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Dal 2004 il blog di Antonio Troise

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Set 24 2009

Perché equiparare la blogosfera con le testate giornalistiche tradizionali? Riflessioni sul Fact-Checking e il Blog Power

Posted by Antonio Troise
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Un paio di giorni fa i giornali diedero la notizia che il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama aveva asserito di voler dare un aiuto economico ai giornali in difficoltà flagellati dalla crisi economica perché il buon giornalismo è essenziale alla salute della democrazia, mentre lo stesso non si può dire dell’exploit che sta avendo la blogosfera e, in generale, tutte le reti di Social Network, considerate solamente come un pool di opinioni senza controllo sui fatti, senza la giusta collocazione delle storie in un contesto verificato e pieno di persone che si urlano una contro l’altra, prive di comprensione reciproca.

Il Fact-Checking

Obama Parole dure giustificate dal fatto che Obama, a suo dire, vorrebbe scongiurare il declino dei giornali su carta (grazie alle elargizioni di aiuti pubblici e ad agevolazioni fiscali ai gruppi editoriali più colpiti dalla crisi) che porterebbe, inevitabilmente, all’affermarsi di una blogosfera che, per sua natura, è senza controlli su tutto ciò che viene scritto. Lo scopo ultimo è quello di dare la possibilità ai quotidiani tradizionali di continuare a offrire “integrità giornalistica, cronache basate su fatti e indagini svolte con serietà” che altrimenti verrebbe sostituita da una blogosfera dove si può trovare ogni sorta di informazione e opinione non verificate (il famoso Fact-Checking, ovvero quella consuetudine, propria di ogni redazione giornalistica, di verificare con cura quanto viene pubblicato). In pratica la blogosfera altro non è che tutta opinione e niente controllo sui fatti!

In parte si può comprendere l’atteggiamento di Obama che ha sparato a zero contro la blogosfera, perché proprio ultimamente molti blog lo hanno attaccato sulla sua riforma sanitaria sbandierando, secondo la sua Amministrazione, dati non aderenti alla realtà. Ma è anche vero che negli Stati Uniti, in cui quasi tutti i blogger avevano sostenuto Obama durante le presidenziali, queste affermazioni sono state viste come delle vere e proprie coltellate al cuore per tutti coloro che lo avevano appoggiato con i nuovi mezzi messi a disposizione dal Web 2.0. Già in passato, a Marzo 2009, Obama aveva in qualche modo rinnegato i blogger definendoli “semplicistici e fuorvianti”.

Il contesto della blogosfera

La risposta arriva da Neil Henry, rettore della Scuola Superiore di Giornalismo di Berkeley, in una interessante intervista su “La Stampa“, in cui afferma:

La blogosfera è una realtà distinta nell’universo dell’informazione per la quale non può essere applicato un controllo sistematico perché contro natura.
[…]
Nello sconfinato mondo della blogosfera, il principio del Fact-Checking (per garantire che l’informazione sia credibile e accurata) non può essere applicato, perché si parla di voci, di opinioni.

Imporre un Fact-Checking sistematico ai blog, significa andare contro la loro stessa natura di flusso libero di opinioni e di analisi, per il quale sono stati creati.

Le differenze tra blog e giornali

Se è vero che le parole feriscono più di una spada è anche vero che la libera diffusione delle idee è da sempre stato un delicato argomento di discussione. E’ noto che quando si ha troppa libertà, questa situazione è sempre vista, da chi detiene il potere, come uno strumento troppo pericoloso che si immagina possa sfociare nell’anarchia più assoluta.

Quando si scrive per un blog, l’autore si assume fino in fondo le responsabilità di ciò che scrive. Parallelamente, il blog offre una maggiore libertà, ovvero il poter scrivere su qualsiasi argomento. In un giornale, invece, l’autore ha la possibilità di sentire la libertà di scrivere ciò che vuole, ma l’argomento è scelto sempre dal giornale stesso. In pratica l’articolo di una testata giornalistica è sempre il risultato di un’azione coordinata all’interno delle proprie competenze e della politica editoriale del girnale stesso.

A tal proposito mi piace citare una frase di Dan Gillmor che fa capire come la Rete sia uno strumento fondamentale per interloquire e mette in evidenza la differenza tra conversation e lecture:

Quando sei nel blog partecipi alla conversazione, mentre quando scrivi su un quotidiano stai facendo una lezione!

Granieri, autore di Blog Generation ci fa notare che abbiamo ancora molta difficoltà a considerare la blogosfera come giornalismo.

«Sebbene i materiali da costruzione siano gli stessi (ovvero le informazioni) e alcune procedure di composizione siano simili, i blog non sono giornalismo. Informano, ma non sono giornalismo come lo conosciamo, anche quando a tenere un blog è un professionista riconosciuto dall’Ordine»

Forse, però, è il caso adeguare il concetto di giornalismo alla nostra era: infatti, si può fare del buon giornalismo anche senza alcuna tessera professionale! Ma è tuttavia vero che forse nella sua vastità, la blogosfera manca di uno strumento di controllo proprio dei giornali (o almeno di quasi tutti), che sicuramente non le appartiene e, forse, non ambisce neanche ad avere.

C’è chi afferma che nella blogosfera, c’è una netta prevalenza delle opinioni rispetto alle notizie e che, a volte, ha la tendenza a diventare strumento di attivismo piuttosto che di informazione (non che da queste caratteristiche siano immuni le migliori testate giornalistiche tradizionali), forse proprio di tutto ciò che segue un modello di interrelazione uno-con-molti.

Quel che è certo è che il vantaggio di un blog è quello di non doversi vergognare a volersi rivolgersi solo a nicchie ben individuate che il giornalismo tradizionale spesso ignora a favore delle grandi masse.

Il blog è per definizione non esaustivo?

Il problema è che dato che la blogosfera pullula di blog personali senza nessun tipo di qualità giornalistica, è facile cadere nelle accuse, da parte dell’élite mediatica, di non rilevanza della blogosfera.

Però, come analizza Granieri, il blog, a differenza di modelli a noi più familiari come il quotidiano o la rivista, non ha nessuna pretesa di essere esaustivo. Anzi, al contrario, un blog tende per definizione a portare «fuori da sé» il lettore, dirigendolo verso altre fonti, verso altre voci. Il risultato è che nessuno legge un solo blog, poiché si tratta di un singolo nodo in un’opera collettiva ipertestuale che tende a configurarsi come un sistema di contenuti.

Quindi, per la sua stessa natura, il blog è un atto di generosità: essendo un nodo in un sistema di lettura, sposta l’attenzione (e il lettore) su altre fonti invece di cercare di trattenerlo sulle sue pagine. Questa scelta che in un sistema competitivo sarebbe un suicidio, nel sistema weblog è prassi, è un circolo virtuoso, in cui il trasferimento del lettore è funzionale e non va contro gli interessi personali o privati.

Perchè equiparare i blog ai giornali?

Ma il problema è: chi ha chiesto di equiparare i blog ai giornali? Perché ci si ostina a volerli guardare allo stesso modo?
Chi fa blog, come il sottoscritto, non si sogna mai di essere equiparato ad un giornalista. Il suo “lavoro” lo fa solo per passione e nel tempo libero e i suoi argomenti sono vari e mai dettati da alcuna redazione.

Infatti, come asserisce il giornalista Andrew Sullivan:

La discussione sui blog non va orientata sulla loro essenza giornalistica, ma sulla loro esistenza, sulla loro utilità ed importanza nel nostro mondo attuale e, soprattutto, sulla loro integrazione con il mondo dell’informazione. Mentre gli esponenti del giornalismo tradizionale insistono su quelli che sono gli elementi che non fanno dei blog una forma di giornalismo, Sullivan suggerisce di guardare il blog e il giornalismo non come due soggetti da mettere in contrapposizione, ma come entità complici all’interno della rete. L’uno può servire ad ampliare e migliorare l’altro.

