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Dal 2004 il blog di Antonio Troise

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Mar 23 2009

SeisMac: come trasformare il vostro portatile Mac in un sismografo low cost e contribuire allo studio dei terremoti in scala locale

Posted by Antonio Troise
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Oggi sono venuto a conoscenza di un nuovo software dalle caratteristiche davvero peculiari per scopi davvero originali. Si chiama SeisMac, ed è una applicazione gratuita solo per Mac OS X che permette di contribuire al rilevamento di terremoti grazie al sensore presente in molti modelli di Mac portatili in commercio dal 2005 in poi, trasformando di fatto il proprio MacBook o Macbook Pro (ma anche iBook e Powerbook) in un vero e proprio sismografo low cost.

Realizzato in collaborazione con l’Istituto di Ricerca Sismologica IRIS, SeisMac 2.0 è in grado mostrare le onde sismiche su tre assi in un grafico in tempo reale, dopo aver opportunamente tarato i sensori con SeisMaCalibrate, e di inviare ogni 15 minuti tutti i dati ad un server per la condivisione immediata dei dati raccolti e coordinata da un gruppo dei geofisici della South California University. E’ possibile visionare cosa registrano tutti i portatili della rete direttamente dalla mappa interattiva sul sito del progetto, oppure scaricando e installando QCNLive che permette di avere, con una grafica accattivante, un colpo d’occhio sulle situazione nel mondo.

QCN World Map

Nonostante apparentemente non avrebbe senso affidare la credibilità di un movimento naturale ad un solo strumento, come un computer portatile soggetto frequentemente a movimenti accidentali non dovuti ai terremoti, c’è anche da considerare che una scossa naturale si distingue dalle altre per il fatto che è segnalata contemporaneamente da una molteplicità di computer distanti fra loro evitando i falsi allarmi.

SeisMac
Lo scopo di SeisMac

Resta comunque il fatto che SeisMac 2.0 (e il progetto relativo) risulta, finora, l’unico software che sfrutta i sensori di movimento (Sudden Motion Sensor, il sensore che rileva i movimenti bruschi per distaccare l’hard disk preservandone il contenuto in caso di caduta) senza fini ludici (come SmackBook Pro, MacSaber e Bubblegym) ma con un fine ben preciso e di valore. Infatti, i terremoti si manifestano con una variabilità di effetti da un posto all’altro, o addirittura da un edificio all’altro, in funzione, per esempio, delle caratteristiche del suolo e dei criteri costruttivi. Avere dati puntuali aiuta a costruire le cosiddette mappe macrosismiche che descrivono in dettaglio gli effetti di un terremoto da zona a zona e che servono, in ultima analisi, per progettare meglio l’edilizia e l’urbanistica anti sismica.

La situazione in Italia

Non so quanto, però, questa rete di computer possa essere utile, almeno in Italia. Tralasciando il fatto che in una piccola percentuale di casi i dati prelevati possano essere falsati dal fatto che, magari, durante una scossa sismica il computer potrebbe essere spostato dalla sua posizione, alterando i valori registrati, è evidente che nel nostro paese, la rete di computer sarà molto meno fitta dato che il numero di Mac presenti sono una piccola percentuale rispetto a quelli sul territorio americano, dove attualmente il progetto, noto come Quake-Catcher Network, sembra aver preso piede. Non per questo mi sento però di non avallare il progetto che ha tutta la piena approvazione!

Tag:mac, Mac os x, macbook, macbook pro, portatile, sismica, sismografo, Software, terremoto
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Mar 4 2009

L’importanza del sottile inganno psicologico nel mantenere inalterati i nomi dei prodotti Apple anche dopo il loro aggiornamento hardware

Posted by Antonio Troise
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L’altro ieri mi hanno regalato per il mio compleanno una Time Capsule da 500 GB: un oggettino davvero utile e semplicissimo da usare per fare il backup centralizzato e via wireless di tutti i miei Mac casalinghi. E cosa vado a scoprire oggi, leggendo le news del mondo Apple? Che proprio ieri la Apple ha rilasciato la nuova versione della sua Time Capsule!

Ora, francamente, le nuove caratteristiche introdotte da Cupertino per rendere il prodotto, oltre che innovativo, anche maggiormente appetibile (come la Dual band simultanea, il network Guest e il collegamento diretto col vostro account MobileMe), non hanno destato particolarmente il mio interesse, dato che sono funzionalità che non userei mai. In particolare, il Time Capsule lo userei solo per la sua funzione primaria: fare i backup da remoto con Time Machine. Quindi, se non fosse stata per una lieve riduzione di prezzo, direi che sono ancora del tutto soddisfatto del mio acquisto.

Il disagio psicologico di un acquisto affrettato

Ma, quando ho letto la notizia di tutti questi upgrade hardware, ho provato come una sorta di disagio psicologico, come se avessi perso una grande occasione a non aver aspettato a comprare la Time Capsule, e una vocina mi diceva di correre a leggere le novità introdotte. Probabilmente questo accadrà solo a chi piace giocare, budget permettendo, con gli ultimi ritrovati tecnologici: quanti di voi hanno comprato un Macbook e il giorno dopo hanno scoperto che ne è uscito uno speed bump o, nei peggiori dei casi per un tech-addicted, ad un completo redesign del prodotto? I più saggi consigliano sempre di comprare i portatili sempre dopo il loro ultimo aggiornamento evitando così di doversi pentire della troppa fretta o del proprio tempismo sbagliato!
A testimonianza di ciò, i forum del mondo Apple sono pieni di queste segnalazioni e tra i tanti commenti, si segnalano persone che non soffrono di questo “incauto” acquisto fino ad arrivare a persone che corrono subito a riportare indietro il prodotto (sfruttando il diritto di recesso di 15 giorni) per poi acquistare, il giorno dopo, e magari in un altro negozio, la versione aggiornata del loro gioiellino tecnologico. Certo, questi sono casi limite, ma sono testimonianze di quanto una sofisticata strategia della Apple faccia parlare di sè ad ogni upgrade hardware.

Il confronto con Asus

Infatti, se è vero che, secondo la rivista “Fortune”, per il secondo anno consecutivo, la Apple è la società più ammirata al mondo, è anche vero che questa azienda è l’unica a generare un hype mediatico senza pari che inizia dai rumors pre-upgrade, fino a sfociare nei commenti, lusinghieri e non, del post-upgrade. Ma tutto ciò, come accennato poco fa, fa parte di un abile e sottile strategia, che, tra i vari tasselli che la costituiscono, sicuramente in primo piano vi è quella tecnica di non cambiare mai i nomi dei prodotti, evitando quelle inutili sigle compresse e poco mnemoniche.

