Ecco una notizia davvero interessante: pare, infatti che, finalmente verrà data risposta al noto dilemma amletico che il mondo della comunicazione si pone da tempo: i blogger possono essere considerati giornalisti a tutti gli effetti? E come tali hanno diritto alle relative tutele professionali, per esempio quando si tratta di mantenere il segreto rispetto a una fonte confidenziale?
La risposta sarà sì (ma con qualche restrizione), non appena una nuova legge che ha appena iniziato il suo iter al Congresso degli Stati Uniti entrerà in vigore. Il testo dovrà essere passato in rassegna dalla Camera e dal Senato.
Il 7 Agosto 2007 la Commissione Giudiziaria della Camera dei rappresentanti ha approvato una proposta di legge che aggiorna il precedente “Free Flow of Information Act“. Nel testo, presentato dal democratico Rick Boucher e dal repubblicano Mike Pence, viene ampliato lo spettro delle protezioni legali non soltanto per i giornalisti, ma anche per i blogger che dimostreranno di svolgere un’attività professionale vera e propria, con tanto di stipendio garantito dalle inserzioni pubblicitarie.
L’intento della riforma è quello di proteggere e rafforzare la libertà di stampa garantita dal primo emendamento della Costituzione americana, stando però ben attenti a non favorire la nascita di “blog casuali“, aperti soltanto per usufruire di protezioni e tutele speciali.
Negli ultimi anni, con la crescita esponenziale del numero dei blog e la diffusione del cosiddetto “citizen journalism” (il giornalismo dei cittadini), si è fatta sempre più pressante l’esigenza di una regolamentazione della materia.
Secondo le stime del portale Technorati, ad aprile il numero dei blog su Internet era di oltre settanta milioni, con una media di circa un milione e mezzo di nuovi messaggi pubblicati ogni giorno.
Da questi si capisce bene come anche il pensatore francese Bernard-Henri Lévy abbia potuto parlare addirittura di «anno dei blog: quando si è capito che i giornali potevano sparire perché tutti erano giornalisti, ciascuno aveva il suo punto di vista, e tutti i punti di vista avevano egual valore». La scommessa è che presto i new media sconfiggano presto gli old media, grazie proprio ai blog, ai commenti d’autore online, capaci di spiazzare già i quotidiani, la televisione e la radio.
Il caso dei blogger fu sollevato per la prima volta circa due anni fa da Apple. La casa di Cupertino, ricordiamo, intentò una causa nel 2004 contro due siti – PowerPage e AppleInsider – per aver diffuso all’interno dei loro blog notizie riservate circa un prodotto (Asteroid) che non era ancora stato ufficializzato sul mercato. Apple chiedeva ai service provider dei siti di poter avere accesso ai messaggi email attraverso cui risalire alle fonti di tali indiscrezioni. Dodo una lunga battaglia legale, un giudice californiano respinse le richieste dell’azienda informatica emettendo una sentenza rivoluzionaria sostenendo che anche i blogger hanno diritto di mantenere la segretezza delle proprie fonti proprio come i giornalisti tradizionali.
I giudici hanno scritto infatti che “non esiste nessun test o principio che distingua notizie ‘legittime’ da notizie ‘illegittime’. Ogni tentativo di una corte di stabilire una tale distinzione metterebbe in pericolo la ragione stessa del Primo Emendamento, che è di identificare le idee migliori, più importanti e più pregiate non attraverso una formula sociologica o economica, né attraverso una legge o un processo governativo”, bensì attraverso le forze che agitano il mercato.
Quindi già nel 2004 l’idea che le fonti siano sacre per i blogger così come per gli tutti altri giornalisti, stava iniziando a prendere piede.
Tornando alla legge è chiaro che la discriminazione economica è destinata a far discutere. In sostanza se il tuo blog è un lavoro e ti porta a casa un po’ di soldi (il che in America capita ormai spesso, grazie a servizi di inserzioni online come Google Adsense o Blogads) allora puoi essere considerato un giornalista. Se no, sarai eventualmente costretto a rivelare le fonti delle tue notizie.
Secondo i fautori della riforma questa distinzione è necessaria proprio per evitare di creare una scorciatoia che potrebbe aiutare virtualmente chiunque a rifiutarsi di fornire informazioni semplicemente creando un blog. Non mancano tuttavia inevitabili paletti. Non ci saranno privilegi di sorta, ad esempio, né per i blogger né per i giornalisti tout court, se le informazioni in possesso saranno utili per sventare attacchi terroristici, risolvere casi giudiziari acclarati o evitare “un significativo pericolo” per la sicurezza nazionale.
Tutto bene dunque? Non è detto. C’è anche chi crede che immettere i nanomedia dentro il grande fiume dei canali ufficiali finirebbe per costituire una sconfitta per la biodiversità della comunicazione.
[via Quotidiano dell’11 Agosto e supercom]
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