collaborazione con alcune Università campane (il consorzio Cerict che associa cinque università campane, il Cnr, la Fondazione Pascale e il Cini, il Consorzio interuniversitario per l’informatica, ha testato e validato il sistema) e 5 milioni di euro investiti nel progetto, di cui il 60% finanziato dal Ministero dello Sviluppo Economico.

Qualche dubbio

Sebbene ci si da rimanere finalmente orgogliosi di questo successo tutto italiano (non se ne vedevano forse da anni) che mette in luce come la ricerca in Italia funziona (tanto da dire la sua anche in campo internazionale) ma merita solo di essere maggiormente finanziata, nutro qualche dubbio sui dati passati dalle testate giornalistiche. Dire prima che il codec Cappelli ha una capacità di archiviazione di foto e video 3-4 volte superiore agli standard normali e poi asserire che in un floppy disk da 1,44 MB possono essere compressi ben 20 minuti, di un filmato ad alta qualità, mi sembra un po’ esagerato se si vuole mantenere la stessa buona qualità di immagine. E’ possibile comprimere 20 minuti di filmato in un divx da 4 MB (col giusto rapporto di compressione), per cui, se è vero che il codec Cappelli comprime anche 3-4 volte un codec Mpeg4, allora arriviamo ad occupare poco meno di 1,44 MB. Ma il problema è la qualità: sarà accettabile? Sono curioso di visionare qualche video di prova per valutare la bontà del nuovo codec. Al momento è disponibile solo un complicato draft in italiano che snocciola cifre e numeri su un’analisi comparativa del codec video “Eco Controllo”.

Errata Corrige della Eco Controllo

E in effetti, mentre stavo scrivendo questo articolo, sul sito della Eco Controllo è comparsa questa Errata Corrige:

13 gennaio 2009

UNA PRECISAZIONE DAL PRESIDENTE
DELLA ECO CONTROLLO

In merito alla notizia apparsa su alcuni organi di informazione si precisa quanto segue: “Nel corso della conferenza stampa, tenutasi ieri, 12 gennaio 2009 alla Sala Capitolare del Senato della Repubblica, il dr. Claudio Cappelli, presidente della Eco Controllo SpA, ha portato l’esempio di un video in alta definizione a 1080i, della durata di 20 secondi, archiviato su un floppy da 1,44 MB. Evidentemente la notizia di un filmato di 20 minuti è frutto di un equivoco”.

Quindi non si tratta di 20 minuti, bensì di 20 secondi, il che è già più accettabile!
Peccato non specifici i dati reali del filmato di esempio utilizzato. Sul draft si legge di Test Oggettivi e Soggettivi su Video 720P e PAL; in particolare in merito ai test soggettivi:

Mediante un’estrazione sono stati selezionati 8 video proiettati in tre differenti bitrate (1000,2000 e 3000Kbps) a 16 valutatori. I valutatori sono stati suddivisi in due gruppi e per ogni gruppo è stata svolta una distinta sessione di test della durata di 30 minuti.
[…]
Sono stati selezionati solo video in formato 720P, cioè ad una risoluzione di 1280×720 Pixel, con cadenza di 25 e 50Hz. Tale scelta è motivata dal fatto che questi parametri sono quelli scelti per la cosidetta Televisione Digitale ad alta definizione (HDTV) in tutti quei paesi, Italia inclusa, che tradizionalmente sono legati al sistema di trasmissione PAL e SECAM.
[…]
Come previsto dalla metodologia DSIS, le persone sono state collocate in una sala confortevole e posizionate in modo tale da avere sempre l’angolo di visualizzazione ottimale per il dispositivo di visualizzazione adottato, consistente nella fattispecie in un televisore al plasma FullHD. Ai partecipanti è richiesto di descrivere la qualità da loro percepita utilizzando una scala lineare continua costituita da 5 regioni etichettate con i seguenti aggettivi:

• nessun difetto
• difetti visibili, ma non fastidiosi
• difetti leggermente fastidiosi
• difetti fastidiosi
• difetti molto fastidiosi

I soggetti sono stati selezionati tra una popolazione eterogenea composta da studenti e lavoratori. Ognuno di essi è stato preventivamente sottoposto al test di Ishihara per la percezione dei colori. Quest’ultimo è un test pubblicato nel 1917 dal Prof. Shinobu Ishihara, e consiste nel sottoporre all’utente un numero di dischi colorati, chiamati dischi di Ishihara, ognuno contenente un cerchio di punti di taglie e colori diversi disposti a caso. L’insieme dei punti forma un numero visibile a coloro che hanno una visione normale, ed invisibile o difficile da vedere per quelli che hanno problemi di visione, in particolare nella percezione del colore rosso-verde.

I risultati ottenuti confermano sostanzialmente quanto osservato con le metriche oggettive, anche se il divario tra i differenti codec, in questo caso, appare maggiormente marcato. Il supporto dell’indice di confidenza, sembra evidenziare una maggiore stabilita dell’algoritmo Cappelli. Anche in questo caso se si considera il voto medio massimo, gli algoritmi H.264 e Cappelli ottengono lo stesso risultato, evidentemente questo deriva dal fatto che in alcune circostanze, particolarmente favorevoli a tutti i codec, gli utenti non percepiscono significativi difetti. Tuttavia, nel caso peggiore e medio l’algoritmo Cappelli ottiene voti caratterizzati da una maggiore precisione, ciò e una variabilit inferiore agli altri codec, e questo ci fa dedurre che la qualità di questo codec nelle condizioni riprodotte di test adottate ha performance significativamente superiori.

Diffusione del codec

Nutro altri dubbi sulla fattiva diffusione di questo codec. Perché possa divenire uno standard deve essere accettato dalle Major dell’IT Tecnhnologies ma molti, per comodità e per far fruttare gli investimenti passati, tendono a usare le tecnologie che già possiedono: i soli codec H264 e Mpeg4 sono ottimi e già diffusissimi. L’unica speranza sarebbe quella di liberare da royalties il nuovo codec e lasciarlo libero alla comunità di sviluppatori Open Source (come per il codec XviD, nato in contrapposizione al chiuso codec DivX), relegando la società di Eco Controllo ad ente di consulenza.

Purtroppo di codec meravigliosi, più potenti e maggiormente performanti per la trasmissione sul web ne ho visti molti ma quasi nessuno di questi ha avuto sullo strapotere dell’MPEG2/4 e dell’H264. Staremo a vedere come andrà a finire.

UPDATE: Sul sito di Attivissimo si susseguono interessanti commenti di critica e analisi all’articolo errato dell’ANSA, ripreso poi da diverse testate giornalistiche, riguardo i 20 minuti di filmati su un floppy disk da 1,44 MB (invece che 20 secondi).

UPDATE 2: Nella sezione Tecnologia del sito di Eco Controllo, c’è il Rapporto Tecnico Finale al al progetto “Nuove Tecnologie nel Campo della Compressione delle Immagini Digitali” in cui sono presenti ulteriori dettagli sul funzionamento di questo codec. Il caso strano è che risale addirittura al Maggio 2008!

Tag:alta definizione, cappelli, codec, compressione, dgtv, Digitale Terrestre, divx, h.264, iptv, mpeg, mpeg2, mpeg4, televisione, Video
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Ott 17 2008

Diremo presto addio al Firewire? Perché Apple ha abbandonato questo standard e i 4 principali problemi che incontreranno i possessori dei nuovi Macbook