Faccio un esempio. Tempo fa acquistai un Asus Eeebox B202 che ho posizionato sotto il mio televisore. Un prodotto eccellente per quello che deve fare ad un prezzo contenuto. Ebbene, nel frattempo, sono usciti anche i modelli EeeBox B203 con il Celeron, EeeBox B204 e EeeBox B206 che hanno eliminato l’uscita DVI per far spazio alla nuova porta HDMI, oltre ad avere aggiunto una scheda video più potente come la ATI della serie Radeon HD3400.

Insomma, tutte modifiche che farebbero gola a chi vuole il top, ma che sfuggono ai più per due semplici motivi. Il primo perché la risonanza mediatica di un aggiornamento hardware dei modelli Asus penso sia infinitesimalmente più piccola di quella che potrà mai produrre una società come la Apple. Il secondo, e non ultimo, motivo è che ogni nuovo aggiornamento hardware costituisce, di fatto un nuovo modello, facendo perdere di fatto l’identità del prodotto come tale ma costellandolo di una decina di versioni leggermente diverse che si contraddistinguono tra loro semplicemente da un acronimo impersonale come B20x.

Ancora più largo è il comparto dei modelli dei portatili Asus: qui potete trovare un database completo di tutti i modelli usciti sino ad oggi. Per farvi una idea, abbiamo, per la serie A, l’ Asus A6Ja, A6Jc, A6M, A6T, A6Tc, A6Je, mentre per la serie F3 ben 17 modelli che vanno da F3SG-AP057C a Asus F3Jp. In totale abbiamo una selva oscura di oltre 251 modelli diversi (ovviamente distribuiti in diversi anni): provate voi ad affezionarvi ad uno solo di questi modelli!

La Apple, invece, a differenza di tutti gli altri produttori tecnologici, assegna solo pochi nomi univoci ai propri prodotti: Macbook, Macbook Pro, iMac, Time Capsule, iPhone, etc. Le poche caratteristiche diverse che possono contraddistingure i vari modelli coinvolgono quasi sempre la quantità di spazio sul disco rigido, di RAM preinstallata, di potenza della scheda video e di dimensioni dello schermo LCD! Ovviamente ogni modello avrà un suo particolare codice che lo contraddistinguerà ma questo rimarrà sempre cablato all’interno del prodotto e non lo troverete mai scritto neanche sul sito della Apple (per i curiosi, l’applicativo MacTracker può snocciolarvi tutti i modelli di tutti i prodotti Apple che si sono susseguiti negli anni).

L’inganno psicologico

Insomma, come capirete, è facile affezionarsi al proprio Macbook Pro, perché ha un nome amichevole, è facilmente rintracciabile su Google e, proprio per questo, appena vi è un aggiornamento, lo verrete subito a sapere. Ed ecco qui che nasce quel fenomeno, tipico solo del mondo Apple, di rimpianto per un acquisto incauto e frettoloso, cosa mai lontanamente immaginabile, per esempio, per i prodotti Asus dato che, almeno apparentemente, non siamo di fronte ad uno stesso modello che è stato aggiornato e migliorato, ma ad un prodotto diverso perché ha anche una sigla diversa.

Ho detto apparentemente, perché, come è ovvio, in entrambi i casi i prodotti possono essere considerati diversi, ma qui giochiamo sul ruolo di un sottile inganno psicologico. Io ho comprato un Asus EeeBx B202 e se, dopo un giorno, esce il modello B207 mi pesa sicuramente di meno che non se dopo aver acquistato un Macbook Pro, il giorno dopo, ne esce un altro potenziato ma con lo stesso identico nome: Macbook Pro! E la prova è che sul sito della Apple vengono sempre messe in luce tutte le nuove caratteristiche dei nuovi prodotti (col passaggio da Tiger a Leopard furono elencate tutte le oltre 150 novità introdotte), dichiarando che ora sono ancora più potenti e performanti di prima, quasi fosse una loro evoluzione naturale, che dalla scimmia ha portata ad una specie senziente come l’uomo. E come non potersi affezionare ad un prodotto che migliora costantemente nel tempo (e diventa sempre più bello) e che, al contempo, può essere costantemente nel tempo identificato come un nome univoco?

Tag:Apple, Asus Eee, backup, macbook
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Dic 3 2008

Esperienza personale sulla riduzione delle prestazioni di un portatile alimentato dalla sola batteria e i casi limite di laptop Apple e Asus più lenti se usati senza batteria

Posted by Antonio Troise
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Dual Core Processor Forse non tutti sanno che molti notebook di ultima generazione lavorano diversamente a seconda se sono collegati ad una fonte di alimentazione esterna oppure se sono alimentati solamente dalla batteria. In effetti, il principio non era noto nei dettagli neanche a me. Ho sempre pensato che l’unica limitazione (perlomeno quelle visibili) su un portatile non collegato alla presa di corrente, fosse un semplice abbassamento automatico della luminosità dello schermo (che comunque può essere ripristinata manualmente). In realtà, anche grazie all’adozione dei processori multicore, molti portatili anche di fascia alta, tendono a limitare la potenza dei processori, e ciò avviene o spegnendo un core (un processore) oppure limitando la potenza totale della CPU (non so se avvenga lo stesso anche per la scheda grafica integrata o no). Il tutto per salvaguardare la durata della batteria. Questo cosa comporta, però? Come potete intuire le prestazioni del vostro fiammante computer dualcore si ridurrano drasticamente, e se usate applicazioni molto pesanti che magari richiedono una notevole elaborazione di dati o anche un sofisticato rendering 3D, ecco che, oltre a far scendere la durata della batteria, si ridurranno anche le prestazioni per far eseguire quelle applicazioni, col risultato che potrebbero, nei casi limite, girare anche più lentamente del normale. Ovviamente, parlo di casi limite, poiché spesso, quando un portatile è scollegato dalla presa di alimentazione, se si vuole far partire, per esempio, un gioco, si tende a collegarlo velocemente ad una alimentazione esterna poiché si è consci che la durata della batteria potrebbe calare bruscamente. In tal modo, però, oltre ad assicurare una alimentazione costante e duratura, si aumenteranno le prestazioni del portatile, tanto che difficilmente riuscirete ad accorgervi della differenza, anche perché i processori più moderni sono molto veloci per la maggior parte delle applicazioni che un utente medio può lanciare (ovviamente con le dovute eccezioni).

