Ieri ho letto una intervista a Vittorio Sabadin, giornalista e vice direttore de La Stampa, che esprime un suo punto di vista che riflette un po’ la corrente di pensiero internazionale ma, ovviamente, spero che le sue fosche previsioni non si avverino mai. Per chi non lo conoscesse, tre anni fa è stato autore di un libro che si intitolava: “L’ ultima copia del «New York Times». Il futuro dei giornali di carta”, in cui asseriva che, secondo i calcoli di Philip Meyer, studioso dell’editoria americana, l’ultima sgualcita copia su carta del “New York Times” sarà acquistata nel 2043. Il problema di questa crisi è però da imputarsi ad un solo vero nemico dei giornali, quello che li sta inesorabilmente condannando a morte: la tecnologia. Il tempo a disposizione della gente è diminuito, e ognuno di noi ha ormai la possibilità di essere informato quando vuole, dove vuole e sui temi che preferisce senza dovere per forza ricorrere alla lettura di un giornale.
Sabadini nel suo libro, in cui si fa solo cronista oggettivo di queste trasformazioni, asserisce che la Free Press ha avuto successo perché, oltre ad intercettare i lettori fuori dalle edicole, dispone di un format innovativo: notizie brevi, sintetiche, poca politica e molto più vicina agli interessi dei giovani. Tutti i giornali potrebbero diventare gratuiti e vivere di pubblicità; dovrebbero però abbattere il 30% circa dei costi, ridurre i giornalisti e pagarli meno.
I punti chiave della crisi dei giornali su carta stampata
Nella recente intervista, l’autore si spinge oltre e, con una visione forse un po’ troppo pessimistica (ma per taluni potrebbe anche essere più semplicemente realistica) afferma che l’ultima copia del New York Times, potrebbe andare in stampa da un giorno all’altro, perché non siamo mai stati così vicini alla crisi dei giornali.
Questi i punti chiave della intervista:
- «Mettere on line le notizie gratis è stata l’altra grande sciagura di cui ci pentiremo per generazioni».
- «L’informazione prodotta dai giornalisti fa prosperare decine di altri siti come Dagospia o altri “aggregatori” di notizie. Ma il materiale che loro usano viene realizzato da agenzie o da giornali e non è gratis. È il frutto di professionalità retribuite».
- L’unica possibilità di salvezza per i giornali e giornalisti è quello di farsi pagare 5 centesimi a notizia: «È l’unica possibilità. Non vedo perché un ragazzo non debba farsi nessun problema a spendere 15 centesimi per un sms e non debba spendere niente per leggere una notizia».
Francamente non credo che che il modello a pagamento possa essere una risposta e farsi pagare le notizie pubblicate online non può essere la panacea di tutti i mali: esistono altre vie per guadagnare e la pubblicità ne è solo uno: guardate come sono farciti di banner pubblicitari siti come Repubblica.it o TgCom, eppure sono tra i siti più visitati e, anche se talvolta risulta essere davvero invasiva, non per questo evito di visitare un sito di informazione. Ovviamente, è anche scontato affermare che i giornali dovrebbero puntare più sulla qualità degli articoli che al volume degli stessi, anche se spesso chi legge si accontenta di articoli semplici e veloci ma che fanno scalpore, piuttosto che a riflessioni ponderate sui vari argomenti di attualità.
La situazione in America
Se in Italia l’argomento, almeno per ora, interessa solo pochi appassionati del settore, in America il problema sembra essere molto sentito, tanto che il destino di giornali e di riviste è diventato oggetto di dibattito e di studio: sopravviverà la carta stampata messa in difficoltà per la transizione al digitale e per la crisi generale dell’economia? Recentemente, infatti, il Seattle Post-Intelligencer, secondo quotidiano della città di Seattle, dopo 146 anni non è più in edicola ma pubblicherà solo articoli online. Ma non è il primo giornale ad abbandonare l’edizione stampata per darsi all’online: infatti, la stessa scelta è stata presa dal Christian Science Monitor mentre il quotidiano della città di Tucson, il Denver’s Rocky Mountain, ha definitivamente chiuso.
Il dibattito in America è animato alla ricerca di soluzioni credibili per un modello di business sostenibile e il Time magazine ha ipotizzato, come nella intervista sopra esposta, la creazione di micropagamenti: qualche centesimo per leggere gli articoli, un po’ di più per avere a disposizione l’intero quotidiano. C’è chi addirittura sostiene che, per eliminare costi di stampa e distribuzione il Times dovrebbe smettere subito di stampare e regalare ai propri abbonati un lettore elettronico come Kindle.
Secondo Bill Keller, direttore del New York Times, non si esclude, quindi, un ritorno almeno parziale al modello delle notizie online a pagamento, abbandonato due anni fa in favore dell’apertura generale del sito, dell’aumento del traffico e dei maggiori ricavi pubblicitari che ne sono derivati.
Per finire, vorrei ricordare che già nel 2005, l’australiano Rupert Murdoch, fondatore del gigantesco gruppo editoriale News Corp., asseriva che Internet ha dato il via ad una moderna rivoluzione mediatica:
La carta stampata è destinata a perdere posizioni, lasciando sempre più spazio a portali, siti e blog. “Stampa ed Internet continueranno a vivere fianco a fianco ancora per molti anni”, continua Murdoch, “ma ormai tutto quanto dipende dalla pubblicità ed i quotidiani di carta costano solo di più“: specie se raffrontati a quanto pubblicato gratuitamente dalle loro controparti digitali.
E voi che ne pensate? Che futuro potrà avere la carta stampata e quali alternative potrà ancora offrire?
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