Posted by Antonio Troise
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Che uno standard venga soppiantato da un altro per via del fatto che diventi obsoleto, magari perché meno veloce (come accadde tra l’USB 1.1 e USB 2.0), è un fatto normale in tecnologia. Un po’ meno, anche se è accaduto più spesso di quanto uno si aspetterebbe, che uno standard migliore venga soppiantato da uno che è tecnologicamente inferiore ma molto più diffuso (come accadde tra VHS e Betamax). Ancor meno che una società, come Apple, che ha da sempre sponsorizzato lo standard Firewire, decida ad un tratto di non renderlo più presente nei suoi Macbook e nel LED Cinema Display da 24″ (che ha solo un hub USB), sostituendolo con il più diffuso USB, e lasciandolo, nella sua versione a 800 MB/s (visto che con un semplice adattatore si possono interfacciare dispositivi FW400 con un ingresso FW800), solo nella fascia più professionale dei portatili.
In realtà, non è la prima volta che Apple abbandona le Firewire nei suoi prodotti consumer: è accaduto, infatti, che con gli iPod di 5° generazione la porta Firewire è stata sostituita da una USB, ma il motivo principale era che si doveva rendere il lettore musicale compatibile con tutti i PC Windows (che solitamente era senza porta Firewire), visto che inizialmente l’iPod era nato solo per piattaforma Mac.

Firewire 400 to Firewire 800

La scomparsa della Firewire 400 nella fascia più economica dei laptop Apple, ha creato discussioni a non finire sul web e tutti si chiedono perché la società di Cupertino non abbia abbandonato solamente il vecchio Firewire 400 lasciando almeno un ingresso Firewire 800.

Ma, prima di analizzare nel dettaglio gli eventi, sarà bene fare un breve excursus sulle origini del Firewire, per poi passare ad analizzare i 4 principali problemi che incontreranno coloro che compreranno il nuovo Macbook, fino ad arrivare alle ipotesi finali sul perché Apple si sia comportata in questo modo.

Le origini del Firewire

La tecnologia di connessione ad alta velocità IEEE 1394 è stata creata da Apple nel 1995 e introdotta nel mondo informatico il 13 settembre 2000 sui portatili di fascia consumer con la FireWire 400. Questo nuovo standard portava al pubblico la facilità del montaggio video grazie al primo iMovie, quando ancora sulla maggioranza dei Pc nemmeno era considerata l’USB e l’unica alternativa per avere connessioni veloci era usare le catene SCSI (ma che avevano il grande svantaggio di non poter essere collegate a caldo).

Nonostante sulla carta l’USB 2.0 fosse leggermente più veloce (480 Mb/s contro 400 MB/s), nella pratica Firewire è sempre stato superiore all’USB 2.0 nel trasferimento dati grazie alla sua robustezza e alla sua banda dati passante notevolmente più ampia. Inoltre, grazie al fatto di poter garantire una velocità costante nella trasmissione del flusso video e, più in generale, di grandi quantità di dati, fu scelto come standard de facto per le videocamere in Digital Video (DV).

Problema 1: Nessun supporto per i dischi esterni Firewire

L’assenza della Firewire limita le scelte di chi, come me, possiede già dischi esterni Firewire visto che, al momento, non esistono in commercio adattatori per passare da un formato USB ad uno Firewire, rendendo di fatto inutilizzabili questi hard disk esterni, a meno che non si abbia anche un doppio ingresso USB come certi previdenti produttori hanno previsto.

Drive Firewire

Problema 2: Supporto parziale delle videocamere USB AVCHD

Ad oggi, l’ultima versione di iMovie 08 supporta anche l’acquisizione video da USB 2.0 delle videocamere AVCHD, anche se, come ho potuto constatare spesso, i formati video non sono ancora del tutto gestiti correttamente! Indubbiamente le telecamere AVCHD sono molto più pratiche di quelle DV o miniDV, poiché sono in grado di effettuare una registrazione tapeless, ovvero non sequenziale su nastro, ma direttamente come file. Dovendo, quindi, trasferire un file e non un flusso video, è facile intuire che, non è più necessario disporre di una velocità costante nella trasmissione del flusso video, e quindi può essere usato lo standard USB al posto di quello Firewire.