La mia esperienza

Ventola Io normalmente effettuo sempre un ciclo completo di carica e scarica della batteria, nel tentativo di farle avere un ciclo di vita il più lungo possibile, e, se in media ci impiega dalle 3 alle 4 ore a scaricarsi completamente, è anche vero che in questo arco di tempo, solitamente non stresso mai il mio portatile con elaborazioni grafiche o computazionali pesanti, tanto che non mi sono mai accorto della differenza. Questo fino a ieri sera, quando, stavo guardando alcuni video su Youtube. Fino a quando ero con la alimentazione scollegata e usavo solamente la batteria del mio Macbook Pro, tutto proseguiva senza problemi. Ma quando, oramai al limite di carica, ho deciso di collegare il mio portatile alla corrente, ecco che nel giro di un paio di minuti le due ventole di raffreddamento hanno alzato il numero di giri, tanto da sfiorare quasi i 6.000 rpm ciascuna, con un evidente aumento di rumore (solo un sibilo leggero ma comunque udibile). Ho provato quindi a scollegare l’alimentazione per vedere come si comportava il sistema di raffreddamento e, nel giro di pochi minuti (il tempo di riportare la temperatura sui valori standard), le ventole hanno ridotto sensibilmente il numero di giri fino ad arrivare ad un ragionevole valore di 2.000 rpm, con conseguente riduzione del rumore. Ma, non appena ho ricollegato l’alimentazione esterna, il numero di giri delle ventole si è riportato nuovamente verso i 6.000.

Sebbene possa sembrare un controsenso, credo che questa sia la dimostrazione che il mio Macbook Pro, come tanti altri portatili, ha effettuato una riduzione delle prestazioni in assenza di una alimentazione esterna. Infatti, senza l’alimentazione esterna, il mio portatile, al fine di risparmiare ulteriormente la carica della batteria, ha abbassato la luminosità dello schermo (ma questo è un settaggio che si può anche variare) e ha ridotto le prestazioni del mio Mac facendolo funzionare con un solo core e, magari, siccome ha anche una scheda grafica separata, riducendo le prestazioni della stessa. In tal modo, quando il portatile lavorava solo con la batteria, per visualizzare il video in flash, usava meno risorse di non quando era anche collegato all’alimentazione. In quest’ultimo caso, infatti, la temperatura si sarebbe alzata maggiormente (arrivando anche a quasi 60°) e le ventole hanno iniziato ad alzare il loro numero di giri per raffreddare il sistema.

Ovviamente, questo fenomeno di surriscaldamento, non accade tutte le volte che vedo un video su Youtube, ma è accaduto ieri e non accadeva da parecchi mesi. Infatti, occorre considerare diversi parametri che possono concorrere all’aumento di temperatura interna di un portatile: tra questi non posso non enumerare, la temperatura ambientale di partenza e la superficie sulla quale il computer è appoggiato (potrebbe spesso fare la differenza, specie in relazione con la posizione dei buchi di aerazione).
Purtroppo, ieri, non ho potuto fare ulteriori test, e oggi ho solo voluto riportare questa mia esperienza, magari per sentire anche i vostri commenti a riguardo.

Il caso limite di riduzione delle prestazioni in assenza di batteria: i casi Apple e Asus

A conferma della riduzione delle prestazioni dei portatili, vi è anche la recente notizia secondo cui, nei nuovi Macbook, quando sono collegati all’elettricità ma sono anche sprovvisti di batteria, il processore viene limitato di circa un 30%-40% della sua potenza totale, costringendo l’utente a dover per forza collegare la batteria, riducendo la longevità della stessa, per non vedersi ridotte drasticamente le capacità del MacBook. Effettuando il test CINEBENCH R10 il MacBook Pro 2.53 GHz da un punteggio di 5549 scende a 3504; la differenza è tale da poter concludere che solo il 63% della potenza di calcolo reale viene utilizzata (quando il sistema è collegato alla rete elettrica).
La caratteristica è inusuale a molti produttori di PC, che spesso si impegnano nella pratica comune di limitare il processore nel caso il sistema fosse collegato solo alla batteria per estenderne la durata operativa: in pratica, l’esatto opposto.
Da parte sua, la Apple ha dichiarato ufficialmente che limiterebbe il processore per evitare improvvisi spegnimenti del MacBook Pro dovuti ad un imprevisto aumento della richiesta d’energia. Se Mac Os X e le applicazioni in esecuzione richiedessero più energia elettrica di quella fornita dalla presa, il portatile potrebbe spegnersi improvvisamente con la perdita del vostro lavoro; questo non avverrebbe se la batteria è inserita.

Ma la Apple non è l’unica che si comporta in questo modo; la rete è piena di persone che notano abbassamenti considerevoli di prestazioni dei propri portatili in assenza di batteria; come questo possessore di un computer Asus V6J con core duo T2500 che ha notato che se lo si utilizza con l’alimentazione da rete e senza batteria il processore rimane “bloccato” nello stato di funzionamento a 900 MHz, indipendentemente dal carico di lavoro. L’assistenza centrale di Taiwan, gli ha risposto che il notebook è stato volutamente progettato in modo che lavorasse a pieno regime solo con la batteria collegata!

Tag:Apple, benchmark, dual core, laptop, macbook, portatile, rpm, rumore, temperatura, ventola
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Ott 17 2008

Diremo presto addio al Firewire? Perché Apple ha abbandonato questo standard e i 4 principali problemi che incontreranno i possessori dei nuovi Macbook

Posted by Antonio Troise
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Che uno standard venga soppiantato da un altro per via del fatto che diventi obsoleto, magari perché meno veloce (come accadde tra l’USB 1.1 e USB 2.0), è un fatto normale in tecnologia. Un po’ meno, anche se è accaduto più spesso di quanto uno si aspetterebbe, che uno standard migliore venga soppiantato da uno che è tecnologicamente inferiore ma molto più diffuso (come accadde tra VHS e Betamax). Ancor meno che una società, come Apple, che ha da sempre sponsorizzato lo standard Firewire, decida ad un tratto di non renderlo più presente nei suoi Macbook e nel LED Cinema Display da 24″ (che ha solo un hub USB), sostituendolo con il più diffuso USB, e lasciandolo, nella sua versione a 800 MB/s (visto che con un semplice adattatore si possono interfacciare dispositivi FW400 con un ingresso FW800), solo nella fascia più professionale dei portatili.
In realtà, non è la prima volta che Apple abbandona le Firewire nei suoi prodotti consumer: è accaduto, infatti, che con gli iPod di 5° generazione la porta Firewire è stata sostituita da una USB, ma il motivo principale era che si doveva rendere il lettore musicale compatibile con tutti i PC Windows (che solitamente era senza porta Firewire), visto che inizialmente l’iPod era nato solo per piattaforma Mac.

Firewire 400 to Firewire 800

La scomparsa della Firewire 400 nella fascia più economica dei laptop Apple, ha creato discussioni a non finire sul web e tutti si chiedono perché la società di Cupertino non abbia abbandonato solamente il vecchio Firewire 400 lasciando almeno un ingresso Firewire 800.

Ma, prima di analizzare nel dettaglio gli eventi, sarà bene fare un breve excursus sulle origini del Firewire, per poi passare ad analizzare i 4 principali problemi che incontreranno coloro che compreranno il nuovo Macbook, fino ad arrivare alle ipotesi finali sul perché Apple si sia comportata in questo modo.

