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Dal 2004 il blog di Antonio Troise

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Gen 8 2009

L’SMS all’operatore costa 0 centesimi di euro perché sfrutta un porzione del segnale sempre presente che collega il telefonino al ripetitore! Spiegato anche perché da anni non può superare i 160 caratteri

Posted by Antonio Troise
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Questa scommetto non la sapevate: quanto costa al tuo operatore l’invio di un SMS e perchè ancora esiste il limite di 160 caratteri per SMS? Ebbene, la risposta potrebbe farvi vacillare: un sms all’operatore costa esattamente 0 centesimi! Così come un milione di SMS costano 0 euro! A spiegarcelo è Ikaro che, riprendendo la notizia, stranamente sottovalutata dai media (solo il NYTimes ne ha parlato il 26 Dicembre 2008 senza però suscitare alcun interesse), di una richiesta di chiarimento fatta lo scorso Settembre 2008 dal senatore americano, Herb Khol, verso gli operatori di telefonia mobile come Verizon Wireless, AT & T, Sprint e T-Mobile dove li si invitava a rendere pubblici i dettagli su prezzi e costi degli SMS. Però dopo il loro sospetto silenzio, poiché si rifiutavano, più o meno velatamente, di rivelare i dettagli, è arrivata a sorpresa la risposta, da un professore di informatica presso l’Università di Waterloo, Keshav Srinivasan, titolare in passato di una ricerca finanziata da uno dei quattro carrier in questione, che svela che un singolo sms all’operatore costa esattamente 0 centesimi.
E il motivo è presto spiegato: il messaggio di SMS si nasconde dentro il segnale che collega il telefonino al ripetitore più vicino (segnale che esiste a prescindere dall’invio dell’SMS) utilizzando una parte di questo segnale chiamato Control Channel (CCHs: Canale di controllo) che è grande poco più di 140 byte e si distingue dal Traffic channel (TCHs) per via del fatto che quest’ultimo trasmette solo la fonia.

SMS Control Channel

Infatti un SMS contiene un massimo di 140 byte, ovvero 1120 bit di dati: i 160 caratteri massimi di un SMS entrano in 140 byte perché gli SMS usano una codifica a 7 bit. Invece, nel caso di SMS con un alfabeto esteso (come il sistema Unicode che assegna ad un carattere 2 byte) come quello Cinese, la lunghezza massima di un SMS è di appena 70 caratteri.
Ecco, quindi, in definitiva, spiegato anche perché, da sempre, non si può superare il limite di 160 caratteri per sms: altrimenti il messaggio non riescirebbe a nascondersi nel Control Channel per viaggiare gratis, come un vero e proprio cavallo di troia!

E’ passato poco meno di un anno quando Paolo Attivissimo calcolava sul suo blog, quanto costa davvero un sms se si valutassero semplicemente i byte trasmessi in una normale trasmissione dati. Se si considera, poi, che il costo infrastrutturale per l’invio degli sms è praticamente nullo (in quanto si utilizzano già impianti messi in piedi per altri servizi) e che il servizio di Short message service è di tipo connectionless, ovvero non si ha garanzia né sull’invio né sulla ricezione dei messaggi SMS, allora se davvero questa notizia fosse confermata, ci sarebbero da rivedere tutti i costi per gli sms, a questo punto davvero troppo esosi!

Un dubbio su questa notizia, però, mi rimane: googlando un po’ ho visto che il concetto di SMS nel Control Channel è presente già nel 2005 in diversi articoli come questo e questo. Quale sarebbe, quindi, la verità mai rivelata?

Voi che ne pensate?

Tag:caratteri, Mobile, sms, unicode
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Giu 20 2008

Cose è un CamelCase? In quanti modi diversi è possibile scrivere una variabile per renderla leggibile?

Posted by Antonio Troise
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Se siete soliti fare un salto nei forum o nei blog dei programmatori prima o poi vi imbatterete in questo termine dal gusto arcano: CamelCase. Ma cosa significa?
Il CamelCase è la pratica di scrivere parole composte o frasi unendo tutte le parole tra loro, ma lasciando le loro iniziali maiuscole. Il nome (letteralmente “carattere a cammello“) deriva dai “salti” all’interno di una parola (dato dall’inserimento delle maiuscole che aiutano a distinguere le parole di cui è composta), che fanno venire in mente le gobbe di un cammello.