La paura dei giornali tradizionali: il Blog Power

Io credo che non sono i blog a voler diventare testate giornalistiche, bensì penso che siano i giornali tradizionali, (che a causa dell’avvento del web sono in grande crisi), ad aver paura dei blog, che spesso rubano fette di milioni di lettori ai media classici. Ed è da questa paura del diverso, del rivoluzionario, dell’innovativo che nascono queste accuse alla blogosfera che di fatto, ha solo il merito, di regalare un nuovo modo di comunicare le notizie, le idee e le informazioni, ma anche un nuovo modo per partecipare alla conversazione. E’ da qui che nascono i weblog di giornalisti che, tentando di emulare i blog, cercano di recuperare il terreno perduto. Il problema è che siccome sono sempre associati a grandi testate giornalistiche, e quindi sempre in accordo con la politica editoriale in Rete del suo giornale di appartenenza, non riescono mai ad essere fino in fondo come gli autori del blog.

Ma a spaventare più di tutti è la constatazione che, alcune volte, un unico blogger che lavora da casa può raggiungere lo stesso numero di lettori di un grande giornale (è l’effetto del citizen journalism e del Blog Power in senso esteso), senza dipendenti, senza spese e senza costi di produzione. Anche se bisogna ammettere che non può produrre in nessun modo gli articoli approfonditi ad alta intensità di manodopera che un buon giornale propone quotidianamente, questo enorme vantaggio competitivo dipende dall’evoluzione tecnologica ed è inevitabile, ma i giornali tradizionali non lo capiscono ancora pienamente.

Tag:Blog, blog-power, blogosfera, democrazia, giornali, informazione, Obama, stampa, Web 2.0
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Giu 17 2009

Cosa succede quando un blog viene abbandonato? Quanto è effimera l’informazione che i blogger riversano nella blogosfera? Come risolvere il problema dell’oblio?

Posted by Antonio Troise
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Vi siete mai chiesti cosa accade quando un blog, per varie motivazioni, viene abbandonato? Il blog, è per sua natura, una entità della sfera di internet che richiede un aggiornamento più o meno periodico. Se questa caratteristica viene meno, per un periodo di tempo considerevolmente lungo, allora si può a ragione dire che il blog, in quanto tale, “è morto”. Infatti, esso vive quando al suo interno iniziano a circolare pensieri, opinioni, riflessioni, considerazioni e commenti. Se questi elementi sono assenti non si può più parlare di blog ma di sito web nella sua versione più statica.

Fase 1. Blog dimenticato

E’ anche vero, però, che post scritti anche anni prima, ma intrinsecamente senza tempo, possono essere sempre validi tanto che, anche quando un blog cessa di essere aggiornato questi stessi articoli possono continuare ad essere citati nella blogosfera, grazie alla potenza di motori di ricerca come Google in grado di scandagliare tutti gli anfratti dei siti web.

Ma il problema principale di un blog “morto” è che gli utenti, nonostante i feed reader dei lettore più affezionato possano resuscitarlo piuttosto velocemente, iniziano, nel corso dei mesi, a dimenticarsi di lui, e ciò comporta una riduzione del numero di lettori abituali ma anche di quelli occasionali provenienti dai motori di ricerca, in quanto, il suo pagerank potrebbe anche inevitabilmente scendere rispetto ad altri blog più aggiornati in grado di tessere una più fitta ragnatela di link inbound/outbound.

Fase 2. Cadere nell’oblio

Infine, il rischio maggiore che potrebbe correre un blog non più aggiornato è quello di cadere nell’oblio nel momento in cui, il suo autore, stanco di dover mantenere un sito non più vivo, decida di non provvedere più al pagamento annuale, più o meno esoso, dello spazio web messogli a disposizione da un servizio di hosting/housing. Questo problema potrebbe essere meno pressante, se il blogger si era affidato a piattaforme o spazi web gratuiti. Purtroppo, però, questa ultima eventualità potrebbe comunque mettere a repentaglio il blog, “vivo” o “morto” che sia, in quanto come qualsiasi servizio gratuito, potrebbe venire chiuso a discrezione del gestore. Proprio recentemente abbiamo avuto gli esempi della chiusura dello storico Geocities da parte di Yahoo e lo scampato pericolo del servizio di webhosting Tripod di Lycos Europe (in cui tenni il mio primissimo esperimento di blog sconosciuto ai più), che doveva chiudere i battenti il 15 febbraio 2009 ma che, proprio negli ultimi giorni è stato salvato in estremis da Multimania per la felicità dei suoi 6 millioni di utenti (al momento però il sito Multimania.it e Multimania.fr non sono raggiungibili, il che non mi fa ben pensare sulla sorte dei suoi siti).

Insomma, nel caso peggiore ma non per questo meno realistico, dopo qualche anno, il blog potrebbe essere anche rimosso dai database di Google e di lui, non rimarrebbe altro che un sorta di fantasma di sito che fu, che godette di una popolarità riflessa nella blogosfera, ma di cui ora non rimane altro che un flebile ricordo nella persone che aveva incontrato e in qualche decina di link, trackback e pingback orfani, come una sorta di appendici verso il passato non più ritrovato.

Io credo che questa sia la parte più triste di tutta la faccenda: per quanto un blog possa essere attivo, il fine ultimo della maggior parte di essi, potrebbe proprio essere l’oblio. Se già un blog non più aggiornato è triste, vedere un blog sparire lo è ancora di più. Spesso si dice che Internet è senza memoria, ma questo è parzialmente vero, perché una idea valida esisterà per sempre (magari citata da decine di altri blog e siti che tenderanno a preservarne, indirettamente, la sua memoria) ma la vita di un blogger può velocemente sparire.

L’esempio del blog di Onino

A questo proposito posso farvi l’esempio di un blogger famoso fino a qualche anno fa: il suo sito era OninO.it e, insieme a pochi altri, fu uno dei primi blog che conobbi e lui mi aiutò con i primi passi su WordPress e con l’affascinante quanto complesso mondo dei servizi di hosting dei siti web. Ad oggi il suo sito, nonostante il dominio sia ancora attivo e registrato a suo nome, non contiene più alcun post ne alcuna traccia che prima era stato uno dei blog più visitati della blogosfera!
Scandagliando la rete, però, sono riuscito a trovare il riferimento alla sua tesi “Weblog: prove di intelligenza collettiva?” sul sito di Sergio Maistrello che nel Dicembre del 2004, nel suo blog di presentazione del libro “Come si fa un blog” scriveva:

Da oggi è online, disponibile a tutti in formato Pdf e sotto licenza Creative Commons, la tesi di laurea di Cristiano Siri, alias OninO. La tesi è stata discussa a marzo 2004 alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Genova e si intitola Weblog: prove di intelligenza collettiva?. Il lavoro è molto interessante e approfondito, uno dei primi studi teorici sui blog affrontati dai laureandi italiani. La scelta di condividerla liberamente in Rete fa onore all’autore.

Ora, la pagina da cui ho tratto questa piccola recensione, nonostante sia perfettamente indicizzata da Google, per qualche ragione si presenta vuota al browser e nel suo codice html si trovano solo i tag BODY e HTML aperti e chiusi e null’altro (probabilmente è il retaggio di un vecchio blog dell’autore dedicato al suo libro, mai pulito completamente dal sito, e rimasta come traccia su Google). Sono comunque riuscito a reperire queste informazioni grazie alla cache di Google! Infine, la cosa interessante, è che nonostante il sito di Onino, anche se funzionante, non presenta alcuna pagina di presentazione, il file PDF è ancora nascostamente raggiungibile!

Insomma questo esempio mi è servito per dimostrare quanto sia flebile ed effimera l’informazione che ogni blogger riversa ogni giorno nella blogosfera. Per trovare traccia di quella tesi sono dovuto passare prima per un blog defunto di cui ne era rimasta traccia solo nella Cache di Google (credo che temporalmente avrà ancora vita breve) e quindi ho scaricato il PDF da uno spazio web associato ad un dominio che non aveva alcuna homepage e nessun ricordo del blog che fu!