Fireware DV video editing

Però, io credo, che finché i Mac non gestiranno correttamente tutte le telecamere AVCHD, allora la scelta di abolire la connessione Firewire non ha senso. Se è vero che l’utente non professionale tende a scegliere un portatile entry level come un Macbook al posto di un Macbook Pro, è anche vero che, con lo stesso ragionamento, si suppone che possa scegliere anche una telecamera AVCHD al posto di una DV poiché, anche se sono più compatte e registrano direttamente su disco fisso, la loro qualità è nettamente inferiore, tanto da non essere ritenute accettabili da una buona parte dell’utenza che fa un uso minimamente intensivo del video. Infatti la maggior parte di queste telecamere, ad eccezione di quelle in alta definizione (anche se, comunque, alcune sono ancora legate al Firewire), registrano in MPEG2, e su uno schermo a 32” vi assicuro che la differenza si vede nettamente.

La questione quindi è: che senso ha eliminare uno standard (DV: Firewire) se prima non si risolvono i problemi di compatibilità con l’altro formato (AVCHD: USB)?

Leggendo le varie discussioni sparse per la rete, uno dei principali motivi di contestazione è nel fatto che chi ha intenzione di fare video digitale usando formati che consentono una post lavorazione (non necessariamente professionale, come il DV non compresso), non trova più una risposta nel MacBook.

La mia esperienza diretta mi ha portato a combattere spesso con le telecamere USB. Io ho una Sony Handycam con Hard Disk da 30GB e nativamente iMovie e Quicktime non leggono il formato video della mia telecamera (solo VLC, al solito, vi riesce e iDive, un ottimo catalogatore di video digitale che non ha, però, niente a che vedere con lo stato dell’arte di iTunes e iPhoto). Il problema, quindi, è che non sono mai riuscito a montare video proveniente dalla mia telecamera AVCHD semplicemente importandolo da iMovie, bensì deve sempre prima effettuare una preventiva conversione in MOV con ffmpegX, con la conseguente perdita di tempo (almeno paio d’ore). Tutto questo, invece, non accadeva, quando usavo la mia vecchia, ma qualitativamente migliore, telecamera Mini-DV.

Problema 3: Schede audio Firewire

Il problema, in ogni caso, rimane per le schede audio: da quelle economiche a quelle professionali, la connessione avviene via Firewire, proprio perché consente un flusso dati costante e una banda notevole. Solo su quelle Firewire è, infatti, garantita la registrazione multitraccia, mentre su quelle USB spesso non viene supportata.

Audio Firewire

Su molti siti dedicati alla musica, il consiglio diventa di acquistare il modello entry level fintanto che sarà disponibile. I musicisti, infatti, soffrono particolarmente della mancanza di questo tipo di connessione poiché molte apparecchiature audio di livello professionale si interfacciano solo attraverso Firewire, e un aggiornamento del portatile significherebbe di fatto vanificare migliaia di euro di investimento.

Problema 4: Firewire Target Disk Mode

Un quarto argomento tirato in ballo quando si parlava dei problemi che si incontravano dal momento in cui si è eliminata la porta Firewire sui portatili entry level, è quello relativo all’impossibilità di usare il Firewire Target Disk Mode, ovvero la modalità con cui qualunque Mac viene temporaneamente trasformato in un semplice hard disk esterno per trasferire facilmente file, se il computer è collegato via Firewire ad un altro e all’avvio premiamo il tasto T sulla tastiera.

Firewire Target Disk Mode

Indispensabile per le assistenze tecniche, questa funzione è anche parte del processo che Apple consiglia per migrare da un Mac ad un altro Mac i proprio documenti e le proprie preferenze. In qualche forum si legge di amministratori di sistema che si dichiarano pronti a passare a PC a fronte dell’impossibilità di usare il target mode: “visto che si deve spendere del tempo, tanto vale spenderlo per passare da Mac a PC e si spende meno“.

