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Dal 2004 il blog di Antonio Troise

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Dic 11 2008

Gli influencer del Web: chi sono e come agiscono. Quando le aziende studiano come conquistare chi influenza le decisioni del popolo della rete

Posted by Antonio Troise
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Forse non tutti sanno che sul Web il 90% dei contenuti online, articoli, commenti, video e fotografie di ogni social media, è creato da non più del 10% degli utenti internet. E sono proprio queste persone che hanno la capacità di riuscire ad influenzare le comunità online in modo da riuscire ad indirizzarle, più o meno coscientemente, verso una decisione o un acquisto e anche, perché no, l’elezione di un presidente degli Stati Uniti (tanto che Obama ha raggiunto il record di un miliardo di dollari in rete, di cui 150 milioni di dollari con singole donazioni di 100 dollari dal suo sito).
Come già ricordato in un mio articolo sul blog power, le aziende che guardano al webmarketing stanno iniziando a riconoscere e ad interpretare questa realtà, tanto che sono continuamente alla ricerca degli influencer, che rappresentano, di fatto, la chiave di volta per dialogare con successo con la Rete. Infatti, gli influencer possono determinare il successo di un prodotto o di un servizio, ma anche il suo fallimento. E’ per questo che le società devono considerarli un asset strategico, visto che possono essere i promotori naturali di una azienda o i critici più credibili.

Lo studio della Rubicon Consulting

Un recente studio della americana Rubicon Consulting ha tracciato il profilo degli influencer, tentando di carpirne i segreti, la loro diffusione, gli spazi dove agiscono (le comunità online) e le modalità con cui comunicano e propagano i loro messaggi. Al termine della sua indagine, è così riuscita a identificare 5 macro gruppi di comunità, in funzione delle caratteristiche degli utenti:

  1. VICINANZA: Meetup, creazione di gruppi fisici
  2. ATTIVITA’ IN COMUNE: Wikipedia, enciclopedia online
  3. CONDIVISIONE DEGLI STESSI INTERESSI: Youtube, video online per categorie
  4. COMPETENZA: social network professionali
  5. CONNESSIONI: Facebook, MySpace, SecondLife, tutti social network costruiti su ogni tipo di connessione tra persone

Un’altra rappresentazione, più visiva, che mostra gli influencer nei social network è possibile trovarla qui, dove, però, li si dividono in 4 macro aree:

Influencer
Analisi

Le comunità online originate dalle connessioni, come Facebook, sono, come è facile immaginare, le più frequentate (circa il 25% degli utenti internet) e le più importanti per i giovani sotto i 20 anni. Quindi, seguono, con il circa il 20% degli utenti internet, le comunità nate con attività in comune e condivisione di interessi.

I contenuti degli influencer sono in prevalenza:

  • Video (94%)
  • Articolo sul blog personale (92%)
  • Recensione (89%)
  • Una domanda (87%)
  • Una risposta (83%)
  • Foto (77%)
  • Commento (76%)
  • Aggiornamento propria area in un social network (75%)
Chi è l’influencer

Inoltre, se è vero che gli influencer possono determinare il successo di un prodotto o di un servizio, è anche vero che la loro influenza varia da settore a settore: mentre circa il 60% dei navigatori acquista un prodotto di elettronica di consumo seguendo i suggerimenti letti, solo il 18% sceglie un meccanico per la propria macchina. E’ elevata comunque la percentuale di coloro che decidono in base alle informazioni in rete: il 52% la vacanza, il 48% il film da vedere, il 41% la nuova auto e il prossimo lavoro, il 38% il ristorante.

Ma come si distingue un influencer? Di solito, un influencer, pubblica un contenuto in Rete più di una volta al giorno, e metà di loro ha meno di 22 anni e solo l’8% ha più di 50 anni. Il 40% sono studenti, mentre il 60% sono in prevalenza uomini, ma anche le donne hanno la loro influenza, tanto che il 78% delle mamme blogger negli Stati Uniti, da un giudizio sui prodotti per bambini e il 96% di tutte le mamme online considera con attenzione i loro consigli.

Epilogo

Quel che è certo è che l’opinione degli influencer è (almeno in teoria) indipendente e non una merce in vendita, tanto che l’unica arma delle aziende è quella di informare correttamente gli influencer, ascoltarli e dotarli di strumenti comparativi del proprio prodotto o servizio.
Quindi, in definitiva, l’investimento più importante è nella qualità della relazione con gli influencer!