Le origini del Firewire

La tecnologia di connessione ad alta velocità IEEE 1394 è stata creata da Apple nel 1995 e introdotta nel mondo informatico il 13 settembre 2000 sui portatili di fascia consumer con la FireWire 400. Questo nuovo standard portava al pubblico la facilità del montaggio video grazie al primo iMovie, quando ancora sulla maggioranza dei Pc nemmeno era considerata l’USB e l’unica alternativa per avere connessioni veloci era usare le catene SCSI (ma che avevano il grande svantaggio di non poter essere collegate a caldo).

Nonostante sulla carta l’USB 2.0 fosse leggermente più veloce (480 Mb/s contro 400 MB/s), nella pratica Firewire è sempre stato superiore all’USB 2.0 nel trasferimento dati grazie alla sua robustezza e alla sua banda dati passante notevolmente più ampia. Inoltre, grazie al fatto di poter garantire una velocità costante nella trasmissione del flusso video e, più in generale, di grandi quantità di dati, fu scelto come standard de facto per le videocamere in Digital Video (DV).

Problema 1: Nessun supporto per i dischi esterni Firewire

L’assenza della Firewire limita le scelte di chi, come me, possiede già dischi esterni Firewire visto che, al momento, non esistono in commercio adattatori per passare da un formato USB ad uno Firewire, rendendo di fatto inutilizzabili questi hard disk esterni, a meno che non si abbia anche un doppio ingresso USB come certi previdenti produttori hanno previsto.

Drive Firewire

Problema 2: Supporto parziale delle videocamere USB AVCHD

Ad oggi, l’ultima versione di iMovie 08 supporta anche l’acquisizione video da USB 2.0 delle videocamere AVCHD, anche se, come ho potuto constatare spesso, i formati video non sono ancora del tutto gestiti correttamente! Indubbiamente le telecamere AVCHD sono molto più pratiche di quelle DV o miniDV, poiché sono in grado di effettuare una registrazione tapeless, ovvero non sequenziale su nastro, ma direttamente come file. Dovendo, quindi, trasferire un file e non un flusso video, è facile intuire che, non è più necessario disporre di una velocità costante nella trasmissione del flusso video, e quindi può essere usato lo standard USB al posto di quello Firewire.

Fireware DV video editing

Però, io credo, che finché i Mac non gestiranno correttamente tutte le telecamere AVCHD, allora la scelta di abolire la connessione Firewire non ha senso. Se è vero che l’utente non professionale tende a scegliere un portatile entry level come un Macbook al posto di un Macbook Pro, è anche vero che, con lo stesso ragionamento, si suppone che possa scegliere anche una telecamera AVCHD al posto di una DV poiché, anche se sono più compatte e registrano direttamente su disco fisso, la loro qualità è nettamente inferiore, tanto da non essere ritenute accettabili da una buona parte dell’utenza che fa un uso minimamente intensivo del video. Infatti la maggior parte di queste telecamere, ad eccezione di quelle in alta definizione (anche se, comunque, alcune sono ancora legate al Firewire), registrano in MPEG2, e su uno schermo a 32” vi assicuro che la differenza si vede nettamente.

La questione quindi è: che senso ha eliminare uno standard (DV: Firewire) se prima non si risolvono i problemi di compatibilità con l’altro formato (AVCHD: USB)?

Leggendo le varie discussioni sparse per la rete, uno dei principali motivi di contestazione è nel fatto che chi ha intenzione di fare video digitale usando formati che consentono una post lavorazione (non necessariamente professionale, come il DV non compresso), non trova più una risposta nel MacBook.

La mia esperienza diretta mi ha portato a combattere spesso con le telecamere USB. Io ho una Sony Handycam con Hard Disk da 30GB e nativamente iMovie e Quicktime non leggono il formato video della mia telecamera (solo VLC, al solito, vi riesce e iDive, un ottimo catalogatore di video digitale che non ha, però, niente a che vedere con lo stato dell’arte di iTunes e iPhoto). Il problema, quindi, è che non sono mai riuscito a montare video proveniente dalla mia telecamera AVCHD semplicemente importandolo da iMovie, bensì deve sempre prima effettuare una preventiva conversione in MOV con ffmpegX, con la conseguente perdita di tempo (almeno paio d’ore). Tutto questo, invece, non accadeva, quando usavo la mia vecchia, ma qualitativamente migliore, telecamera Mini-DV.

Problema 3: Schede audio Firewire

Il problema, in ogni caso, rimane per le schede audio: da quelle economiche a quelle professionali, la connessione avviene via Firewire, proprio perché consente un flusso dati costante e una banda notevole. Solo su quelle Firewire è, infatti, garantita la registrazione multitraccia, mentre su quelle USB spesso non viene supportata.

Audio Firewire

Su molti siti dedicati alla musica, il consiglio diventa di acquistare il modello entry level fintanto che sarà disponibile. I musicisti, infatti, soffrono particolarmente della mancanza di questo tipo di connessione poiché molte apparecchiature audio di livello professionale si interfacciano solo attraverso Firewire, e un aggiornamento del portatile significherebbe di fatto vanificare migliaia di euro di investimento.

Problema 4: Firewire Target Disk Mode

Un quarto argomento tirato in ballo quando si parlava dei problemi che si incontravano dal momento in cui si è eliminata la porta Firewire sui portatili entry level, è quello relativo all’impossibilità di usare il Firewire Target Disk Mode, ovvero la modalità con cui qualunque Mac viene temporaneamente trasformato in un semplice hard disk esterno per trasferire facilmente file, se il computer è collegato via Firewire ad un altro e all’avvio premiamo il tasto T sulla tastiera.

Firewire Target Disk Mode

Indispensabile per le assistenze tecniche, questa funzione è anche parte del processo che Apple consiglia per migrare da un Mac ad un altro Mac i proprio documenti e le proprie preferenze. In qualche forum si legge di amministratori di sistema che si dichiarano pronti a passare a PC a fronte dell’impossibilità di usare il target mode: “visto che si deve spendere del tempo, tanto vale spenderlo per passare da Mac a PC e si spende meno“.

E’ notizia di oggi, però, che, per supplire alla mancanza di porta Firewire e dare comunque la possibilità di migrare applicazioni e dati da un Mac all’altro, il sistema operativo dei MacBook di nuova generazione è stato aggiornato con il Migration Assistant via Ethernet, dando accesso a questa funzione via ethernet e via wireless, anche se la cosa è sconsigliabile per questioni di stabilità e velocità.
Quel che l’aggiornamento non è in grado di fare è abilitare l’uso del Target Mode; Apple non ha aggiornato questa interessante funzione per renderla utilizzabile via USB.

Firewire Target Disk Mode

Vedere sparire questa peculiarità unica del mondo Mac e che contribuiva a renderlo sostanzialmente diverso da un comune PC, è un vero peccato, anche perché non esiste un equivalente di tale tecnologia nelle specifiche dell’USB. Ciò significa che per tutti coloro che acquisteranno un portatile Macbook, d’ora in avanti i dati andranno trasferiti solamente tramite network o da un backup esistente.