Naming delle variabili

CamelCase Se qualcuno di voi ha mai programmato allora gli sarà sicuramente venuto in mente questo metodo di scrivere, perché, molto probabilmente, lo avrà usato, del tutto inconsapevolmente, quando avete fatto del “naming” delle variabili, ovvero quando avete dovuto assegnare i nomi alle variabili (a meno che non siete solitii dare dei nomi svincolati dal contesto, come, $a o $pippo o $pluto).

Infatti, tralasciando i cognomi come McCartney e alcuni esempi degli anni ’50 come CinemaScope, il CamelCase è diventato relativamente comune tra i programmatori durante gli anni ’70, per usare più parole per una variabile o un nome di programma, mantenendo comunque la leggibilità. Il motivo per cui questo metodo di scrivere si è diffuso tra i programmatori è dato, principalmente, dal fatto che nelle pratiche di programmazione, gli spazi e i segni d’interpunzione non sono permessi durante l’assegnazione dei nomi delle variabili; è facile capire, quindi, come, per rendere più leggibile e comprensibile il nome di una variabile, sia nata l’esigenza di rendere maiuscole le iniziali di ogni parola di cui è composta (anche se, nel caso specifico, la prima lettera è lasciata minuscola: thisVeryLongName).

Ragioni storiche

Ma perché, allora, non si usa il metodo, altrettanto valido, di separare le parole con un trattino (“-“) o con un underscore (“_”)? La ragione è principalmente storica.
Il CamelCase è stato molto usato dai programmatori Java perché è stata per anni la convenzione ufficiale di Sun per la scrittura dei nomi di classe e di variabile.
Questa pratica contrasta la tradizione del C di unire le sillabe insieme o di segnare le sillabe spezzate con il carattere di underscore.
Per questo motivo, quindi il CamelCase, risulta molto comune in certe community dei linguaggi (inizialmente Pascal; attualmente Java e Visual Basic) e tende ad esser associata alla programmazione orientata agli oggetti.

Quindi, riassumendo, quando un programmatore C vuole scrivere thisverylongname o this_very_long_name, la versione CamelCase di un programmatore Java sarebbe thisVeryLongName.

Per terminare ricordiamo che nella programmazione, il carattere di underscore è spesso usato come prefisso, ovvero è il primo carattere di una variabile: _listingNumber.

In quanti modi diversi è possibile scrivere una parola per renderla leggibile?

Ma quanti altri modi esistono di scrivere una parola o variabile (Letter case)? Ebbene sinora ne ho trovati ben 11 diversi, anche se non tutti possono essere applicati alle variabili. Non c’è nulla di rivoluzionario in queste tecniche e probabilmente le usate tutti i giorni, senza però conoscerne il nome.

Così avremo:

  1. CAPITAL o UPPER CASE: la parola è scritta tutta in maiuscolo

    VARIABILE

  2. lower case: la parola è scritta tutta in minuscolo

    variabile

  3. Start Case: la prima lettera di ogni parola (separate da spazi) di una frase è scritta in maiuscolo:

    This Is A Start Case

  4. Title Case: a differenza dello “Start Case” la prima lettera di ogni parola di una frase è maiuscola mentre le congiunzioni, le preposizioni e gli articoli sono sempre scritti in minuscolo. Un esempio sono i titoli delle canzoni o degli album: su iTunes li vedrete sempre scritti in Title Case.