Altre riferimenti

Per maggiori informazioni potete andare direttamente sulla pagina che dello studio della Rubin Consulting: Online Communities and Their Impact on Business che è stato diviso in 3 sezioni:

  1. Part One: How online community works
  2. Part Two: Leading Web Destinations and Community
  3. Part Three: Web Community and Social Life

Oppure potete scaricare direttamente il PDF del report completo.

Sotto il tag blog-power, infine, trovate alcuni miei articoli che parlano di marketing, web e blog.

Tag:blog-power, facebook, Internet, marketing, Obama, web, Web 2.0
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Mar 19 2008

Il Marketing Multichannel: come coinvolgere gli spettatori dalla Tv al Web

Posted by Antonio Troise
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Il marketing multichannel (pubblicità su più media) è un fenomeno consolidato da anni negli Stati Uniti ma negli ultimi mesi sta prendendo piede anche in Europa ed in particolare nel nostro Paese, dove le filiali europee stanno prendendo spunto dall’esperienza oltreoceano della casa madre. Ma cosa è il marketing multichannel? Avete presente gli ultimi spot televisivi della Coca-Cola, di Intimissimi o della Beck’s? Ebbene, se vi ricordate, queste campagne pubblicitarie sono molto particolari poiché, al termine del filmato, invitano lo spettatore a proseguire l’esperienza sul web.

Il caso Coca Cola

Coca Cola, recentemente, ha mandato in onda, su tutti i network televisivi, Happyness Factory, un breve trailer di animazione 3D che rimanda alla visione, in versione completa e ovviamente gratuita, di un cortometraggio animato sul sito aziendale, disponibile in nei formati hd, ipod, mobile e psp. Qui sotto trovate il video dello spot televisivo del microfilm:

Lo spot, oltre che in televisione, è stato anche proiettato al cinema, sponsorizzato sui giornali e, addirittura, e diffuso anche su Second Life. La versione digitale di Avril Lavigne è stata protagonista della premier del film e gli utenti hanno potuto così assistere con lei alla prima di Happyness Factory. Esiste anche una pagina di Mymovies, con tanto di template dedicato, sul microfilm in questione. Il cortometraggio è recensito come qualsiasi altro film in uscita al cinema.

Il caso Intimissimi

Analogamente si è comportata Intimissimi che, rivolgendosi alle giovani, ha lanciato uno spot trailer con protagonista Monica Bellucci, sia in televisione che al cinema e che rimanda alla visione integrale del cortometraggio “Heart tango” di quattro minuti su Internet. Qui sotto potete vedere il video dello spot:

Il Caso Beck’s

La Beck’s, invece, ha reso più partecipi gli spettatori e ha voluto sfruttare il fenomeno della user generated content propria della blogosfera e, più in generale, del Web 2.0 di Youtube e simili, permettendo a chiunque di esprimere la propria creatività. In pratica ha invitato i giovani ad inventare e a girare il finale dello spot “Aereo” della Beck’s, visibile in TV e sul sito Becks.com.
Lo spot, infatti, termina con una “finale aperto” che vede il protagonista alle prese con una difficile scelta: aprire la porta argento (del lusso) e concedersi un viaggio extra comfort o aprire la porta rossa (della passione) e provare a conquistare una splendida donna? Il vincitore, rispettando pienamente tutti i parametri previsti di originalità, sintesi e caratteristiche tecniche, aveva scelto di aprire la porta Lusso, realizzando un video 100% home-made, dal titolo “Insieme in prima classe”. Il finale è stato, ovviamente, visibile in coda allo spot Beck’s.

Cosa è il Marketing Multichannel?