Le ipotesi per spiegare la mossa di Apple

C’è chi teorizza che, probabilmente Apple, togliendo la Firewire dalle macchine entry level, abbia cercato di spingere i professionisti del video e dell’audio ad acquistare solo i MacBook Pro con la scusa che hanno schede video e software (FinalCut) più adatti al loro scopo. Ciò farebbe pensare, quindi, che Apple abbia pensato che i “dilettanti”, invece, dovrebbe accontentarsi solamente della connessione USB ed iMovie, da collegare con la crescente pletora di telecamere Usb, lasciando ai professionisti le porte Firewire per l’audio e il video, creando un marcato segno distintivo del target consumer.

Macbook Firewire

Altri, invece, non credendo che un ingresso in più o in meno possa stravolgere il design di un prodotto, probabilmente l’ipotesi più plausibile è che forse si è voluto distinguere maggiormente, il Macbook dal Macbook Pro che, ad eccezione delle dimensioni dello schermo, della scheda grafica (integrata e non) e dal processore (più o meno veloce), sembrano del tutto uguali!

Conclusioni

In definitiva, quindi, al momento chi vuole a tutti i costi un Macbook con Firewire ma pensa che i Pro siano troppo costosi, è rimasto solamente il vecchio MacBook bianco con case in plastica, che oltre ad avere la porta Firewire, è anche dotato di masterizzatore DVD al costo di appena solo 949 euro. Certamente la scheda grafica integrata Intel è meno veloce di quella nuova della nVidia (e ciò potrà risentirne il montaggio video), ma almeno si potrà disporre di una comoda stazione portatile per il video alla portata di tutte le tasche.

UPDATE: Sulla rete sta iniziando a circolare, per i più nostalgici, questo video ripreso durante l’evento Mac di inizio anno 1999. Nel filmato Steve Jobs presenta al pubblico il Firewire con queste parole:

“Che cos’è il FireWire? Pensate al FireWire come ad un USB, ma piuttosto che veicolare 12 megabits-per-secondo riesce a raggiungere la ragguardevole velocità di 400 megabits-per-secondo,” dice Jobs. “Ed è già uno standard di fatto.“

UPDATE 2: Da Les Numériques arriva una notizia interessante: a giudicare dai test comparativi condotti, la porta USB 2.0 dei nuovi MacBook Pro ha finalmente prestazioni paragonabili alla FireWire, proprio quando la FireWire sparisce di circolazione.
Le performance dell’USB sono da sempre la spina nel fianco di ogni mac user; è infatti risaputo che a parità di Mac e disco esterno USB, un semplice trasferimento file avviene più velocemente se eseguito sotto Boot Camp e Windows che sotto OS X. Ora però assistiamo ad un netto miglioramento della bontà dei driver USB su Mac. Un disco rigido esterno a doppia interfaccia USB e FireWire ha prodotto infatti una velocità di circa 20 MB/s e 30 MB/s rispettivamente in scrittura e lettura, a prescindere dalla porta usata per i test, con risultati migliori persino rispetto al Pc Windows usato per le prove.
E’ un bene sapere che finalmente l’USB ha prestazioni di tutto rispetto, ed è una gradita sorpresa constatare che i nuovi Mac siano in grado di sostenere alte velocità di trasferimento e bassi tempi di accesso, ora che la FireWire si appresta a diventare un ricordo del passato.

Tag:Apple, AVCHD, drive_usb, dv, firewire, iPod, laptop, mac, macbook, macbook pro, mpeg2, nvidia, sony, Tecnologia, telecamere, usb, usb-2.0
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Ott 14 2008

Come seguire la diretta del Keynote Apple con Site Reloader e lista di tutti i siti che seguono l’evento in live blogging

Posted by Antonio Troise
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Se non potete fare a meno di seguire il Keynote Apple di oggi martedi 14 Ottobre 2008 presso il Town Hall di San Francisco, bombardati dalle decine di rumors e segnalazioni fotografiche di presunti nuovi modelli di Macbook, Macbook Pro e Apple Cinema, allora sicuramente, alle 19:00 di questa sera, sarete tra quelli che resteranno davanti al PC, pronti a cliccare sul tasto refresh del vostro browser. Se volete evitare questa noiosa procedura, laddove i vostri siti preferiti non supportino l’auto-refresh delle pagine che seguono il live dell’Apple Event, allora non potrete di certo fare a meno di Site Reloader (sito simile ma più evoluto di Page Reboot, comunque valido se non si hanno particolari esigenze), una utility web che ci permette di aggiornare una o più pagine web caricate attraverso delle finestre popup, con un intervallo di tempo del reload che va da 5 secondi a 30 minuti (di default è impostato un tempo ragionevole, anche per il live blogging di questa sera, di 30 secondi).

Come funziona Site Reloader

La procedura è molto semplice: andiamo sul sito, inseriamo l’indirizzo del sito a cui siamo interessati e clicchiamo su Add. Quindi, verrà aggiornata in ajax una lista presente sotto il textbox, con l’elenco di tutte le url inserite e il relativo tempo di reload modificabile a piacere. E’ possibile anche eliminare un sito, cliccando sull’icona rossa con la X, e automaticamente verrà chiusa anche la finestra popup relativa. Oppure, molto più semplicemente, chiudere la finestra popup di un sito e, automaticamente, verrà eliminata anche la riga nella lista dei siti di Site Reloader.

Site Reloader

A differenza di altre applicazioni web simili, questo sito sfrutta le Google App Engine e, per poter salvare la lista dei siti da monitorare, occorre loggarsi con un account Google (lo stesso che usate per la vostra Gmail o per uno delle decine di servizi messi a disposizione dal motore di ricerca).

Inoltre, sempre solamente per gli utenti che effettuano il login e che hanno, quindi, potuto salvare la lista dei siti da monitorare, è presente anche la funzione di autocaricamento dei siti salvati sulla nostra lista, appena si aprirà la pagina di Site Reloader. Unica nota: per funzionare correttamente, Site Reloader necessita della disabilitazione (o dell’abilitazioni delle eccezioni) dell’eventuale Popup Blocker presente oramai di default su qualsiasi browser.
In definitiva, Site Reloader è indubbiamente un servizio molto utile per seguire cronache di eventi in diretta.