Come vedete, se ora il vecchio blog di Sergio Maistrello altro non è che un link orfano non più attivo su Google visibile solo attraverso l’immagine sbiadita della “Copia cache” di Google, in futuro Google potrebbe decidere di rimuoverlo definitivamente dai suoi database. Allora non ne rimarrà altro che il link su questo mio sito, che comunque non riuscirà mai ad esprimere la potenza espressiva che, magari, quell’articolo aveva la forza di infondere nei lettori.
A questo punto l’unica memoria vera memoria di internet, per quanto effimero e parziale possa essere questo servizio, è nei siti di Internet Archive come Wayback Machine in grado di fare uno screenshot di qualsiasi sito e preservarne così almeno una piccola memoria della sua presenza su internet. Per quanto riguarda il blog di Onino ho trovato solo l’arco temporale di esistenza che andava dal 2004 al 2006 e qualche salvataggio parziale della sua homepage. Ma tutto il suo contenuto, forse la parte più preziosa di un blog, è andato comunque perso!

Proposte di soluzioni al problema dell’oblio

Umberto Eco, un giorno, disse che “Internet è come un immenso magazzino di informazioni“. Il problema è che, però, questo magazzino dovrebbe avere una sorta di backup di se stesso. Sarebbe bello vedere, un giorno, un servizio che metta a disposizione dei blogger “stanchi” un sorta di repository del proprio blog, una sorta di backup sempre online del proprio sito web. Certo, nulla vieta che anche questo servizio di Full Internet Archive possa chiudere, ma essendo un servizio centralizzato forse potrebbe essere più facilmente recuperato, piuttosto che andare a recuperare milioni di piccoli siti web chiusi. E’ anche vero, inoltre, che tutti i link che puntavano al vecchio sito web non sarebbero comunque validi vanificando il concetto intrinseco in una blogosfera attiva.

Una possibile soluzione (se il dominio del blog non fosse stato riutilizzato) sarebbe quello di giocare sui DNS per reindirizzare i vari permalink verso il sito di repository. Immagino comunque che il carico di lavoro per l’intera infrastruttura di internet sarebbe enorme, ma forse in un futuro non troppo remoto questi problemi potrebbero essere risolti piuttosto agevolmente.
Forse una alternativa più realistica sarebbe l’IPV6 e l’assegnazione per ogni individuo di un singolo indirizzo IP univoco. In tal modo, grazie al suo ampio spazio di indirizzamento, sarebbe impossibile perdere le informazioni che ogni singolo individuo potrebbe immettere nella rete (con buona pace della privacy). Quando qualcuno apre un blog userà il proprio indirizzo IP univoco. Quando poi lo dovrà chiudere, sarebbe possibile portare tutto il suo contenuto su una sorta di sito repository e tutti i link ai suoi articoli verrebbero univocamente reindirizzati qui, perché nessun altro abitante del pianeta potrebbe mai avere il suo stesso indirizzo IP.

Ad oggi le moderne tecnologie della comunicazione hanno l’intrinseca capacità di memorizzare nel tempo fatti e dati che, se da un lato rafforzano il concetto di trasparenza, dall’altra ingenerano il pericolo di una diminuzione del diritto all’oblio, diventando così inesorabilmente memoria dell’uomo. Molto spesso noi facciamo affidamento su quello che troviamo su internet, specie se parliamo di Wikipedia, senza poi verificare la validità delle informazioni e l’origine delle fonti. E se è vero che pubblicazioni volutamente sbagliate su WIkipedia sono state tutte corrette in pochissimo tempo, a dimostrazione della validità dei processi di intelligenza collettiva che la animano, è anche vero che molte volte alcuni giornalisti poco accurati nel verificare le notizie hanno pubblicato notizie errate.

E’ per questo che, una repository dei siti web, dovrebbe essere statica, non modificabile, congelando il contenuto del sito a quando è stato scritto, magari con il sapiente uso degli algoritmi di hash MD5 e SHA1, un po’ come fa Hashbot.com del grande Gianni Amato.

Il 95% dei blog sono stati abbandonati

Questo articolo era già nella mia testa da parecchio tempo ma ho voluto scriverlo solo dopo aver letto l’allarmante articolo di Zeus News che asseriva che il 95% dei blog giace abbandonato. Infatti, come testimoniano i dati di Technorati relativi al 2008, dei 133 milioni di blog tenuti sott’occhio dal motore di ricerca della blogosfera solo 7,4 milioni sono stati aggiornati negli ultimi 120 giorni. Anche se comunque è presto da dire (io credo che un tempo di attesa di almeno un anno sia più corretto), se in 4 mesi i loro autori non hanno avuto uno straccio di idea o un momento per scrivere qualcosa nel proprio spazio, quei blog sono virtualmente morti, ridotti a testimonianze del tempo che fu e dei sogni di gloria infranti. Sempre secondo Technorati, sembra però che del restante 5% di blog ancora ancora attivi, si ritiene che la maggior parte delle pageview sia generata da un numero ancora inferiore di blog, stimabile tra i 50.000 e i 100.000.

La causa di questa moria di blog? MySpace, Twitter e Facebook! Questi tre siti, infatti, oltre a rappresentare la nuova moda, hanno rapidamente imposto un modo di comunicare più rapido, immediato, a livello di Sms: nessuno – o quasi – ha più tempo e voglia di leggere lunghi post.

Insomma, sempre secondo Zeus News, caduta l’illusione di una facile notorietà e l’effimera attrattiva dei diari online, restano in attività quei pochi che hanno qualcosa di interessante da dire, che si sono conquistati un pubblico di affezionati grazie alla qualità dei propri interventi e hanno fatto del proprio blog non una vetrina personale ma uno spazio di riflessione e confronto.

Le mie statistiche sui blog non aggiornati

Dopo aver letto queste considerazioni sulla sorte del 95% dei blog, ho cominciato a scandagliare il mio feed reader alla ricerca di blog fermi da molto tempo. Io uso NetNewsWire per Mac OS X e questo programma ha un’ottima funzionalità “Dinosaurs” per cercare tutti i feed non aggiornati da un certo numero di giorni (menu Window -> Dinosaurs) in modo da poterli rimuovere. Ebbene negli ultimi 120 giorni, su un totale di circa 300 feed rss, avevo 50 feed che non venivano aggiornati, ovvero quasi il 17% del totale, con un range che andava dal Maggio 2007 fino ad arrivare a Febbraio 2009. Abbassando la soglia a 30 giorni, i feed non aggiornati sono saliti a 90, con una percentuale del 30%.

Devo dire che, di solito, non sono solito rimuovere i feed rss dei siti a meno che abbia perso interesse verso il blog o a meno che, a livello di dominio, blog non esista più. Talvolta anche quando il blogger ha avuto la gentilezza di comunicarci in anticipo della volontà di non continuare con il suo lavoro (come è il caso di gpessia) preferisco lasciare il suo feed rss nella speranza che prima o poi possa ritornare a scrivere in modo da essere tempestivamente avvisato (come è il caso di uncino, uno dei primi blog che ho conosciuto, che è sempre un piacere leggere).

Epilogo

Dopo aver scritto cosa ne pensavo sui blog e sulla loro caducità, e aver calcolato quale è la moria dei blogger nel mio feed reader personale, ora, nel pieno spirito di condivisione di idee che animano tutti i blog, passo a voi la parola. Cosa ne pensate?

Tag:backup, Blog, blog-power, blogger, blogosfera, condivisione, feed, intelligenza, intelligenza-collettiva, memoria, pagerank, permalink, rss, technorati, trackback, web, wikipedia
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Mar 12 2009

Negli USA, The Printed Blog, un quotidiano gratuito farà da aggregatore dei migliori contenuti pubblicati dai blog. Come è la situazione in Italia?