    This is a Title Case

  5. Capitalization o Capitalisation: la parola ha solo la prima lettera maiuscola (upper case letter) e tutte le altre sono minuscole (lower case letters)

    This is a title case

  6. unicase: sono quelle lettere che non hanno una versione maiuscola e minuscola (presenti per esempio nell’alfabeto Arabico o Ebraico). Un esempio comune è la: @
  7. CamelCase o Medial Capitals: è la pratica di scrivere parole composte o frasi in modo che le parole siano unite tra loro senza spazi o segni di interpunzione ma ogni loro lettera iniziale è maiuscola. Molto usato laddove, specie nelle pratiche di programmazione, gli spazi non sono permessi (e l’uso di “-” e “_” risulta antiestetico)

    nomeVariabileDaAssegnare

  8. Pascal Case: è una pratica di scrittura (della vecchia guardia di programmatori Pascal) che è molto simile al CamelCase, ma si contraddistingue da essa perché anche la prima lettera della parola è maiuscola. E’ per questo che questo metodo è anche conosciuto con il nome di UpperCamelCase

    NomeVariabileDaAssegnare

    Bisogna anche dire che non tutti sono soliti fare distinzione tra CamelCase e Pascal Case, raggruppando le due categorie nella sola CamelCase.

  9. embedded_underscore: ogni segni di interpunzione o spazio è eliminato ed è sostituito dal carattere di underscore (“_”). Di solito le lettere o sono tutte maiuscole (UPPER_CASE_EMBEDDED_UNDERSCORE)

    NOME_VARIABILE_DA_ASSEGNARE

    o tutte minuscole (lower_case_embedded_underscore)

    nome_variabile_da_assegnare

    ma non mancano casi in cui si trovano scritti in forma mista.

    Nome_Variabile_Da_Assegnare

  10. StudlyCaps o StUdLyCaPs, o ancora StickyCaps: è una variazione del CamelCase in cui le ciascuna lettera di una o più parole, sono alternativamente scritte in maiuscolo e minuscolo. La sequenza maiuscolo-minuscolo può seguire uno schema predefinito (pattern) oppure può essere del tutto casuale (random). Usato soprattutto nell’ambiente hacker:

    L’oRiGiNe dEL sIgNiFiCaTo Di QuEsTa PrAtIcA e’ OsCuRa

  11. BiCapitalization o InterCaps: simile allo StudlyCaps e al CamelCase ma il suo ambito non è nell’ambiente hacker bensì in quello del marketing. Infatti la BiCapitalization è l’atto di creare un marchio leggibile e facilmente riconoscibile dagli altri. Ne sono esempi comuni loghi come:

    PostScript
    NeXT
    NeWS
    VisiCalc
    FrameMaker
    TK!solver
    EasyWriter

Suggerimenti d’uso

Sul sito Microsoft dedicato alle librerie MSDN vi è un interessato documento che descrive le regole di Class Naming Guidelines. Da qui si raggiunge la pagine delle Capitalization Styles, in cui si mette in luce che:

  • Pascal Case: si usa solo per identificatori di 3 o più caratteri in cui le prime lettere di ciascuna parola concatenata è maiuscola

    BackColor

  • CamelCase: la prima lettera è minuscola mentre le prime lettere di ciascuna parola concatenata è maiuscola

    backColor

  • Uppercase: tutte le lettere del identificatore sono maiuscole. In realtà si consiglia di usare questo metodo solo per identificatori di 2-3 lettere:

    System.IO
    System.Web.UI

Altri esempi di CamelCase

Nel capitolo precedente ho tentato di classificare tutti i possibile metodi di scrittura di una variabile o, in generale, di una parola o logo. In realtà, a conti fatti, ogni metodo tende a non essere unico in quanto tende coincidere parzialmente con altre pratiche di scrittura.

E così è un CamelCase “MicroSoft” (o più precisamente un “Pascal Case” o siccome siamo nell’ambito del marketing una BiCapitalization), che altro non è che il nome originario della odierna Microsoft.
Mentre è un CamelCase perfetto il nome “iMac” (anche se volendo si potrebbe anche dire che la parola “iMac” è un particolare caso di StudlyCaps Random)
Allo stesso modo la funzione GetURLBaseAddress non è un vero CamelCase, poiché URL è scritto tutto in maiuscolo: si può quindi dire che è scritto in StudlyCaps Random.

E per finire, una bella auto-citazione. Infatti, non tutti sanno che il nome originario del mio sito era LevySoft , ovvero era scritto in CamelCase (o in Pascal Case o, siccome era un brand, in BiCapitalization). In seguito, per semplificarne la scrittura e siccome non era essenziale disinguere le due parole, cominciai a scriverlo tutto minuscolo tranne l’iniziale, in perfetto stile Capitalization.

