Ieri ho scritto un articolo sul sostanzioso inquinamento che producono i data center, tanto che si è calcolato che nel 2020, se non verrà implementata una politica di contenimento dei consumi, le emissioni dei sistemi server supereranno quelle del traffico aereo commerciale. Oggi vorrei completare il discorso parlando di un interessante rapporto della società internazionale di consulenza PricewaterhouseCooper, che ha indicato nell’Islanda il posto ideale dove piazzare i data center dei grandi siti come Google, Yahoo, Cisco, Microsoft e, perché no, anche Facebook e Second Life!
L’isola del gelo e dei geyser
Il motivo è molto semplice: in Islanda si trovano in grande quantità freddo ed energia. E, siccome i data center, consumano moltissima elettricità, e metà di questa se ne va per il raffreddamento delle macchine, il posto ideale sembra proprio essere l’isola del gelo e dei geyser. Infatti, se da un lato il freddo permanente consentirebbe di ridurre i costi di condizionamento dei locali (le aziende, proprio per abbassare la temperatura delle macchine, spendono cifre molto elevate per il grande consumo di elettricità), dall’altro l’elettricità verrebbe fornita in modo molto economico dai geyser e da fonti assortite di energia geotermica, che è quasi tutta rinnovabile e pulita! E questo è bene non solo per ragioni di immagine ma perché adesso le industrie devono centellinare le emissioni di anidride carbonica.
Islanda al centro del mondo
Ma vi è anche un motivo strategico e logistico di questa scelta: l’Islanda si trova in mezzo all’Atlantico, ben posizionata per connettersi sia con l’America che con l’Europa, offrendo, quindi, a tutti i paesi tecnologicamente avanzati, la stessa possibilità di usufruire dei beni dell’isola e rendendo l’Islanda l’ombelico del mondo della connettività telematica, di Internet e dell’ecommerce.
Benefici e svantaggi
Insomma, se le cose venissero sfruttate come si deve senza depauperare il magnifico ambiente islandese (peraltro è già nato un movimento di protesta ecologista), potrebbe essere un’ottima alternativa per centri nevralgici delle grandi reti mondiali di computer gestite da colossi come Microsoft, Google e Yahoo, per avere energia verde!
Inoltre, se ci si mette che in Islanda l’aliquota fiscale per le imprese è appena del 15%, che crimine e corruzione sono fenomi molto rari e che gli isolani, 300.000 abitanti, come tutti i popoli della Scandinavia, sono da sempre patiti delle nuove tecnologie (tanto che l’isola si è già dotata da tempo di connessioni in fibra ottica con America ed Europa), sembra che vi siano tutti i fattori per realizzare questo ambizioso progetto di outsourcing (esternalizzazione).
Personalmente, però, credo che vi siano altri generi di problemi da considerare e che potrebbero scoraggiare queste grandi società: tra tutti sovrastano i costi nell’imbarcarsi in questa impresa. Pensate che l’Islanda è il paese più caro d’Europa, dato che a parte i prodotti della pesca, della pastorizia o della coltivazione in serra, tutto dev’essere importato e deve ricevuto via mare. Ciò comporta che il costo medio della vita è circa doppio dell’Italia.
Inoltre, un eccesso di investimenti stranieri potrebbe costringere la Banca centrale di Reykjavik, come già sta accadendo oggi, ad intervenire per alzare i tassi di interesse per evitare l’inflazione di prezzi (6,8%) e le bolle speculative assortite, alterando, di fatto, l’economia generale dell’isola.
Insomma, oltre ad aspetti puramente ambientali e climatici, è necessario stare attenti a non sconvolgere il precario equilibrio economico dell’isola!
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