Posted by Antonio Troise
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Negli ultimi mesi stiamo assistendo, più o meno consapevolmente, ad un piccola rivoluzione o, forse più propriamente, ad un piccolo esperimento che consiste nel passaggio di testimone della carta stampata al web: infatti, contro ogni previsione, la carta stampata sta iniziando ad attingere, sempre più frequentemente, al web per avere contenuti di maggiore interesse e che si adattino facilmente ad un più largo pubblico, creando inaspettatamente sinergie proprio laddove un tempo sembravano esserci solo contrasti e diffidenze. Insomma, non mancherà molto che potremmo vedere il Web 2.0 passare dalla Rete alla carta stampata, nel nome del Blog Power!

The Printed Blog

E’ così recente la notizia che negli Stati Uniti è stata lanciata una coraggiosa (soprattutto perché lanciata in piena crisi economica) iniziativa editoriale: The Printed Blog, un giornale gratuito stampato su carta (sei pagine a colori confezionate da una redazione ridotta all’osso), distribuito nelle principali città americane (Chicago, San Francisco, New York), che aggregherà i migliori contenuti locali pubblicati online su blog e social network, secondo il modello del crowdsourcing.

The Printed Blog

Ad essere convinto della buona riuscita del suo giornale è l’investitore Joshua Karp, che ha addirittura inizialmente previsto una uscita bi-quotidiana del giornale (in realtà dal 27 Gennaio 2009, data in cui è uscito il primo numero, sono reperibili solo 6 numeri, per cui al momento l’uscita sembra attestarsi su base settimanale) che aggregherà, quasi in tempo reale, i contenuti pubblicati in rete su blog personali e social network, nella speranza che questo innovativo giornale possa attirare gli investimenti di inserzioni pubblicitarie rilevanti e fortemente localizzate sul territorio. Ma non verranno pubblicati solamente articoli (qui per segnalare i contenuti interessanti, mentre è stato aperto anche un canale su Twitter) ma anche recensioni su dischi, film, fotografie, risorse interessanti trovate online, locali commerciali, segnalazioni di eventi e quant’altro possa essere ritenuto interessante.

Secondo Joshua Karp, infatti, il quotidiano cartaceo resterà ancora a lungo la principale fonte di informazione, soprattutto più nelle grandi città e metropoli dove, per forza di cose, le persone trascorrono una parte importante del loro tempo sui mezzi di trasporto. E quale migliore miniera di materiale fresco trovare se non quella di attingere direttamente dalla blogosfera e da internet! Ovviamente, gli autori che vedranno i propri contenuti pubblicati saranno retribuiti (per ora non è specificato quanto sarà l’ammontare), ma avranno anche l’indubbio vantaggio di poter esporre i propri contenuti ad un pubblico al di fuori della rete, portando, di fatto, la voce dei blog nel mondo offline!

The Printed Blog

Al momento sono circa 300 i blog che hanno già dato il permesso di pubblicare il loro articoli (interessante la voce in copertina che dichiara “Printed with explicit permission from each content provider“) e se volete visionare il prodotto, a mio dire, inaspettatamente valido, è possibile scaricare una versione PDF del giornale da leggere sul computer.

L’editoria sperimentale in Italia

In Italia un progetto simile, in pieno clima di editoria innovativa, è stato sviluppato dalla Acacia Edizioni che ha l’intenzione di portare nelle edicole italiane un giornale dal titolo “Social Network Magazine“, in cui gli articoli riguardanti questo nuovo giornale parlano di “uno scorrere continuo di informazioni e di commenti”. Al centro di tutto c’è una tecnologia poco chiara dal nome “WebCode”, un’esclusiva di Dooit, che permette di integrare in maniera univoca e bidirezionale l’informazione stampata con le informazioni in Rete. SN Magazine ha in pratica la più grande redazione del mondo: ogni lettore può proporre un tema e creare il suo team di collaboratori. Sarà poi la sua reputazione on line e il giudizio degli altri lettori della Rete a decretare la sua presenza nell’edizione cartacea.
In questo modo per la prima volta un prodotto editoriale stampato potrà sfruttare tutta la potenza della Rete ed essere sempre e continuamente aggiornato.

Purtroppo, queste sono le uniche notizie, in parte lacunose, su questo progetto editoriale italiano, di cui, però, non sono riuscito a trovare neanche il sito web ufficiale. Da un lato c’è da dire che l’idea, proprio come The Printed Blog, è interessante e coraggiosa, dall’altra parte, è facile capire che gli investitori hanno finalmente capito che possono investire in altri modi sul web, e aprire questo vaso di Pandora, potrà portare benefici o guai, tutto sta a come si saprà sfruttare l’idea e come i lettori giudicheranno il prodotto.

Se pensate, però, che sarebbe bello avere anche in Italia un progetto ambizioso come quello di The Printed Blog, allora dovete sapere che l’esperimento di BlogMagazine si avvicina molto, e forse si è anche ispirato, a questo modello americano. Purtroppo ancora non ne esiste una versione stampabile e non esiste alcuna distribuzione, probabilmente perché il progetto è ancora in fase di sviluppo e, forse, anche perché in Italia in pochi credono in queste realtà. Certo è che, comunque, anche il magazine online proposto dalla directory di blog Liquida, che ogni giorno cataloga centinaia di post da più di 10.000 blog, potrebbe essere di ispirazione per un progetto di un quotidiano cartaceo sulla blogosfera italiana.

Tag:Blog, blog-power, blogosfera, giornali, informazione, PDF, stampa, web, Web 2.0
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Feb 24 2009

Wired Italia Vs BlogMagazine: due riviste a confronto su copertine, grafica, contenuti e quantità di pubblicità presente

Posted by Antonio Troise
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Oggi vi propongo una curiosa comparazione tra due riviste che sono uscite col loro primo numero quasi contemporaneamente: Wired Italia (19 Febbraio 2009) e BlogMagazine (23 Febbraio 2009). La prima, altro non è che la versione italiana della oramai famosa e blasonata Wired americana, la più nota rivista di tecnologia al mondo. La seconda, è, invece, stata partorita dalla fervida e ambiziosa mente di Giuliano Ambrosio autore di Julius Design. Se Wired Italia ha il gravoso compito di portare una voce nuova nel panorama IT italiano fornendo nuove chiavi di lettura nel mondo dell’innovazione e proponendo contenuti che ricalcano l’impostazione di quelli della testata madre americana, adattati comunque alla realtà italiana, BlogMagazine ha, invece, l’onorevole compito di dare voce a tutti gli autori della blogosfera italiana, famosi e non, senza distinzione di sorta se non per la qualità dei contenuti che offrono, candidandosi di fatto a divenire una rivista fatta dai blogger per i blogger!

Presentazione e versioni delle due riviste

Se la rivista di Wired Italia è stata presentata a Milano insieme ad altri blogger per sentire il loro punto di vista, anche BlogMagazine ha avuto il suo momento di celebrità con la presentazione alla FNAC di Torino.

Ma, mentre Wired Italia, è una rivista principalmente cartacea che, però, trova una suo corrispettivo virtuale sul suo sito ufficiale, BlogMagazine, essendo un esperimento di editoria virtuale, che nasce sul web e vive sul web, è principalmente una rivista elettronica fruibile in modalità sfogliabile (2 pagine per volta) in Flash e scaricabile in formato PDF per chi volesse consultarla offline o, magari, per i più arditi, stamparla.

Confronto tra le due copertine

Curioso come entrambe le riviste, per la loro copertina, abbiano optato, oltre ad una scelta di colori molto simile, principalmente in bianco e nero con qualche tocco e sfumatura di blu, anche due personaggi di spicco in base al target e agli obiettivi che si prefiggevano. Wired Italia ha scelto Rita Levi Montalcini: molti hanno criticato questa scelta, ma io credo che abbiano voluto mettere qualcuno che, a furor di popolo, fosse riconosciuta come una mente eccelsa ma con grande classe e stile, proprio quello che si prefigge la rivista che spera di ricalcare il successo editoriale della testata madre americana.

Wired Italia

BlogMagazine, invece, ha scelto qualcuno che fosse noto a tutto il popolo della rete (giovanile e non), e quale personaggio geniale, forse un po’ geek nel suo ambito, ma che avesse carisma da vendere si poteva scegliere se non il Dottor House?