La lista dei siti che seguono il Keynote Apple

Per finire, ecco una lista di siti, che potrete inserire su Site Reloader, che questa sera, verso le ore 19:00 ora italiana (ore 10 am ora locale) effettueranno il live blogging dell’evento Apple:

  • Engadget (live)
  • Crunchgear (qui il live con le pagine che effettuano il refresh automatico)
  • MacRumorsLive
  • MacWorld (live)
  • Gizmodo
  • The Apple Lounge Live Twitter
  • Melablog
Vantaggi e svantaggi

Il vantaggio di usare servizi web online (piuttosto che applicazioni standalone come plugin per Firefox come ReloadEvery) è, indubbiamente, oltre ad essere indipendenti dalla piattaforma e dai browser usati, anche quello di avere la lista dei siti da monitorare ovunque si sia. Lo svantaggio è che, come spesso accade in eventi mondiali che riscuotono un notevole successo mediatico che, in termini pratici, corrisponde ad un numero elevato di visitatori, è possibile che siti come Site Reloader possano andare offline, come accaduto durante il Keynote Apple del 15 Gennaio 2008 in cui servizi online come Twitter e CoverITLive non hano retto l’intenso traffico che da tutto il mondo transitava sui loro servers, venendo meno l’interessante diretta che stavano realizzando.

Non credo questo possa essere il caso di Site Reloader, nel qual caso dovremmo ricorrere al vecchio metodo del refresh manuale delle pagine internet, oppure, molto più semplicemente, collegandosi ad evento finito bypassando le spasmodiche cronache del Keynote Apple!

Tag:Ajax, Apple, browser, firefox, Google, keynote, liveblogging, macbook
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Mag 25 2008

Djay 2.1: aggiunge il supporto al multi-touch per mixare e fare lo scratch dei brani con le dita sul trackpad

Posted by Antonio Troise
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Multi-Touch Scratching & Mixing Ieri ho provato la versione 2.1 di DJay, un applicativo per Mac OS X che consente di mixare due brani musicali tra di loro in maniera davvero intuitiva e funzionale trasformando chiunque in un esperto djay virtuale. Nella sua prima versione, come molti ricorderanno, l’opera di tre studenti poco più che ventenni dell’università di Monaco, era freeware, ma oggi, oramai giunto ad una matura e professionale seconda release, il software costa 50$.

Caratteristiche

DJay Supporta archivi audio di tipo mp3, aiff, wav, aac (non protetto), caf: potete mixare su due piatti virtuali interattivi (che caricano le copertine iTunes delle vostre tracce) e, oltre ad integrarsi con GarageBand, è possibile anche registrare e trasmettere l’audio risultante in tempo reale attraverso un network Bonjour ad altri DJay connessi in rete . Djay supporta il Time-Stretching, Pitch-Shifting, ha un equalizzatore a 5 bande e permette l’automazione del Crossfade e del Mixer (quest’ultimo attraverso AppleScript). E’ possibile, inoltre, inserire tre Cue points per beat-juggling e fare Beat Counting manuale oltre che ad uno slider magnetico per la sincronizzazione beat automatica.

Djay
Mixare con le dita

Il tutto è gestibile completamente sia con il mouse che con la tastiera attraverso comode Shortcuts (abbreviazioni da tastiera). La versione 2.1 di Djay ha, però, aggiunto qualcosa di estremamente interessante che lo porta alla maturità dei software professionale che, in parte, può giustificare il costo del programma: il supporto nativo al trackpad multi-touch dei Macbook, Macbook Pro e Macbook Air!
Infatti, ora, Djay è in grado di usare un nuovo set di gestures delle dita per controllare l’interfaccia, che vi permetterà di fare lo scratch delle tracce audio, applicare effetti ed eseguire dei virtuosi crossfade soltanto con due dita!

Ma per avere una idea più chiara, guardate questo video demo:

Sul sito della compagnia è presente una pagina dedicata alla nuova caratteristica di Djay 2.1 che illustra nel dettaglio la lista delle gestures disponibili.
Eccole nel dettaglio.

Two-finger scratching & mixing

Muovendo sul trackpad due dita orizzontalmente, verrà effettuato il crossfader tra due brani, mentre se si muovono verticalmente le dita, verrà effettuato il classico scratch, il tutto in maniera perfettamente sincrona con i movimenti delle dita.

Three-finger gestures

Per chi dispone, invece, dei nuovi Macbook Pro o un Macbook Air, sono anche disponibili le gestures a tre dita che vi permetteranno di effettuare transizioni (con il movimento orizzontale) e forwardspin/backspin (con il movimento verticale).

Controllo Multi-touch avanzato

Infine, per i veri professionisti, è disponibile anche la possibilità di aggiungere una combinazione di tasti insieme al controllo a due dita:

  • Tenendo premuto ⌘ (il tasto MELA) e muovendo verticalmente le dita (su e giù) è possibile spostarsi in avanti e indietro nel brano che si sta ascoltando.
  • Tenendo premuto ⌥ (il tasto ALT) e muovendo verticalmente le dita (su e giù) è possibile fare del pitch-bend
  • Tenendo premuto ⇧⌥ (il tasto MAIUSC+ALT) e muovendo verticalmente le dita (su e giù) è possibile fare del pitch-bend e aggiustare il master-speed
  • Tenendo premuto ⌥ (il tasto ALT) e muovendo orizzontalmente le dita (destra e sinistra) è possibile fare del pre-cueing crossfader

Insomma, con questa nuova versione sembra davvero di stare davanti a due piatti di un mixer!

Tag:Apple, djay, itunes, mac, Mac os x, macbook, mp3, Musica, shortcuts, Software, trackpad, Video
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Mag 16 2008

Perché le 2 porte USB dei Macbook e Macbook Pro sono alimentate diversamente e quale scegliere per far funzionare correttamente alcuni hard disk portatili

Posted by Antonio Troise
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Non ci avevo mai fatto caso fino a quando non ho comprato un hard disk portatile da 2,5” USB 2.0 autoalimentato da 250 GB. Fino a quel momento avevo sempre collegato a una qualsiasi porta USB del mio Macbook Pro un hard disk da 160 GB e uno da 60 GB e non avevo avuto alcun problema: qualsiasi fosse stata la sua formattazione, riuscivo ad alimentare e a leggere/scrivere sull’hard disk portatile semplicemente collegandolo ad una qualsiasi delle due porte USB 2.0 del mio laptop (anche se non era collegato direttamente ad una presa di corrente).

Ma dopo l’acquisto di un hard disk da 250 GB le cose sono cambiate e ho iniziato ad avere qualche problema di funzionamento: se inizialmente pensavo ad un difetto di fabbricazione del dispositivo di memorizzazione, poi ho iniziato ad individuare una costante nel suo comportamento. Normalmente sono solito collegare un mouse USB sulla porta posizionata a destra del mio Macbook Pro, e quindi, tutti i dispositivi di archiviazione, se non sono firewire, li devo per forza di cose collegare alla porta USB posizionata alla sinistra del mio portatile. Ma quando ho iniziato a collegare a questa stessa porta, il nuovo hard disk da 250 GB, ho cominciato ad avere i primi problemi: il led di alimentazione si accendeva ma si udiva il caratteristico Clak-Clak tipico di una alimentazione insufficiente, come se la testina non riuscisse a spostarsi correttamente sul disco, e, ovviamente, la periferica non veniva montata da Mac OS X.