Dopo questi esempi è forse divenuto chiaro che lo scopo di questo nuovo genere di marketing è molteplice: se inizialmente si può pensare che è altro non è che un modo per far visitare un sito web che altrimenti rimarrebbe sconosciuto e inesplorato (con la visione dei filmati, i contatti decuplicano in poco tempo e il tempo di permanenza e navigazione sul sito si aumenta notevolmente e, di conseguenza, anche sul catalogo prodotti), in realtà, alla base di questa nuova concezione di pubblicità, detta in gergo campagna web-driven, ovvero che accompagnano lo spettatore della piattaforma televisiva verso quella online, vi è anche una nuova concezione di pubblicità integrata tv-web. Infatti, indirizzando il pubblico verso uno spazio web che fornisce l’opportunità di informare in maniera più completa il consumatore, in realtà è anche un modo per conoscere meglio i gusti e le caratteristiche del consumatore, per capire il proprio interlocutore e profilarlo e schedarlo di conseguenza.

Nelle strategie del marketing, quindi, non basta più coinvolgere lo spettatore nella comunicazione commerciale, ma ora si è interessati a creare un feedback con l’utente, stabilendo una interazione che rende molto più labile il confine tra pubblicità e ricerca di mercato.

Gli albori del Marketing Multichannel

In realtà, però, da sempre il marketing utilizza una pluralità di mezzi per veicolare le comunicazioni pubblicitarie: dai depliant, alle brochure, agli spazi sui periodici, fino alla radio e la televisione. Ma allora se il marketing è sempre stato, per sua natura multichannel , perché, dunque, scomodare un concetto dato per scontato da qualsiasi marketer?
Il motivo è presto spiegato: è solo grazie ad Internet che è oggi possibile rendere le esperienze di comunicazione omogenee, in grado cioè di dare al cliente quelle sensazioni e quelle esperienze che in passato i diversi mezzi (stampa, televisione, ecc) potevano dare solo separatamente. Ne è un esempio lampante il marketing della Kinder, che ebbe l’idea di far trovare la sorpresa dell’ovetto sia in termini fisici, sia su Internet, dove usando un piccolo codice trovato col giocattolo si può accedere ad un video-game a sorpresa.

Il declino dei media tradizionali

Molto probabilmente, però, il marketing multichannel è la diretta conseguenza della perdita di efficacia del canale televisivo che risulta sempre più inadeguato, tanto che le più grandi aziende stanno perdendo fiducia nell’influenza degli spot tv. Ecco, quindi, spiegato il perché di questa rinascita sul web: il marketing sta cambiando adeguandosi ai rapidi mutamenti della società e se, fino a poco tempo fa, il web, era patria di un marketing non convenzionale (come i viral marketing dei video diffusi sulla piattaforma Youtube) ora lo è anche di quello più convenzionale.
Ad avallare questa teoria vi è l’indagine Upa che ci conferma che gli investimenti pubblicitari online sono cresciuti nel 2007 del 35% mentre i mezzi di comunicazione tradizionali si trovano in una fase di stagnazione.

Il marketing fatto a misura dei più giovani

Ovviamente non bisogna scordarsi che il web, proprio per la sua natura selettiva, può parlare solo ad una piccola parte del proprio pubblico che deve essere perfettamente a suo agio nella rete ma che deve essere anche in grado di utilizzare di frequente canali tradizionali anche solo per acquisire informazioni: è questo l’identikit dei giovani di oggi! Ed ecco quindi che l’esigenza di approdare anche sul web è sentita molto da aziende che hanno un target di riferimento giovanile in grado di rispondere celermente agli stimoli e che non si pone in maniera passiva davanti al mezzo televisivo. In effetti, sono proprio i giovani il target di riferimento del marketing multichannel poiché hanno una capacità di interazione molto più grande e sono in grado di stabilire un dialogo biunivoco (e non più one way).

Spot multichannel ma anche virale

Quindi, casi come Happyness Factory della Coca Cola, sono classici esempi di come uno spot, che punta su più giovani, riesca ad essere multichannel e, al contempo, anche virale, poiché è in grado di dar vita ad un naturale passaparola (tipico anche della blogosfera) da parte di chi ha apprezzato il cortometraggio.
In effetti, a ben pensarci, il fatto che i blog possano parlare di questo spot, o per elogiarne la realizzazione tecnica o, semplicemente, per descrivere semplicemente un nuovo fenomeno di marketing, credo che rientri sempre negli obiettivi della campagna pubblicitaria!