Tag:camelcase, caratteri, case, java, leggibilità, lowercase, pascal, pascalcase, programmatori, programmazione, uppercase, variabili
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Mar 17 2008

Le ricerche diacritiche e case insensitive dei motori di ricerca: cosa sono i segni diacritici e come non vengono usati correttamente nella lingua italiana

Posted by Antonio Troise
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Non ci si pensa molto spesso ma, dovete sapere, che le ricerche che quotidianamente fate sui motori di ricerca, per ottenere dei buoni risultati, devono corrispondere a dei criteri ben precisi di universalità del contesto. Quindi, oltre ad essere case insensitive, ovvero insensibili alla differenza tra lettere minuscole e maiuscole (quando cerco “Antonio” verranno trovate anche le corrispondenze “antonio” e “ANTONIO“), lo sono anche ai segni diacritici, ovvero sono insensibili alle lettere accentate.
Ad esempio, se si digita “università” con accento finale o “universita” senza accento finale, si ottiene sempre lo stesso risultato. Ma il bello è che otterrei gli stessi risultati se cercassi anche la parola: ùnìvèrsita. Analogamente accade se viene cercato “Casa“, poiché troveremo anche i termini “casà” e “çàsà“.

Segni diacritici
Cosa sono i segni diacritici?

Per chi non lo sapesse, un segno diacritico, è un segno aggiunto ad una lettera per modificarne la pronuncia o per distinguere il significato di parole simili e compaiono generalmente al di sopra o al di sotto della lettera cui si riferiscono. Il principale uso dei segni diacritici è modificare il suono di una lettera, ma vi si fa ricorso anche in senso più generale per cambiare il valore grammaticale e il significato di una parola (ad esempio, in italiano l’articolo e pronome la rispetto all’avverbio là: la pronuncia è la stessa).
Tra i segni diacritici, troviamo quelli più comuni per la lingua italiana (à è é ì ò ù –) e quelli meno comuni (ç, §, ê, ï, ô, Ø). Fra i segni diacritici i più diffusi sono l’accento acuto ( ´ ), grave ( ` ) e circonflesso ( ˆ ); il segno di vocale lunga ( ¯ ); il segno di breve ( ˘ ); la dieresi o Umlaut ( ¨ ); la cediglia ( ¸ ); la ‘pipetta’ ( č ) e la tilde ( ˜ ).

Perché si escludono i segni diacritici?

Per impostazione predefinita, Google non riconosce accenti o altri segni diacritici. Questo, perché, oltre a permettere un numero di risultati nettamente superiore, permette anche di escludere la possibilità di avere risultati ambigui.
Infatti, è noto che, nella lingua scritta del web, è facile imbattersi nella sostituzione delle lettere accentate con il digramma ‘lettera+apice‘.

L’Accademia della Crusca spiega molto bene questo particolare comportamento, proprio degli utenti internet ma poi diffusosi un po’ in tutte le aree, e che va ricercato in due motivi:

  1. Tutte le lettere dotate di segni diacritici (accenti, dieresi, cediglia, ecc.) non rientrano nel set-base di caratteri alfanumerici, cioè nei 128 caratteri che, secondo il primo standard ASCII sono decodificati correttamente da ogni computer, indipendentemente dalla sua configurazione. Tutti i caratteri che non fanno parte di questo gruppo possono non venire riconosciuti da una macchina: in tale caso, l’utente non visualizzerà sul proprio PC il carattere diacritico (proprio come accade per WordPress con la codifica UTF-8).
    In seguito, la codifica fu ampliata a 8 bit, arrivando a 256 (2^8) posizioni. Le nuove 128 posizioni disponibili furono utilizzate (in maniera diversa da ogni paese) per una serie di lettere e simboli non compresi tra i primi 128 caratteri. Le lettere accentate dell’italiano fanno parte di questa codifica, definita ASCII estesa.
  2. Se ancora per le lettere minuscole ci sono eccezioni, le lettere maiuscole sono scritte nella grafia ‘lettera+apice’ nella quasi totalità dei casi. Il motivo di tale grafia è da ricercarsi dal fatto che normalmente le tastiere italiane non prevedono questo set di caratteri e la maggior parte degli utenti non conosce la combinazione di tasti per le maiuscole accentate (su Windows questi caratteri si ottengono tenendo premuto il tasto ALT e digitando il corrispondente codice ASCII).
    A tal proposito, se avete dubbi potete consultare queste mie guide su come digitare rapidamente la E maiuscola accentata su Windows, Linux, Mac OS X oppure quella su come scrivere la tilde e le parentesi graffe su Windows, Linux e Mac OS X.