Il bello era che, quando spostavo il mio nuovo dispositivo di storage dalla porta USB 2.0 sinistra del mio Macbook Pro a quella di destra, non avevo alcun problema e l’hard disk riprendeva a funzionare correttamente.
La prova del nove l’ho avuta quando, spostandolo sulla porta sinistra, e collegandolo con un cavo con doppia USB (di quelli, cioè, che prendono l’alimentazione da due porte USB), l’hard disk riprendeva a funzionare anche sulla porta di sinistra: peccato che questa soluzione è alquanto scomoda poiché mi occupa entrambe le porte USB!

E’ stato così che ho capito che non tutte e due le porte USB 2 presenti sui MacBook sono uguali!

Devo dire che, di solito, i problemi di scarsa alimentazione si verificavano quando si usavano le vecchie porte USB 1.1 (che quindi avevano bisogno di utilizzare una fonte aggiuntiva) mentre con le porte USB 2.0 non mi era mai capitato.

A conferma delle mie ipotesi è venuto anche un articolo del giornalista del mondo Mac, Andy Ihnatko, che ha rivelato la scoperta della stranezza nella puntata 88 di MacBreak Weekly. Ma sono state molte le segnalazioni di utenti Mac con questo genere di problemi.

Da alcune prove fatte con il mio Macbook Pro e da quelle fatte da setteB su un Macbook, sembra, quindi, che Apple abbia creato una porta USB 2 “diretta” ed una USB 2 “condivisa”. Il risultato è che, finché i dispositivi USB collegati non hanno bisogno di una tensione troppo elevata, le porte sono perfettamente uguali e funzionanti. Ma nel momento in cui avrete bisogno di una tensione un po’ più superiore alla norma (e probabilmente gli hard disk portatili da 250 Gb e 320 GB rientrano in questa categoria), allora potrete usare una sola porta USB!

Ma ecco nel dettaglio (grazie all’ausilio del System Profiler) per il Macbook e il Macbook Pro, quali porte usare per dispositivi USB che richiedono tensioni di alimentazioni superiori alla norma.

Le differenti alimentazioni delle porte USB 2.0 del Macbook
Macbook

Se avete un Macbook e avete qualche accessorio USB non ben funzionante (hard disk, pen drive, microfoni USB o anche iPod) dovete avere cura di preferire sempre la porta B e non la A, visto che questo che potrebbe non fornire tutta l’alimentazione necessaria.

Macbook Ports

La cosa interessante è che sui laptop della generazione “precedente”, come il compatto PowerBook da 12 pollici, questo non accadeva, ed entrambe le porte USB 2 risultavano indipendenti.

Nel caso, quindi, avete un Macbook, è possibile verificare le affermazioni precedenti semplicemente collegando un mouse USB sulla porta A e aprire System Profiler per rendersi conto che il dispositivo condivide il bus USB con la tastiera e il trackpad

Macbook System Profiler A

mentre ciò non accade (ed il mouse risulta come dispositivo indipendente) se lo colleghiamo alla porta B.

Macbook System Profiler B
Le differenti alimentazioni delle porte USB 2.0 del Macbook Pro
Macbook Pro

Se avete un Macbook Pro e avete qualche accessorio USB non ben funzionante (hard disk, pen drive, microfoni USB o anche iPod) dovete avere cura di preferire sempre la porta B (ovvero quella posta ala vostra destra) e non la A (ovvero quella posta alla vostra sinistra), visto che questo potrebbe non fornire tutta l’alimentazione necessaria.

Macbook Pro Ports

Anche in questo caso, se avete un Macbook Pro, è possibile verificare le affermazioni precedenti semplicemente collegando un mouse USB sulla porta A e aprire System Profiler per rendersi conto che il dispositivo condivide il bus USB con il Bluetooth USB Host Controller (e non, come avveniva con il Macbook, con la tastiera e il trackpad).

Macbook Pro System Profiler A

mentre ciò non accade (ed il mouse risulta come dispositivo indipendente) se lo colleghiamo alla porta B.

Macbook Pro System Profiler B
Tag:alimentazione, Apple, drive_usb, hard-disk, iPod, laptop, mac, Mac os x, macbook, macbook pro, mouse, portatile, storage, trackpad, Tutorial, usb, usb-2.0
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Mag 15 2008

Tips Mac: Come configurare il doppio tap sui Macbook per attivare il tasto destro del mouse e visualizzare il menu contestuale

Posted by Antonio Troise
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Come tutti avrete notato, i portatili Apple sono provvisti di un solo lungo tasto sul trackpad, il che rende un po’ più macchinoso la visualizzazione dei menu contestuali: se, per chi possiede un normale mouse, è sufficiente cliccare con il tasto destro, per chi usa solamente il trackpad del proprio portatile Apple, occorrerebbe usare la combinazione CTRL+Click per ottenere il click secondario (cosa peraltro scomoda per i mancini visto che il tasto CTRL si trova sul lato opposto a quello della mano più comoda e sono privi di una corrispettivo tasto sul lato destro della keyboard).

Dalla versione 10.4.7 di Mac OS X è possibile sfruttare in tutte le sue potenzialità il trackpad dei Macbook, in particolare è possibile abilitare il secondo tasto virtuale facendo semplicemente sul trackpad un tap con due dita.

Purtroppo, non tutti sanno che questa funzione non è abilitata di default e perciò viene ignorata dai più: di solito, le impostazioni di base di tutti i portatili prevedono solo lo scrolling verticale o orizzontale delle pagine scorrendo le due dita sull’area del trackpad. Per attivare, invece, il clic secondario facendo tap con due dita, occorre andare in “Preferenze di Sistema > Tastiera e Mouse > Trackpad” e spuntare l’opzione “Premi il trackpad con due dita per ottenere un click secondario“.

Doppio Tap su un Macbook

A questo punto sarà possibile, semplicemente poggiando due dita sul trackpad attivare il “CTRL+Click” o ogni altra funzione abbinata al tasto destro delle applicazioni (ovvero facendo tap con indice e medio).

Bisogna però porre attenzione ad un piccolo dettaglio: occorre, infatti, sempre spuntare nella finestra di configurazione del trackpad, anche la voce “Fare clic per” altrimenti la voce “Premi il trackpad con due dita per ottenere un clic secondario” diventerà “Per i clic secondari, poggia due dita sul trackpad e poi fai clic sul tasto“.

Doppio Tap con Click su un Macbook Pro

Questo significherebbe, infatti, che per ottenere un clic secondario (l’equivalente del tasto destro del mouse) e quindi visualizzare i menu contestuali, sarebbe necessario, oltre che poggiare due dita sul trackpad, anche fare click sul tasto! Insomma, in quest’ultimo modo l’operazione sarebbe più scomoda, oltre che innaturale e anti-intuitiva rispetto a quella del doppio tap sul trackpad.