Tag:3d, blog-power, cinema, Film, Internet, marketing, pubblicita, spot, trailer, tv, Video, web, youtube
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Gen 22 2008

Psicologia del marketing: il potere del prezzo e della marca sul nostro cervello. Alcuni personali esempi di scarsa affidabilità dei prodotti di marca: cordless duo e telecomandi universali

Posted by Antonio Troise
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L’altro giorno leggevo sul giornale di una ricerca che ha confermato una sensazione che avevo notato: “più un prodotto costa, più crediamo che il suo valore sia maggiore di un altro simile ma che costa meno“. Alzi la mano chi non ha mai fatto un ragionamento simile, magari quando ci si trova di fronte a due prodotti che non conosciamo bene e che, magari perché è un regalo, ci teniamo a fare bella figura. Istintivamente viene da pensare che quello che costa di più e, magari perché di marca, deve essere necessariamente migliore!

Tramite risonanza magnetica, i ricercatori hanno osservato gli effetti neurali del marketing sul cervello di venti persone mentre assaggiavano lo stesso vino (un cabernet sauvignon), ma venivano detti loro prezzi diversi, dai 3 ai 60 euro alla bottiglia. Oltre a descrivere il vino più caro come il migliore, gran parte dei volontari provava in effetti un piacere maggiore nell’assaggiare il prodotto che credeva più costoso. La loro corteccia mediale orbito-frontale, un’area normalmente associata al piacere, era più stimolata nel caso del vino più caro: questo, secondo Rangel, mostra come la differenza in termini di piacere sia reale, anche nel caso di due prodotti identici.

È la stessa cosa che succede con un un marchio di moda. La psicologia è la stessa: non si tratta dei soldi, ma della reputazione e del prestigio.

Ovviamente a contrastare questo istinto psicologico innato in tutti noi, esiste l’esperienza individuale.
Personalmente mi sono imbattuto più volte in situazioni in cui un prodotto di marca fosse più scadente rispetto ad uno non di marca.

Acquisto di un cordless

Per fare qualche esempio recente, durante l’acquisto di un cordless duo, ho deciso di affidarmi ai prodotti della Philips, perché pensavo fossero di buona fattura. Ma nonostante l’accattivante aspetto estetico, i prodotti erano veramente scadenti e pieni di bachi.

SE1402B/24 All’inizio ho comprato la serie SE1402B/24 ma, nonostante nel retro della confezione non vi era descritto nulla, a casa ho scoperto che la Rubrica telefonica poteva registrare sino a 20 numeri telefonici… ma non era possibile associarli ad alcun nome, ma solo ad un numero progressivo di allocazione. Questo, oltre a rendere estremamente scomoda e lenta la ricerca di un certo numero telefonico in Rubrica (vanificando il concetto stesso di Rubrica Telefonica), rendeva anche del tutto superfluo la funzionalità di visualizzazione dell’ID Chiamante se, a questo, non veniva associato anche il nome della persona!Mi stupisco che nel 2008 queste cose siano ancora degli optional!

CD2402S/24 Deluso dall’acquisto, sono tornato in negozio e ho cambiato questo modello con uno, sempre Philips, ma con la possibilità di salvare con nome i numeri in rubrica (mi sono documentato scaricando prima la guida in pdf): CD2402S/24. Ebbene, nonostante questo modello avesse tutte le caratteristiche che desideravo (come un buon audio, la rubrica che funzionasse a dovere e un buon vivavoce) ecco che scopro che era affetto da due bug software davvero gravi.
Il primo riguardava il fatto che, quando ricevevo la chiamata, l’ID Chiamante (associato correttamente al nome salvato in Rubrica), compariva solo una volta durante il primo secondo in cui il telefono squillava; dopodiché visualizzava solo un generico “Philips”. Insomma se non si era Flash, era impossibile visualizzare il numero di chi chiamava e l’unico modo era andare nella sezione delle Chiamate Ricevute e, sempre mentre il telefono squillava, leggere chi stesse chiamando. Assurdo!
L’altro problema riguardava l’impossibilità di chiudere una chiamata (con il tasto rosso) se prima non si era risposto: l’unico modo, se non si voleva essere disturbati, rimaneva quello di silenziare l’apparecchio! Non che io sia solito attaccare così bruscamente il telefono, ma mi piacerebbe avere anche questa funzionalità base quando compro un telefono!