Come vedete, la scelta di sostituire le lettere accentate con una combinazione di due caratteri semplici contigui ha delle solite basi storiche e, quindi, per non incorrere nei citati problemi di decodifica o di ricerca del codice ascii corrispondente, chi comunica abitualmente attraverso il computer evita quanto più possibile l’uso dei caratteri estesi: nel caso dell’italiano, le lettere accentate (come è, verità o perché) vengono sostituite dalla combinazione della lettera semplice corrispondente seguita da un apice (come e’, perche’, verita’).

Ma il bello è che, siccome il computer oramai si è esteso in qualsiasi altro settore lavorativo e non, è facile trovare questo peculiare costume linguistico anche in altri ambiti apparentemente lontani dal computer, sia per interferenza con le scritture informatiche che per pigrizia (visto che le minuscole accentate dell’italiano in realtà sono tutte presenti sulla tastiera): è il caso delle didascalie televisive, dei sottotitoli televisivi, di articoli di giornale e delle scritture burocratiche.

Quindi, sebbene nettamente errata come forma, è oramai universalmente accettata. Ed è, quindi, anche per questo motivo che Google, come tutti gli altri motori di ricerca, non considera, per impostazione predefinita, i segni diacritici.

Come forzare Google a cercare con i segni diacritici

Oltre ai segni diacritici, Google non fa distinzione anche tra lettere minuscole e maiuscole poiché considera tutte le lettere come minuscole. Ad esempio, digitando “google”, “GOOGLE” e “GoOgLE” si ottengono sempre gli stessi risultati.
Se, però, avete l’esigenza di cercare una certa parola in modo che si distinguano le maiuscole dalle minuscole, e le lettere accentate da quelle normali, non dovete fare altro che specificare al motore di ricerca di effettuare la ricerca in maniera diacritica e case sensitive. Per farlo è sufficiente ricercare il termine racchiuso tra apici: “ùnìvèrsita”.

Se, invece, come nel caso della ricerca di un nome di città straniera, si vogliano rispettare solamente i segni diacritici ma non si vogliano considerare le differenze tra maiuscole e minuscole, le linee guide di Google ci spiegano che, sarà sufficiente anteporre alla parola da ricercare il segno +.
In altre parole, se si digita Muenchen e München si ottengono sempre gli stessi risultati, mentre si ottengono risultati diversi nel caso si esegua una ricerca del tipo +Muenchen rispetto a +München.

Tag:accenti, ascii, caratteri, diacritico, Google, Linguaggi, pronuncia, tastiera, tilde, utf-8
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Ott 19 2007

La tastiera evoluta di Linux in grado di sommare i caratteri

Posted by Antonio Troise
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Dopo aver scritto alcuni articoli su come scrivere la tilde e la e maiuscola accentata su Windows, Mac e Linux, oggi vorrei porre la mia attenzione sulle funzionalità avanzate della tastiera Linux.
Sarà infatti oramai chiaro che l’interpretazione della tastiera da parte di un sistema operativo linux è molto più avanzata rispetto a quella operata da Windows, che sembra non considerare affatto le difficoltà che altre utenti non anglofoni possono incontrare durante la stesura di un testo.