E’ notizia di oggi, però, che, per supplire alla mancanza di porta Firewire e dare comunque la possibilità di migrare applicazioni e dati da un Mac all’altro, il sistema operativo dei MacBook di nuova generazione è stato aggiornato con il Migration Assistant via Ethernet, dando accesso a questa funzione via ethernet e via wireless, anche se la cosa è sconsigliabile per questioni di stabilità e velocità.
Quel che l’aggiornamento non è in grado di fare è abilitare l’uso del Target Mode; Apple non ha aggiornato questa interessante funzione per renderla utilizzabile via USB.

Firewire Target Disk Mode

Vedere sparire questa peculiarità unica del mondo Mac e che contribuiva a renderlo sostanzialmente diverso da un comune PC, è un vero peccato, anche perché non esiste un equivalente di tale tecnologia nelle specifiche dell’USB. Ciò significa che per tutti coloro che acquisteranno un portatile Macbook, d’ora in avanti i dati andranno trasferiti solamente tramite network o da un backup esistente.

Le ipotesi per spiegare la mossa di Apple

C’è chi teorizza che, probabilmente Apple, togliendo la Firewire dalle macchine entry level, abbia cercato di spingere i professionisti del video e dell’audio ad acquistare solo i MacBook Pro con la scusa che hanno schede video e software (FinalCut) più adatti al loro scopo. Ciò farebbe pensare, quindi, che Apple abbia pensato che i “dilettanti”, invece, dovrebbe accontentarsi solamente della connessione USB ed iMovie, da collegare con la crescente pletora di telecamere Usb, lasciando ai professionisti le porte Firewire per l’audio e il video, creando un marcato segno distintivo del target consumer.

Macbook Firewire

Altri, invece, non credendo che un ingresso in più o in meno possa stravolgere il design di un prodotto, probabilmente l’ipotesi più plausibile è che forse si è voluto distinguere maggiormente, il Macbook dal Macbook Pro che, ad eccezione delle dimensioni dello schermo, della scheda grafica (integrata e non) e dal processore (più o meno veloce), sembrano del tutto uguali!

Conclusioni

In definitiva, quindi, al momento chi vuole a tutti i costi un Macbook con Firewire ma pensa che i Pro siano troppo costosi, è rimasto solamente il vecchio MacBook bianco con case in plastica, che oltre ad avere la porta Firewire, è anche dotato di masterizzatore DVD al costo di appena solo 949 euro. Certamente la scheda grafica integrata Intel è meno veloce di quella nuova della nVidia (e ciò potrà risentirne il montaggio video), ma almeno si potrà disporre di una comoda stazione portatile per il video alla portata di tutte le tasche.

UPDATE: Sulla rete sta iniziando a circolare, per i più nostalgici, questo video ripreso durante l’evento Mac di inizio anno 1999. Nel filmato Steve Jobs presenta al pubblico il Firewire con queste parole:

“Che cos’è il FireWire? Pensate al FireWire come ad un USB, ma piuttosto che veicolare 12 megabits-per-secondo riesce a raggiungere la ragguardevole velocità di 400 megabits-per-secondo,” dice Jobs. “Ed è già uno standard di fatto.“

UPDATE 2: Da Les Numériques arriva una notizia interessante: a giudicare dai test comparativi condotti, la porta USB 2.0 dei nuovi MacBook Pro ha finalmente prestazioni paragonabili alla FireWire, proprio quando la FireWire sparisce di circolazione.
Le performance dell’USB sono da sempre la spina nel fianco di ogni mac user; è infatti risaputo che a parità di Mac e disco esterno USB, un semplice trasferimento file avviene più velocemente se eseguito sotto Boot Camp e Windows che sotto OS X. Ora però assistiamo ad un netto miglioramento della bontà dei driver USB su Mac. Un disco rigido esterno a doppia interfaccia USB e FireWire ha prodotto infatti una velocità di circa 20 MB/s e 30 MB/s rispettivamente in scrittura e lettura, a prescindere dalla porta usata per i test, con risultati migliori persino rispetto al Pc Windows usato per le prove.
E’ un bene sapere che finalmente l’USB ha prestazioni di tutto rispetto, ed è una gradita sorpresa constatare che i nuovi Mac siano in grado di sostenere alte velocità di trasferimento e bassi tempi di accesso, ora che la FireWire si appresta a diventare un ricordo del passato.