Acquisto di un telecomando universale

SRU8015-10 Per fare un altro esempio, posso riportare quello di un mio amico che, aveva comprato un telecomando universale Philips Prestigo SRU8015-10 da quasi 100€, con display LCD e possibilità di comandare sino a 15 apparecchi, ma che, appena scartato, ha trovato lo schermo difettoso per cui risultava impossibile leggere correttamente le informazioni. Inoltre, nel manuale, era disponibile la lista degli apparecchi compatibili, dalla A … alla P … e tutti gli altri apparecchi di marca dalla S alla Z (come Sony o Samsung) che fine avevano fatto?
Certo, questi potrebbero essere piccoli difetti indipendenti dalla qualità (probabilmente indubbia) del prodotto, ma credo che quando si acquista qualcosa di un certo prezzo e di una marca famosa, ci si aspetti che le proprie aspettative risultino confermate.

URC 7940 Io, invece, ho comprato un bel telecomando universale da 20€ della One For All, il modello URC 7940, senza schermo LCD, e che comandava solo 4-5 apparecchi (più che sufficienti per la maggior parte degli impianti home theater casalinghi), e funziona meravigliosamente. E’ possibile impostare il controllo del volume del televisore su qualsiasi periferica (senza dover quindi switchare ogni volta sulla TV), creare delle utili macro di accensione/spegnimento di tutti gli apparecchi desiderati, riprogrammare alcuni tasti, una lista dei dispositivi completa dalla A alla Z (!) e una assistenza telefonica gentile e preparata! Insomma con soli 20€ non si può volere di più!

Epilogo

Gli esempi che ho deciso di scrivere in questo articolo sono solo gli ultimi due che avevo bene in mente e, solo per puro caso, coinvolgono una grande azienda come la Philips che sicuramente farà degli ottimi prodotti, ma che, nel mio caso, non è riuscita ad esprimere il meglio di sé. Insomma, lungi da me denigrare questa società, ma è bene evidente che, a volte, non bisogna farsi prendere dalla trappola psicologica del prezzo e della marca famosa, che magari offrono anche 100 cose in più di un prodotto di fascia più bassa e meno famoso, ma che poi, a conti fatti, non vengono usate se non in minima parte! E’ anche vero, però, che molto spesso, ci si imbatte in prodotti che costano poco e sono anche di scarsa manifattura.

Insomma, l’unico suggerimento che posso darvi è: state attenti, aprite gli occhi, confrontate sempre i prodotti e documentatevi sempre prima di fare il vostro acquisto!

Tag:cordless, marketing, philips, scienza, Tecnologia
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Lug 16 2007

Il passaparola dei blog con il wom e il web marketing: evoluzione dalla fase dell’ascolto del cliente a quella del suo coinvolgimento

Posted by Antonio Troise
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Word of mouth Il passaparola, in inglese “word of mouth” citato spesso con l’acronimo WOM, esiste da sempre, da quando gli esseri umani hanno inventato il linguaggio. Il passaparola è nato come trasmissione di un’informazione verbale, di solito un consiglio, da persona a persona ed è per questo che il WOM è considerato da sempre la prima forma di marketing. In passato ha influenzato solo in parte il successo di un prodotto, questo per l’impossibilità di rendere VIRALE un messaggio e di diffonderlo tra tutti i potenziali interessati.

Con la rete, però, il WOM è diventato centrale nelle politiche di marketing delle aziende dato che la voce di ogni singolo utente può essere amplificata a dismisura, assumendo un potere prima inimmaginabile. Una valutazione negativa o positiva propagata in internet può determinare il fallimento o la diffusione di nuovi prodotti o servizi. E’ per questo che si ritiene che il futuro dell’e-commerce risiede nell’acquisizione delle opinioni dei clienti e delle loro esperienze per lo sviluppo del proprio brand. La crescita dell’informazione, la possibilità di disporre di migliaia di articoli online e la confusione che ne deriva, facilita l’affermazione del wom. Sembra infatti che si cerchi, non più l’informazione in sé, ma chi di questa si fa garante in modo imparziale di chi ha provato il prodotto, come può essere, per esempio, un cliente di un albergo o di una compagnia aerea o chi ha investito in fondi o ha contratto un mutuo. La loro opinione può contare più dell’informazione aziendale, valutata solo come pubblicità.