In Linux, infatti, ad ogni tasto sono associate ben 4 lettere o caratteri (mentre su Windows di solito sono 2 e in qualche caso si arriva a 3 con il tasto Alt Gr) mediante le combinazioni di Shift e Alt Gr (Shift equivale all’italiano Maiusc). Ciò permette con estrema semplicità di scrivere ± (Alt Gr + Shift + 9) oppure «citare testi» senza doversi andare a scartabellare tutto la codifica Ascii. Per scrivere, infine, il carattere del copyright © è sufficiente premere i tasti Shift +Alt Gr+C.
Addirittura è possibile operare delle vere e proprie somme di caratteri digitando i caratteri uno di seguito all’altro come:

¨ + u = ü

La regola da seguire è molto semplice ce la spiega Pietro di Giorgio con questa immagine esplicativa:

Tastiera Linux

Tag:accenti, caratteri, Linux, tastiera, tilde, Windows
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Set 22 2007

Come scrivere rapidamente la E maiuscola accentata su Windows, Linux, Mac OS X, Firefox e Thunderbird e la ragione per cui le lettere accentate maiuscole sono così rare

Posted by Antonio Troise
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abcTajpu Dopo l’articolo sulla Combinazione di tasti per scrivere la tilde e le parentesi graffe su Windows, Linux e Mac OS X, ho preso spunto da un commento per estendere l’argomento su come scrivere rapidamente la E maiuscola accentata.

Come è noto per qualsiasi utente Windows, quando si deve scrivere una E maiuscola accentata (di solito la più usata è quella con accento grave), ma più in generale una qualsiasi vocale maiuscola accentata, diventa davvero una impresa, perché non esiste un metodo veloce.

Se su Linux è sufficiente tenere attivo il tasto BLOCK MAIUSC e premere la la lettera “è” (CAPS LOCK + è), per ottenere in automatico la lettera maiuscola corrispondente, mentre su Mac OS X, basta, invece, usare la combinazione di tasti “Alt Maiuscolo e“, e in codice html si può scrivere: È oppure È, per Windows il discorso si complica. Infatti l’unico modo è tenere in mente i corrispondenti codici ASCII e nel caso della È occorre premere ALT+0200 (del tastierino numerico).

Per chi, però, di solito usa Word, sa bene che se la la lettera accentata è preceduta da un punto, l’applicativo automaticamente converte la vocale in maiuscolo. Altrimenti, se dovete forzatamente convertire una lettera nella corrispondente maiuscola accentata, basta digitare la vocale minuscola e subito dopo premere contemporaneamente i tasti Shift + F3 (Maiusc + F3); il discorso funziona egualmente se si seleziona la lettera.

Ora, non tutti quando scriviamo usiamo Word, per cui queste soluzioni sono parziali e non accontentano di certo l’utilizzatore di PC più smaliziato. In particolare, per voi blogger, vorrei consigliare un’interessante estensione per Firefox e Thundirbird: abcTajpu.
Una volta installata, è possibile trovare, nel menu contestuale di qualsiasi campo di testo (quindi anche nell’area dove scrivete i vostri post quotidiani) la voce abcTajpu, da cui è possibile accedere ad una esauriente lista di lettere accentate, ma anche caratteri speciali, come lettere accentate o dieresi, caratteri ebraici, arabi o in sanscrito, ma anche tutti quei simboli grafici come ©, ≈, µ etc.
Interessante la funzionalità di conversione del testo selezionato in maiuscolo o minuscolo e nella codifica ROT13.
Inoltre, per i patiti delle shortcuts, dalle opzioni di configurazione è possibile configurare il comportamento dei tasti F1 fino all’F10 per avere a portata di mano gli accenti che usate più di frequente.

Maggiori spiegazioni le trovate sull’homepage dell’autore, ma di certo ora scrivere una lettera in tedesco o arabo, o scrivere in italiano corretto (magari anche con una tastiera inglese che di accenti non ne ha neanche l’ombra) sarà molto più semplice.