Tag:Apple, mac, macbook, macbook pro, mouse, tap, Tips, trackpad
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Gen 23 2008

E’ possibile giocare con i videogiochi di ultima generazione su un Macbook? (seconda parte)

Posted by Antonio Troise
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Tempo fa, prima di comprare il mio Macbook Pro, mi chiesi se era possibile giocare con i videogiochi di ultima generazione su un Macbook tradizionale. In quel post diedi qualche risposta anche se non avevo in mano alcun test effettuato seriamente. Oggi sono riuscito a trovare dati più precisi e, quindi ho deciso di scrivere questa seconda parte più completa, nella speranza che il mio contributo possa servire per far chiarezza su questo aspetto poco documentato.

Nel mentre, però, sono cambiate le carte in tavola, poiché i Macbook hanno avuto un sostanzioso speed bump visto che ora implementano una architettura Santa Rosa e un processore grafico Intel GMA X3100 con 144MB di SDRAM DDR2 condivisi con la memoria principale (abbandonando una volta per tutte il vecchio chip Intel GMA 950).

Graph

La GMA X3100 (che altro non è che la versione mobile della GMA X3000), attualmente, è la più potente scheda grafica integrata oggi sul mercato, anche se non è ancora in grado di rivaleggiare con i chip più potenti della concorrenza come nVidia o ATI. Il punto forte di questa scheda video è sicuramente una buona risposta nel campo della compressione e decompressione video, specie quello ad alta definizione.
Ma come si comporta quando deve far girare un gioco di ultima generazione?

Potenza elaborativa

Se i nuovi Macbook sono sicuramente più performanti delle precedenti generazioni, il fatto che i Macbook e i Macbook Pro abbiano processori molto simili rende i piccoli portatili consumer un’alternativa a basso costo rispetto a quelli professionali, almeno se non fate elaborazioni grafiche molto pesanti.
Infatti, se analizziamo solo la potenza elaborativa, i nuovi Macbook Santa Rosa, sono allo stesso livello dei Macbook Pro di pari frequenza: i benchmark hanno fatto segnare un indice Speedmark 5 di 185 (per il Macbook bianco intermedio) e 186 (per il Macbook nero) contro il 185 del Macbook Pro a 2,2 GHz.

Spore
Potenza Grafica

Se, invece, analizziamo il comparto grafico, ovviamente le cose cambiano (anche se il nuovo chip grafico è migliore rispetto al passato), poiché risente di molto la limitazione della memoria condivisa: abbiamo, infatti, 25,4 frame al secondo (fps) per il nuovo chip grafico contro 18,5 fps del veccio in Unreal Tournament 2004 e 7,8 fps contro 4,5 in Quake 4.
Come si capisce sono valori ovviamente insufficienti per i videogiocatori accaniti, visto che, per fare un esempio, un Macbook Pro da 15 pollici a 2,2 GHz viaggia a 69 frame al secondo con Unreal Tournament 2004, ma sono sufficienti per chi non gioca molto spesso o, almeno, con titoli non esigenti graficamente.

Cider: la conversione dei giochi da Windows a Mac

Cider Infine, c’è da considerare un altro aspetto importante: la compatibilità con gli ultimi videogiochi. Ultimamente, infatti, stanno trasportando moltissimi giochi di ultima generazione (uno fra tutti il prossimo Spore) su piattaforma Mac grazie ad un processo denominato “ciderizzazione“, ossia un sistema di “traduzione” che letteralmente avvolge il codice Win per renderlo comprensibile al Mac, basato sul software di virtualizzazione Cider di TransGaming, una soluzione che evita il lungo e costoso lavoro di porting di giochi Windows su Mac.

Se questo, da un lato, è una cosa positiva, perché, i giochi per Mac potranno crescere molto più rapidamente, dall’altro abbiamo che questi giochi possono girare solo su piattaforma Mac Intel e, soprattutto, richiedono una scheda grafica con memoria dedicata: Macbook Pro, iMac e Mac Pro non avranno, quindi, problemi, mentre Macbook e Mac Mini non è detto che riescano a far girare il software.

Quindi, a conti fatti, il Macbook è un ottimo portatile se fate di tutto tranne che giocarci. Se, invece, volete dedicarvi a questo aspetto ludico, dovete sapere che i giochi potranno girare ma con un fps abbastanza basso e comunque, i giochi, “ciderizzati” avranno sempre poche speranze di funzionare se richiedono l’uso di molta memoria dedicata!

Tag:3d, Apple, benchmark, Giochi, mac, macbook, macbook pro
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Gen 18 2008

160 tabs aperti contemporaneamente su Safari

Posted by Antonio Troise
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Eh si, è accaduto ieri, mentre cercavo di risistemare alcuni link di pagine che avevo segnalato come “Speciali” su Google Reader. Ho aperto ogni link che mi ero segnato in una tab di Safari per poi salvarli tutti in una cartella dei miei Preferiti usando la comoda funzione “Aggiungi preferiti per questi n pannelli” in cui n è il numero di schede aperte.

Ebbene, senza che neanche me ne accorgessi, ho raggiunto in pochi minuti la ragguardevole cifra di 160 schede aperte sul browser di casa Apple, Safari. E’ vero che stavo usando un Macbook Pro con un processore Intel Core 2 Duo con 2 GB di memoria RAM, ma se non fosse stato per quella segnalazione non avrei mai potuto immaginare di aver aperto così tante schede, visto che il sistema non ne aveva risentito minimamente e tutto era fluido come quando si è appena accesso il proprio Mac: in effetti aveva impegnato solo il 10% delle risorse!

Tabs Safari

Sono rimasto stupito perché quando usavo Firefox su Windows con 1 GB di Ram, se provavo ad aprire “appena” 40 tabs il sistema mi si bloccava completamente. Sarà perché avevo 1 Giga di RAM in meno, sarà perché ero su una piattaforma Windows oppure perché Firefox non gestisce molto bene la memoria, ma sta di fatto che una cosa del genere non me la sarei mai aspettata. Ed ho anche la sensazione che avrebbe potuto continuare ad aprire pannelli quasi all’infinito.

Sono piccole soddisfazioni queste ma devo dire che c’è da rimanerne veramente contenti perché si prova un senso di sicurezza e stabilità durante il proprio lavoro: pensate come mi sarei sentito se alla 100esima scheda aperta, Safari mi fosse crashato. Probabilmente era la sorte che mi sarei aspettato se avessi usato Explorer 7 (e posso garantirlo perché l’ho sperimentato più volte con appena una decina di schede).

A voi è mai capitato di aprire un tal numero esagerato di schede su Safari o su qualche altro browser? E come si è comportato il vostro browser del cuore?

Tag:Apple, browser, firefox, mac, macbook, safari, tab, Windows
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