Global Kids
Promozione e pubblicità non fanno sempre aumentare le vendite: se una promozione aumenta l’incertezza è controproducente; quindi valgono molto di più le segnalazioni che vengono dalla rete dei consumatori stessi. Quando un sito di e-commerce (come p.es. può essere Amazon) segnala che chi ha comprato un certo bene ne ha poi acquistato anche un altro, il messaggio è particolarmente efficace. Le recensioni spontanee sono decisive perché quello che conta sono le raccomandazioni che i consumatori si scambiano nei network sociali.
La dimensione mediatica del passaparola all’epoca di internet è il nuovo argomento di ricerca del marketing tanto da poter affermare senza ombra di dubbio che, a volte, i blog sono un argomento per le pubbliche relazioni più che per la pubblicità.

I media verticali, come la TV, sono monodirezionali, gerarchici e controllati. I media orizzontali, come le reti sociali dei blog sono spontanei, basati sull’esperienza e il dialogo. E se il messaggio che arriva dalla pubblicità sui media tradizionali non è coerente con quello che si dice la gente attraverso il passaparola, perde credibilità ed efficacia.
D’altra parte, i messaggi pubblicitari sono talmente numerosi che faticano ad emergere e farsi notare.

Fiducia, attenzione, indipendenza, senso critico, solidarietà tra pari: su questi valori, la dimensione mediatica del passaparola è vincente. Ora le aziende iniziano a comprenderne le conseguenze e al posto del vecchio generico verbo “comunicare”, ne hanno adottate altre tre: ascoltare, informare e collaborare.

Anche se pare difficile, il wom è misurabile: infatti, una società può monitorare la rete, per esempio, su una specifica iniziativa, per carpirne l’apprezzamento, o meno, e prendere, se necessario, delle contromisure. La diffusione del wom online è avvenuta inizialmente con le email, non sempre efficaci, e si è quindi sviluppata con le USER REVIEW, i blog, i wiki, i forum, i social network e, da ultimo, con gli USER CONTENT GENERATED, i contenuti creati direttamente dagli utenti.
La user review, pur efficace, non si è ancora diffusa e solo il 26% dei siti di e-commerce ne fa uso. I blog, invece, sono sempre più usati dalle aziende per comunicare e confrontarsi con i clienti; un esempio è la Microsoft che ha centinaia di blog attivi di suoi dipendenti, alcuni dei quali interagiscono direttamente con i visitatori.

Il fenomeno web 2.0 ha prodotto strumenti di massa a disposizione degli utenti: di pubblicazione, come Flickr e Youtube, o di indicizzazione e valutazione dei brand e dei prodotti/servizi, come del.icio.us e Yahoo! Answers. Le blogstar della rete sono spesso determinanti per la diffusione di messaggi, visto che alcuni arrivano anche a 400mila visite giornaliere e sono considerati più attendibili della carta stampata.

Integrare le opinioni dell’utente, tradotte in conoscenza, in una organizzazione tradizionale non è un esercizio immediato: va, infatti, cambiato il processo produttivo di cui il cliente diventa una componente stabile per il miglioramento continuo. Si passa, così, dal vecchio ufficio reclami alla progettazione del servizio/prodotto condivisa.

Esistono molte società di WOM ONLINE, come Bazaarvoice, che si occupano di acquisire le opinioni dei clienti e delle loro esperienze per lo sviluppo nel brand delle aziende.
A tal proposito, esiste anche un’associazione mondiale delle società che sviluppano il marketing del passaparola, la Womma, World of Mouth Marketing Association, fondata nel 2004. Ne fanno parte aziende come Aol, American Express, Apple, Fidelity Investments e Coca-Cola. Gli obiettivi del Womma sono la protezione del consumatore e delle aziende attraverso linee di comportamento etico, la promozione del wom come strumento di marketing e la definizione di standard e metriche, tra le quali il ROI, per la sua diffusione.
Secondo questa società, infine, il wom funziona più spesso come diffusore delle valutazioni positive, che sono di un fattore 3 a 1 rispetto a quelle negative.

In definitiva si può affermare che, il business online, grazie all’era del web 2.0, sta evolvendo verso il cliente: dalla fase dell’ascolto a quella del coinvolgimento.

Photo credit: Dawn Hudson
[via MF del 10/07/2007 e nova del 12/07/2007]

Tag:marketing, passaparola, wom, word-of-mouth
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