BlogMagazine

In entrambi i casi, però, la scelta è ricaduta su due geni, diversi tra loro ma complementari, proprio come lo sono le due riviste!

Il peso della pubblicità in rapporto al numero delle pagine

Wired Italia costa 4€ mentre BlogMagazine è del tutto gratuita. Ma la cosa più importante, è che la rivista di Wired Italia conta ben 240 pagine di cui ben 80 pagine di pura e fastidiosa pubblicità (le ho contate tutte, pagina più pagina meno, esclusa la pubblicità del copertine), che si infila tra gli articoli interrompendone la continuità visiva e facendo assomigliare la rivista ad una di quelle pubblicazioni da 4 soldi di cui spesso le edicole sono piene. Talvolta ho anche la sensazione che molti articoli altro non siano che pubblicità camuffate, come quella della CANON HF11 a pagina 217 o quello dell’Aspirina C a pagina 236. Gli articoli sono mediamente interessanti, nulla di eccezionale, ma, come al solito (ed è per questo che ho smesso da anni di comprare le riviste in edicola) trovo molto più interessanti e stimolanti le discussioni o gli articoli della blogosfera italiana e internazionale, che, oltre ad essere più aggiornata (come è ovvio che sia) sa anche essere, spesso, molto più profonda.

Di contro BlogMagazine, oltre ad essere del tutto gratuita, conta appena 44 pagine ma con solo 4 pagine di pubblicità (e sono tutti siti di servizi web gratuiti e quindi comunque utili segnalazioni) tutte con un loro spazio a pagina intera ma che non interrompono alcun articolo. Gli articoli sono, anche qui, mediamente interessanti. Nulla di troppo eccezionale, almeno secondo il mio punto di vista che è abituato a leggere e approfondire di tutto sul web, ma ho trovato degno di nota il fatto che sono tutti originali (e quindi richiedono uno sforzo ulteriore per i blogger che li scrivono),rilasciati con licenza Creative Commons e spaziano tra diverse rubriche come Tecnologia, Hi-Tec, SEO, Web, OS, Design, Cinema, Mobile, Console e, perché no, Gossip. Insomma un po’ quello che si ritrova quotidianamente se si gira nella blogosfera italiana!

Confronto tra la grafica delle due riviste

Per quando riguarda la grafica, nonostante BlogMagazine abbia un project design ancora in beta (l’impaginazione è stata fatta con Adobe inDesign), l’ho comunque trovata accattivante e interessante. La stessa cosa devo dire per la rivista cartacea Wired, ma credo che a rovinare la resa grafica sia la onniprensente pubblicità che rende lo stampo editoriale un pochino confuso. Spesso mi è capitato di domandarmi se la pagina seguente era il proseguimento dell’articolo o una pagina pubblicitaria, tanto erano simili nell’impaginazione, nei font, nei colori e nella grafica generale: so che tutto ciò è stato fatto apposta (un po’ come si usa con gli Adsense di Google) ma devo dire che alla lunga risulta fastidioso.

Conclusioni

Di queste comparazioni, sono rimasto davvero impressionato dai numeri sulla pubblicità: su Wired Italia, il 33% esatto delle pagine è costituito da pubblicità (80 su 240), mentre su BlogMagazine, solo il 9% delle pagine (4 su 44) è dedicato alle sponsorizzazione (francamente non so neanche se è pagante). E’ vero che Wired Italia deve assorbire tutti i numerosi costi della distribuzione capillare in Italia (il primo numero ha avuto una tiratura speciale di 250mila copie), pagare fior fiore di giornalisti e curare al dettaglio la grafica della rivista, è vero che il costo di 4€ non è tra i più alti, è anche vero che facendo un abbonamento biennale si risparmia oltre l’80% (24 numeri a 19€), ma è anche vero che ho fatto molta fatica a leggere l’ingombrante rivista.

In definitiva, sicuramente BlogMagazine continuerò a seguirlo: è gratuito, facilmente reperibile su internet (e magari consultabile anche dal mio iPod Touch) e spero che migliori sempre di più. Altrettanto non posso dire di Wired Italia: forse gli darò una seconda opportunità col secondo numero, anche se devo ammettere che trovo più facile leggere una pubblicazione in PDF, anche voluminosa, piuttosto che una cartacea (se si esclude il gusto di leggere un bel libro).

Cosa ne pensano i blogger di Wired Italia

Questo era il mio punto di vista. Ma ecco cosa ne pensano alcuni blogger italiani della rivista Wired Italia (BlogMagazine è stata annunciata al grande pubblico ieri 23 Febbraio e quindi non ho trovato molte testimonianze in rete).

Andrea Beggi

[…] anche se non dice nulla di nuovo per coloro che bazzicano da queste parti da un po’.
Ma più di tutto mi ha fatto riflettere il fatto che sia il primo giornale di carta che compro da, boh, saranno 2 anni. Leggere riviste su carta è scomodo, sono troppo grosse per il letto e ormai il tempo in bagno lo uso per tenermi in pari con i feed. E poi mancano i link da cliccare.

Marco Mazzei:

Ma a parte questo, e a parte un certo fastidio per il richiamo a quel giornale più che mitico, Wired Italia non mi convince soprattutto perché dopo averlo sfogliato e letto mi si è materializzato un enorme punto di domanda sulla testa: e quindi? Che cosa mi vuoi dire?
Ma su tutto: questa sensazione di eccesso. Troppe cose, troppo confuse, molto rumore e pochissimo segnale. Aspetto con simpatia il prossimo numero.

Dario Salvelli

Mi aspetto poi tanto e di più dal sito web che in fin dei conti esteticamente non è malaccio ma deve proporre contenuti originali e validi […] Inoltre, negli articoli del sito non ci sono link verso l’esterno: Wired non può fare come Il Corriere e La Repubblica.

Vikkor

240 coloratissime patinatissime pagine imbottite di pubblicità; euro 4

Napolux (da un commento):

Comunque a me Wired Italia puzza di buco nell’acqua, e non da oggi. Come fai a lanciare una rivista tecnologica nel 2009 ancora su carta?

UPDATE: Ho letto una critica a Wired di un blogger di Fantascienza.com… gli ultimi numeri della rivista non li ho più comprati e comunque vedo che per molti è ancora una grande occasione fallita. Un altro punto di vista.

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Feb 19 2009

La psicologia della ricorrenza numerica: 1234567890 Day, il Bug del 2038 e altre celebrazioni numeriche

Posted by Antonio Troise
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Alle ore 3:31:30 PM dello scorso venerdi 13 febbraio 2009 (in Italia, a causa del fuso orario, erano le 00:31:30 del 14 Febbraio 2009), l’orologio interno dei sistemi Unix (e quindi anche Mac OS X) ha raggiunto il valore, non indifferente, di 1234567890 secondi. Infatti, come è noto, nei sistemi operativi Unix e Unix-like il tempo viene rappresentato come offset in secondi rispetto alla mezzanotte (UTC) del 1º gennaio 1970 (definita epoca o Epoch Time). Quindi, contando il tempo a partire dall’Epoch Time ad oggi sono appunto passati 1.234.567.890 secondi. Questo tipo di rappresentazione ha il vantaggio che, oltre che ad essere compatta, è indipendente dai fusi orari, ed è quindi direttamente confrontabile anche tra calcolatori situati a grandi distanze geografiche tra loro, ed evita di dover effettuare aggiustamenti nel caso ad esempio di dati trasmessi da un fuso orario all’altro. L’unico svantaggio è che, per averne una rappresentazione sotto forma di data e ora locali, è necessario effettuare una conversione (sempre comunque lasciata al sistema operativo).