Tag:Apple, AVCHD, drive_usb, dv, firewire, iPod, laptop, mac, macbook, macbook pro, mpeg2, nvidia, sony, Tecnologia, telecamere, usb, usb-2.0
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Giu 16 2008

Le schede SD superiori a 2 GB si chiamano SDHC e non sono compatibili con tutti i dispositivi ma spesso i produttori non lo dichiarano. Ecco come identificarle facilmente!

Posted by Antonio Troise
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Ultimamente i prezzi delle schede di memoria SD stanno scendendo rapidamente tanto che è possibile trovare schede SD da 4GB a 19€ o da 8 GB a 35€. In realtà non tutti sanno che queste schede, che sono impropriamente chiamate SD, non sono compatibili con tutti i modelli di macchinette fotografiche. La ragione è che le SD superiori ai 2GB e con una velocità minima di lettura/scrittura di 2,2MB/s (Classe 2) vengono nominate col nuovo termine SDHC (Secure Digital High Capacity, Secure Digital ad alta capacità) o SD 2.0 e, normalmente, non sono compatibili con i vecchi lettori di schede SD.
Le SDHC sono classificate in classi, ovvero in base alla velocità minima di scrittura continua su una scheda vuota espressa in MB/s:

  1. Classe 2: 2 MB/s
  2. Classe 4: 4 MB/s
  3. Classe 6: 6 MB/s
Incompatibilità non sempre dichiarata

Questa informazione di incompatibilità non è, però, spesso dichiarata da tutti i costruttori. Per esempio, la serie SDHC della Secure Digital è molto onesta e stampiglia su tutte le confezione una avvertenza su sfondo giallo che avverte che il modello da 4GB e da 8GB sono SDHC e che solo i dispositivi usciti recentemente riescono a leggerle, consigliando quindi, prima dell’acquisto, di verificare la compatibilità sul libretto di istruzioni. Non dello stesso avviso, almeno nel negozio che ho visto io, sono le confezioni delle schede Lexar da 4GB che non citano alcun riferimento alla non compatibilità.

Ogni scheda SDHC ha l’obbligo di stampare il nuovo logo

Molto interessante anche l’avviso che si legge sul sito della SD Card Association che ci ricorda come tutte le schede SD superiori a 2GB debbano mettere il logo SDHC sulla scheda stessa, in modo da dare a tutti la possibilità di riconoscere facilmente che si tratta di un modello diverso dallo standard SD.

SDHC Avviso

A complicare maggiormente la situazione, però, all’inizio del 2007 sono comparse sul mercato SD non standard di capacità di 4GB e che non possono, a ragione, neanche essere denominate SDHC. Anche queste possono non essere lette da tutti i lettori SD o, più specificatamente, da tutte le macchinette fotografiche.

Casistiche di schede SD superiori ai 2GB

Infatti, se le schede SDHC hanno l’obbligo di avere questo logo:

SDHC Logo

vi possono essere sul mercato anche schede SDHC non dichiarate tali (ma che lo sono perché evidentemente hanno una capacità superiori ai 2GB):

SDHC Incorret Logo

o, ancora, schede SD superiori ai 2GB ma che non rispettano neanche gli standard SDHC dettati dalla SD Card Association:

SDHC Non Standard No Logo
Due regole semplici da tenere sempre a mente

Quindi riassumendo si puó dire che:

  • I dispositivi che non dichiarano il supporto SDHC non sono in grado di riconoscere le schede SDHC, ovvero le schede con capacità superiori ai 2GB.
  • Schede di 4GB non marcate come SDHC, non sono conformi né allo standard SD né a quello nuovo SD2.0/SDHC. Ciò significa che se anche un dispositivo è conforme allo standard SDHC non è detto che riesca a leggere correttamente quelle non marcate SDHC.
Un caso di incompatibilità: Canon Digital IXUS 60

Tutte queste ricerche le ho effettuate perché ero alla ricerca di una scheda superiore ai 2GB per la mia Canon Digital IXUS 60, un’ottima compatta da 6.0 Megapixel che uso molto spesso per fare velocemente dei filmini quando non ho a portata di mano la mia telecamera digitale, visto che è in grado di realizzare direttamente file MPEG2 alla stessa stregua, come qualità, di molte Camcorder su HDD. Capirete bene che lo spazio, quindi, è un elemento essenziale in questi casi. Purtroppo sembra che la compatibilità con la SDHC non sia supportata.

Se avete altre macchinette fotografiche Canon della serie IXUS, su Wikipedia, potete trovare una utilissima tabella comparativa tra i vari modelli della serie IXUS che vi indicherà, tra le altre caratteristiche, anche la compatibilità con le card SD o SDHC.
In sintesi, sembra che solo i modelli di macchinette fotografiche della serie Canon IXUS commercializzate da Settembre 2006 (non considerate quando le avete comprate voi perché uno stesso modello, specie se buono, può rimanere in circolazione anche per anni) sono compatibili con le schede SDHC. Infatti, a riprova, la IXUS 60, è del Marzo 2006!

Tag:Canon, foto, IXUS, macchinette fotografiche, megapixel, memoria, mpeg2, sdh, sdhc, velocità
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Giu 8 2007

Cosa è il codec H.264 della Apple di cui tanto si è parlato dopo che Youtube sta iniziando la ricodifica di tutti i suoi filmati flash e quali dispositivi hardware per l’HD lo implementano?

Posted by Antonio Troise
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H.264 La notizia che i filmati di YouTube saranno visibili tramite il nuovo media extender Apple TV è balzata alle cronache e ha fatto rapidamente il giro della blogosfera e dei siti di news. Infatti, pare che da da Giugno tutti i filmati di YouTube saranno ricodificati dal formato Flash (flv) in favore dell’H.264 patrocinato da Apple. La notizia non è da poco, visto che si tratta di un’operazione enorme che avrà, però, anche numerosi vantaggi, tra cui, oltre, a rilanciare l’Apple Tv, anche quello di apportare un effettivo miglioramento della qualità di YouTube in sé.

In effetti, l’idea di Apple di aprire a YouTube e quindi, in generale, ad una piattaforma senza un controllo diretto da parte di Cupertino (come in realtà è l’iTunes Store) può aver stupito molti addetti al settore. C’è chi ipotizza che questa ricodifica sia utile anche per i prossimi acquirenti del cellulare del futuro, l’iPhone, visto che molto probabilmente quest’ultimo non sarà in grado di leggere il formato flv. In effetti, come vedremo più in là, a differenza del formato Flash, l’H.264 è estremamente versatile ed è ottimo sia per flussi video in HD (è, infatti, alla base dei formati Blu-Ray e Hd-Dvd) che per quelli mobili come il 3G.

Ma che cosa è il codec H.264? Tutti noi, di solito, conosciamo i codec più famosi come l’Mpeg2/4, Divx, Xvid, Wmv. Ma, il codec H.264 della Apple non è di certo tra quelli più noti, ma sicuramente è una delle alternative più valide e maggiormente all’avanguardia per lo streaming video rispetto a Windows Media della Microsoft e RealVideo della RealNetworks. Ed ecco il perché di questo articolo.

Tag:Apple, apple-tv, codec, divx, flash, flv, h.264, hd, high-definition, iPhone, itunes, mpeg2
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