Per terminare il discorso vorrei riportare la spiegazione di Maurizio Pistone sul motivo del perché vi sia tutta questa incuria sulle lettere accentate maiuscole:

C’è un’altra ragione, di tipo estetico. La nostra scrittura – tanto a mano, quanto, e più, a stampa – ha una doppia origine. Le lettere minuscole nascono nel IX secolo dalla cosiddetta minuscola carolingia, subiscono varie trasformazioni, danno origine alla cosiddetta scrittura “gotica” (quella tutta a spigoli, che con i Goti non c’entra per nulla) per poi ridiventare arrotondate in età rinascimentale. Nel ‘500 da questa grafia a mano i primi tipografi, come il parigino Claude Garamond, trassero i caratteri minuscoli che, sostanzialmente, ancora adesso usiamo. Invece le lettere maiuscole riproducono quasi immutate le lettere dell’epigrafia monumentale romana. Naturalmente sono lettere nate senza accenti (e senza la W e la Y, ovviamente; ed anche senza la U, che si scriveva V); sono soprattutto lettere costruite secondo un ideale geometrico, che tende ad un’altezza uguale e ad una larghezza omogenea. L’uso di accenti (ma anche dell’apostrofo, e di tutti i segni di interpunzione) turba quest’armonia; e quindi è comprensibile se molti, per soddisfare l’occhio, tendano ad evitare i (pochi) accenti richiesti dalla lingua italiana.

UPDATE: Esiste un altro software freeware per Windows che permette di avere sempre sottomano e indipentemente dal browser o applicativo usato, la lista dei caratteri speciali. Si chiama Special Character Menus (scaricabile direttamente da qui) e non richiede alcuna installazione; quando è attivo, è sufficiente cliccare Windows+C per richiamare il menu di lettere speciali, che verranno inserite nei vostri testi mediante il semplice click del mouse.

UPDATE 2: Cicciokun in un suo post ci spiega come fare anche gli altri segni diacritici con le altre lettere che li supportano (À,É,Î,Õ,Ü…).

Tag:accenti, caratteri, firefox, Linux, Mac os x, tastiera, thunderbird, Windows
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Set 14 2007

Combinazione di tasti per scrivere la tilde e le parentesi graffe su Windows, Linux e Mac OS X

Posted by Antonio Troise
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Quando ho iniziato a fare i primi script unix mi capitava spesso di imbattermi su sistemi che non disponevano di una tastiera UK o US, essenziale per i sistemisti che devono digitare spesso caratteri come tilde (~) e parentesi graffe ({ }) . Per chi non lo sapesse il carattere tilde, nei sistemi tipo unix, è solitamente un alias per la cartella home dell’utente, mentre le parentesi graffe si ritrovano spesso flussi condizionali o iterativi di molti linguaggi di programmazione.

In Windows, inizialmente risolsi il problema grazie alla combinazione di tasti:

ALT+126 -> ~
ALT+123 -> {
ALT+125 -> }

Il problema è, però, che se si usa una tastiera italiana di un portatile non si ha a disposizione il comodo tastierino numerico e quindi di solito occorre aggiungere anche il tasto Fn (Function) per avere la seguente contorta combinazione:

ALT+Fn+126 -> ~
ALT+Fn+123 -> {
ALT+Fn+125 -> }

Il problema risulta leggermente più semplice se si usa una tastiera italiana su sistemi tipo unix (come quelli basati su Linux ad esempio) visto che per ottenere il carattere tilde, basta premere la combinazione di tasti: ALT gr + ì; su Mac OS X la tilde corrisponde, invece, alla combinazione ALT + 5.
Per chi usa, invece, un terminale su Linux (in particolare io l’ho provato su Ubuntu), sarà contento di sapere che basterà premere semplicemente il tasto Pag Giù per ottenere il carattere tilde.

Per le parentesi graffe, il problema permane, ma almeno si ha una uniformità nei sistemi operativi. Infatti, sia se si usa un sistema Windows, Linux e Mac OS X, la combinazione di tasti per la parentesi graffa aperta è Alt gr + shift + [ mentre per quella chiusa è Alt gr + shift + ] (per il mac esiste solo il tasto ALT).

Ovviamente avrete molti problemi in meno se, per il lavoro che svolgete, vi comprate una bella tastiera con il layout inglese o statunitense: in questo caso avrete già pronti i tasti per la tilde e le graffe!

Tag:caratteri, graffe, Mac os x, tastiera, tilde, Windows
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