1234567890 Day

Sebbene, questo evento non abbia nulla di realmente universale (è stato un convenzione comune decidere di iniziare a far scandire arbitrariamente l’orologio interno del cuore dei sistemi operativi Unix dalla data del 1970, ma c’è chi nota come lo scandire dell’Epoch Time sia approssimativamente vicina allo sbarco sulla Luna), l’evento ha suscitato un valore mediatico minimo, ma, al contempo, ha coinvolto i geek più puri di tutto il mondo (dai syadmin ai consulenti IT fino ad arrivare al semplice appassionato di Linux), in una maniera che solo internet può regalare con la versione geek del capodanno dell’anno 2000.

Infatti, questa curiosa ricorrenza ha visto persino dei festeggiamenti “ufficiali” da parte di gruppi di utenza e di programmazione in tutto il mondo. Il sito che ha raccolto tutti questi eventi è stato 1234567890day.com con tanto di countdown in homepage, anche se, per la verità, per molti questa ricorrenza altro non era che una scusa per organizzare una vera e propria rimpatriata di amici amanti del pinguino.

La celebrazione di questo particolare evento è stata pianificata in diverse città di tutto il mondo (San Francisco, Vancouver, Seattle, Los Angeles, Nairobi, Vienna, Copenaghen, Budapest, Croazia, etc … ovviamente è mancata una località italiana).

Geek Party

Per chi, comunque, non era riuscito a festeggiare questa singolarità numerica in compagnia, non è mancato il supporto di Digg (con oltre 5005 diggs) e di Twitter che ha unito centinaia di followers (423 per l’appunto) uniti nei festeggiamenti davanti al proprio monitor, magari supportati dalla Desk clock from ThinkGeek, una sveglia capace di visualizzare la data e l’ora in diversi formati, tra cui, oltre quello standard, anche Esadecimale, Ottale, Binario, a Numeri Romani e, ovviamente, nel formato Unix Epoch Time.

Think Geek Clock

In alternativa, il sito Cool Epoch Countdown ha fornito, e fornisce tuttora, in tempo reale lo scandire del tempo in Unix Time.

Se questi festeggiamenti vi sono sembrati assurdi, allora dovete sapere che le frasi più ricorrenti che giravano sulla blogosfera fino a qualche giorno primo, erano tutte di genere apocalittico, come questa:

It’s The End Of The World As We Know It!
There’s a fairly good chance the world is going to end tomorrow…at least the world of Unix

Ovviamente, quando si tratta di cose strane, anche Google ci mette lo zampino e per festeggiare il 1234567890 Day, Google ha proposto uno dei suoi Doodle riportante la scritta

$ date +%s …
1234567890

Google 1234567890 Day

Per i non addetti ai lavori, “date +%s” è il comando da lanciare sul vostro terminale linux/unix like/mac os x per vedere visualizzata la data nel formato unix time. Per sapere a che ora e che giorno corrisponde una particolare data in unix time, è sufficiente lanciare questo script in Perl (ma potete anche visitare uno dei tanti siti di conversione data/unix time):

perl -e ‘print scalar localtime(1234567890),”\n”;’
Sat Feb 14 00:31:30 2009

Altre celebrazioni numeriche create ad hoc

E se nel lontano 09 Settembre 2001 (2001-09-09T01:46:40Z) si sono festeggiati a Copenhagen in Danimarca (presso il DKUUG), il primo 1.000.000.000 di secondi, allora vi farà piacere che che nel lontano 18 Maggio 2033 alle ore 03:33:20, ricorrerà la celebrazione del Secondo Billenium: 2000000000!

perl -e ‘print scalar localtime(2000000000),”\n”;’
Wed May 18 05:33:20 2033

La cosa buffa è che, giocando con questo piccolo script in Perl, ho scoperto che il 9 Agosto del 2005, è ricorso il Fibonacci Day dei sistemi Unix (ho sostituito la data in unix time con la Successione di Fibonacci, escluso lo zero iniziale, 1123581321):

perl -e ‘print scalar localtime(1123581321),”\n”;’
Tue Aug 9 11:55:21 2005

ma nessuno ne ha mai parlato (o sbaglio?). Forse era una ricorrenza da geek matematici, una specie ancora più rara dei normali geek!

Continuando, possiamo notare che, il 14 Novembre del 2014, si potrebbe festeggiare il Pi Greco Decimal Day per i sistemi Unix (prendendo in esame la prima parte decimale del pi greco):

perl -e ‘print scalar localtime(1415926535),”\n”;’
Fri Nov 14 01:55:35 2014

Come vedete, i motivi per festeggiare ce ne saranno molti ed è tutto frutto della psicologia della ricorrenza numerica. Un comportamento tutto tipico dell’essere umano, che si è dimostrato in tutta la sua potenza mediatica nell’anno 2000 (amplificato poi anche dal famoso Millennium Bug). Per l’uomo tutte le ricorrenze numeriche sono sempre affascinanti, come quando si prendono le misure della Piramide di Cheope della piana di Giza in Egitto e si scopre che dividendo il perimetro della Piramide per il doppio dell’altezza si ottiene un valore molto simile al pi-greco. O quando Joseph Seiss, un ecclesiastico americano, scrisse che le pietre della Piramide contenevano un sistema di numeri che indicavano misure, pesi, angoli, temperature, gradi, problemi geometrici e rilevamenti cosmici. Seiss fu sorpreso dalla ricorrente presenza nei suoi calcoli del numero 5!

E che dire della sequenza numerica 4 – 8 – 15 – 16 – 23 – 42, nota come Equazione di Valenzetti, che la DHARMA, nel mondo immaginario del serial televisivo Lost, aveva il compito di modificare per evitare la fine dell’umanità. In poco tempo finzione e realtà si sono fusi insieme, girando per internet e assumendo connotazioni di quasi-realtà.

Ovviamente alcune ricorrenze numeriche sono talmente singolari che appaiono dare un significato agli eventi più strani, dando una sorta di potere ai numeri che si trasformano in elementi cabalo-matematici.

Il Bug del 2038

Ma vi è un’altra data che i programmatori di tutto il mondo stanno aspettando, questa volta, con grande paura (come quella del Millennium Bug): è il 19 gennaio 2038 alle ore 03:14:07 AM. Dopo questo momento, il contatore supererebbe il valore massimo, e verrebbe considerato come un numero negativo. I computer leggeranno la data non come 2038 ma come 1901 (precisamente, le 20:45:52 di venerdì 13 dicembre 1901) causando errori di calcolo!

Il problema è noto da tempo a tutti e la causa del bug informatico dell’anno 2038 (“Year 2038” è chiamato anche “Y2038”, “Y2K38”, o “Y2.038K” nel linguaggio specialistico) è da imputarsi all’architettura a 32 bit di molte macchine unix attualmente esistenti che usano, come spiegato prima, la rappresentazione POSIX per calcolare il tempo (partendo dal numero di secondi a partire dal 1 gennaio 1970). Questo tipo di sistema è lo standard per i sistemi Unix, e colpisce anche software per altri sistemi operativi che siano stati sviluppati in C. Sulla maggior parte dei sistemi a 32 bit il valore del dato time_t usato per questo calcolo è un numero intero a 32 bit di tipo signed.

Infatti, se un programmatore crea una variabile di tipologia intero segnato per memorizzare un valore numerico, questo può essere come minimo -2147483648 e come massimo 2147483647. Un numero molto grande, ma che diventa un valore piccolissimo se lo trasformiamo in secondi. In 32 bit, infatti, ci stanno appena 136 anni! Usando questo sistema, la data più avanzata rappresentabile a partire dalle 00:00:00 del 1/1/1970 sono le 03:14:07 di giovedì 19/01/2038!

La cosa interessante è che il mondo POSIX comprende, oltre ai sistemi operativi derivati dal sistema UNIX (GNU/Linux, BSD, Solaris, Mac OS X), anche tutti i protocolli di rete UNIX style (http, ftp, etc). In parole povere, se le previsioni nefaste degli addetti ai lavori si avverassero, sarebbe anche la fine di internet (che funziona grazie a protocolli Unix) e dei principali server del globo (che utilizzano sistemi operativi derivati da Unix). Dopo quel secondo saremo proiettati nel 13 dicembre 1901 alle 20:45. Sicuramente questo sarà un problema da gestire da qui ai prossimi anni e richiederà un cambio epocale nella gestione del tempo e di tutto il resto nei sistemi Unix. In teoria la soluzione è semplice e già disponibile, e consiste nell’usare solo sistemi a 64 bit, come il 99% dei processori in commercio attualmente. Infatti, nei sistemi a 32 bit il limite massimo di un intero è (2^32) – 1, mentre in quelli a 64 bit è (2^64) – 1.

Come denunciato anche dal sito ufficiale, 2038bug.com, però, l’errore comune è quello di credere che il problema verrà risolto con la semplice adozione dei 64 bit, non considerando che i molti strumenti che utilizzano sistemi embedded (forni a microonde, ascensori, orologi da polso, ecc.), sono ancora a 8/16 bit e che molti database utilizzano, per i propri campi data, dei Timestamp a 32 bit.

Un aspetto curioso di questa faccenda è che su questo bug del 2038 è stata costruita la storia di John Titor, un fantomatico uomo del futuro (2036) tornato nel 1975 per recuperare un esemplare di IBM 5100 come sorta di moderna Stele di Rosetta, poiché sarebbe l’unica macchina capace di risolvere il bug che sconvolgerebbe il mondo.

Interessante come, anche in questo caso, Google ci abbia messo lo zampino, perché i più attenti avranno scoperto che la data di scadenza dei cookie di Google è il 17 gennaio 2038, due giorni prima della fine dell’Unix Epoch (solo dopo questa data il browser può procedere all’eliminazione dei dati contenuti nel cookie stesso).

Ovviamente c’è anche chi, per celebrare l’evento, ha iniziato vendere magliette con la fine dell’Unix Epoch, ma anche tazze e mousepad per ricordarvi che, la fine dei sistemi operativi come voi li conoscete, è vicina!

T-Shirt Epoch Time

Se invece, volete verificare se il vostro sistema è immune o meno da questo bug, ecco il codice C da compilare:

Questo semplice esempio in C mostra come l’aggiunta di un solo secondo al Timestamp ”Tue Jan 19 03:14:07 2038” lo tramuti in un sinistro venerdì 13 dicembre 1901. Quindi, se il vostro sistema è a 32 bit, dovrebbe produrre questo risultato:

1000000000, Sun Sep 9 01:46:40 2001
2147483647, Tue Jan 19 03:14:07 2038
-2147483648, Fri Dec 13 20:45:52 1901

Ecco una simulazione di quello che accadrebbe nel 2038 ai sistemi unix a 32 bit:

Y2038 Bug Simulation

UPDATE: Ho appena scoperto che molti geek matematici festeggiano la giornata della radice quadrata che viene celebrata nella data in cui, sia il giorno che il mese, risultano essere la radice delle ultime due cifre dell’anno. L’ultima festività è occorsa il 03 Marzo 2009 (3/3/09 Square Root Day), ma beccare la radice giusta non è facile come sembra (sembra che capiti solo 9 volte in un secolo). Se vogliamo continuare a dare i numeri, l’ultimo giorno papabile prima di questo è stato infatti il due febbraio del 2004, che casualmente coincideva con il ‘giorno della marmotta’ americano. Per festeggiare di nuovo dovremo aspettare ben sette anni, esattamente il quattro aprile del 2016. Il primo a celebrare questo evento è stato, nella lontana radice dell’81, Ron Gordon.

Tag:2038, 42, blogosfera, bug, digg, fibonacci, geek, Google, Linux, lost, mac, perl, pi-greco, titor, twitter, unix
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Lug 29 2008

Bloggare può potenziare la creatività, l’intuito e il ragionamento per associazioni e rende chi lo apre, oltre che felice, anche un miglior pensatore

Posted by Antonio Troise
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Blog Happyness Avere un blog rende felici e sostanzialmente migliora la vita del blogger: ad affermarlo è uno studio condotto dal ricercatore James Baker dell’università australiana di Swinburne, che ha dimostrato che dopo due mesi di attività su un social network, dalla semplice richiesta di amicizia allo scambio di video, tutti gli utenti si sentono meno ansiosi e depressi ma, in particolare, quelli che hanno affiancato a queste attività quelle del blogging vivono meglio anche le relazioni fuori dal web. In pratica, chi aveva deciso di tenere un blog si sentiva socialmente inserito e più soddisfatto delle relazioni sociali e delle amicizie anche fuori dal web rispetto a quelli che non avevano aperto un blog. In tutti i casi analizzati, blogger o meno, gli utenti si sentivano comunque meno ansiosi, depressi e stressati.

Gli studiosi hanno concluso che tenere un blog è come scrivere un diario che aiuta le persone a esternare le proprie emozioni e a parlare dei propri sentimenti e problemi. La differenza con i diari cartacei sta però nel fatto che quelli online sono a carattere pubblico e invitano quindi gli altri a lasciare un’opinione su quello che leggono.

Un blogger migliora la sua capacità di pensare

Ma, tra gli innumerevoli vantaggi nell’avere un blog, pare vi sia anche quello di rendere, chi lo apre, un miglior pensatore!
Per arrivare a queste conclusioni gli studiosi sono partiti dalla constatazione che le attività mentali dell’uomo possono causare dei cambiamenti nella struttura del cervello, non solo rispetto a ciò a che si pensa ma anche a come si pensa. Ecco dunque che il blog è stato preso ad esempio come una nuova attività fondamentale del comportamento umano che potrebbe cambiare radicalmente la maniera di pensare delle persone fino a concludere che bloggare può potenziare la creatività, l’intuito e il ragionamento per associazioni. La facilità con cui chiunque può pubblicare un blog online promuoverebbe dunque connessioni spontanee e accrescerebbe la creatività. I neurologi hanno inoltre concluso che i diari online migliorerebbero il pensiero critico e analitico anche solo perché, essendo ricchi di idee, informazioni e opinioni, facilitano lo scambio di pareri, il confronto e l’analisi.

Riflessioni sul blogger che c’è in me

Se è vero che, come sosteneva il New York Times in una recente inchiesta sui pericoli del blogging, postare quotidianamente notizie sempre fresche e nuove potrebbe fare male alla salute, e che, come noto, seguire tutti i giorni centinaia di feed rss, può, a lungo andare, stressare la propria vita di blogger (che si vede rubare il tempo che altrimenti potrebbe passare all’aria aperta), devo ammettere, che da quando ho aperto questo blog, ho potuto assistire in me delle trasformazioni di pensiero che prima non immaginavo e ho acuito e migliorato certe mie caratteristiche che sottovalutavo. Se i primi articoli erano poco profondi e non molto originali, ad oggi mi ritrovo a scrivere post di approfondimento che, mi coinvolgono e mi appagano, scrivendoli solo per il gusto personale. Ad oggi, in effetti, mi sento meno superficiale di un tempo: sarà anche che il vantaggio di essere cresciuto, ma credo di essere notevolmente più maturo di prima. Inoltre, come è accaduto a molto, ho instaurato una certa cerchia di amici che seguo costantemente e contatto, a volte, anche nella vita reale.

E voi, amici blogger, cosa ne pensate? Siete più felici da quando avete iniziato a bloggare?

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Lug 25 2008

Quando le idee buone falliscono perché troppo rivoluzionarie: il caso di OpenServing

Posted by Antonio Troise
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Oggi stavo cercando informazioni su OpenServing perché ero alla ricerca di un servizio dalle sue caratteristiche: un blog collaborativo che estendeva il modello di informazione Open source e dal contenuto Creative Commons al Social Media, facendo propri i concetti di network collaborativo e di autorevolezza dei post di Digg.

OpenServing, basato su una versione light di MediaWiki (la piattaforma Open-Source dietro Wikipedia), era nato il 12 Dicembre 2006 da una costola di Wikia, una compagnia fondata da Jimmy Wales, che offre gratuitamente hosting per ospitare wiki.

OpenServing

OpenServing era, in sintesi, un mix di diversi siti di social network, che cercava di trarre il meglio da tutti. Nello specifico, una volta creato il proprio wiki (del tipo tuonome.openserving.com) era possibile:

  1. creare, perfezionare e mantenere contenuti come in Wikipedia
  2. Votare per gradimento, come si fa in Digg. OpenServe si affida ad un sistema di voto: piuttosto che una selezione da parte del singolo autore, è la community a votare.
  3. Commentare, come si fa nei vari forum e nei blog
  4. Ogni commento viene a sua volta valutato e votato, come in OkNotizie. Mentre di solito è il webmaster ad essere responsabile del processo di filtro dello spam e dei commenti, qui il compito è nelle mani della community. Proprio come le ‘opinioni’, anche i commenti possono essere votati. In questo modo, i migliori commenti salgono e quelli meno interessanti scendono.
  5. Gli articoli più votati vengono mantenuti nella home page

Era questa miscela di combinazioni che mi aveva incuriosito per un mio progetto; se ci si mette, poi, che i guadagni pubblicitari pay-per-click attraverso gli Adsense Google andavano al 100% alla community e che i costi di banda e di spazio di storage, per creare e mantenere la community, erano totalmente gratis, si capisce bene perché questo progetto mi incuriosiva.

Probabilmente, però, questo modello di business era troppo filantropico, e a Gennaio 2008 OpenServing ha chiuso i battenti (tanto che, ad oggi, il sito non è più raggiungibile):

Openserving was a short-lived Web publishing project owned by Wikia, founded on December 12, 2006, and abandoned in January 2008.
It is assumed that Wikia’s professional management team members decided that they would not profit from Openserving’s laboring contributors, so there was no longer an incentive to maintain the space.

Quelli di Wikia suggeriscono di usare, al posto di OpenServing, MyWikiBiz.com, che, però, secondo me nulla ha a che vedere con il progetto originale.

E’ un vero peccato che i suoi creatori non abbiano creduto in questo servizio, che dire rivoluzionario è poco; probabilmente, forse, non è stato neanche riconosciuto come tale dai media e dagli internauti. Forse era qualcosa che anticipava i tempi di un web 2.0 che era ormai prossimo al web 3.0.
Sta di fatto che, secondo la mia personale opinione, è stata persa una occasione per fare e vedere qualcosa di nuovo.

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Lug 10 2008

Confronto tra gli archivi storici gratuiti dei giornali online di Repubblica, Il Corriere e La Stampa. La babele dell’informazione digitale che salverà il web!

Posted by Antonio Troise
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Anni fa, quando ci fu l’avvento delle prime testate giornalistiche sul web, tutti gli archivi storici degli articoli pubblicati online erano sempre disponibili a tutti tramite una comoda funzione di ricerca. Ma da quando si scoprì che con gli articoli passati ci si poteva ancora guadagnare (quanti giornalisti freelance o editorialisti o scrittori hanno bisogno di una memoria storica affidabile come quella di un giornale) tutti i giornali pubblicati anche online avevano iniziato a tirare i remi in barca limitando l’acceso ai soli ultimi articoli e precludendo la possibilità di ricerca senza limiti di una notizia sui loro siti istituzionali. Questa situazione perdurò per diversi anni sinché, forse consci del fatto che, alla fine, i guadagni non erano poi così tanti come ci si immaginava inizialmente, le maggiori testate giornalistiche italiane iniziarono a mettere a disposizione tutti gli archivi storici delle notizie da loro pubblicate. Il bello era che, appena il primo iniziò, dato il grande effetto mediatico che produsse sul web e sulla blogosfera, che funge quasi sempre da efficiente cassa di risonanza, tutti gli altri giornali seguirono in cascata la nuova filosofia.

Il Corriere apre il suo archivio fino all’edizione del 1992

Ad iniziare fu il Corriere, il sito online della testata giornalistica Il Corriere della Sera, che l’8 Febbraio 2008, con un comunicato stampa, aprì ai lettori l’intero suo archivio storico. Il nuovo servizio, disponibile all’indirizzo archiviostorico.corriere.it, permette di accedere gratuitamente ad un patrimonio informativo di 1.300.000 articoli comparsi sul quotidiano a partire dal 2 gennaio 1992 ad oggi. Un archivio dinamico nel quale è possibile cercare per parole chiave, per data, per autore. I risultati possono essere ordinati sia per data sia per rilevanza. Un software permette inoltre di sapere in tempo reale quali sono le parole più ricercate negli ultimi 30 giorni: un «termometro» degli interessi dei lettori.

Repubblica apre il suo archivio fino all’edizione del 1984

Insomma, il caso del Corriere, il primo quotidiano online che permise la consultazione gratuita in forma testuale di tutto l’archivio storico (lasciando comunque una parte a pagamento per l’edizione cartacea in pdf) fece da motore di propulsione per le altre testate giornalistiche, tanto che, a distanza di 2 mesi, il 24 Aprile 2008, anche Repubblica, annunciandolo con un comunicato ufficiale, mise a disposizione gratuitamente online il suo archivio storico fino all’edizione del 1984. L’archivio è fruibile tramite un nuovo motore di ricerca (realizzato da Kataweb) che appare sulle homepage di tutti i siti del gruppo Espresso (di cui Repubblica appunto fa parte) e che permette ai navigatori di “frugare” gratuitamente tra gli articoli, i reportage e i commenti comparsi su circa novemila numeri del giornale, ma anche di cercare tra le migliaia di gallerie fotografiche e di video provenienti dalle pagine di Repubblica.it, da Repubblica tv e dagli altri siti collegati.

La Stampa apre il suo archivio fino all’edizione del 1867

Finalmente arriviamo ai giorni nostri, quando, ancora a distanza di 2 mesi dalla novità di Repubblica, il 5 Giugno 2008, anche La Stampa, seguendo a ruota altre iniziativi editoriali simili, con l’ennesimo comunicato ufficiale, annuncia che dal prossimo anno, più precisamente dall’autunno del 2009, renderà accessibile a tutti gratuitamente tutto il suo archivio storico. A differenza, però, del Corriere e di Repubblica, e che in parte giustifica questo notevole ritardo, il suo l’archivio avrà quasi 150 anni di storia, dalle prime edizioni della Gazzetta Piemontese (il nome con cui il quotidiano esordì il 9 febbraio del 1867) alle testate La Nuova Stampa e Stampa Sera fino al giornale attuale. In pratica, stiamo parlando, di circa due milioni di pagine, oltre cinque milioni di articoli di giornale e 4,5 milioni di immagini tra fotografie e negativi!

Al mondo esistono altri due progetti simili, che annoverano un così grande arco di tempo: l’archivio del Times di Londra e quello del New York Times. La Stampa, però, hanno spiegato i promotori dell’iniziativa, si distingue perché l’accesso alla memoria storica sarà libero e gratuito.

La babele dell’informazione digitale che salverà il web

Purtroppo, come noto, il web, in questi anni, sta vivendo un periodo di demonizzazione tipico di ogni cosa nuova e non molto conosciuta. Si tende facilmente a colpevolizzare un mezzo che sinora ha fatto più bene che male: dai video di bullismo messi su Youtube al pericolo delle chat. In realtà il web non è nient’altro che una espressione di noi stessi e in quanto tale riflette tutte le nostre caratteristiche positive e negative che siano.

Ed è in questa ottica che la creazione di questa babele digitale dell’informazione giornalistica, assume un ruolo importante per la sopravvivenza del web stesso, perché si tratta indubbiamente di un patrimonio culturale di immenso valore, messo a disposizione di tutti del tutto gratuitamente: dal semplice studente, al ricercatore, fino ad arrivare al navigatore curioso. Ed è quello che internet, per la sua natura stessa, tende a creare. Perché si sa, il web ha una memoria infallibile, non dimentica nulla e tutto quello che viene inserito resta nella Rete a futura memoria, per l’eternità! Ma se questa memoria viene usata per i giusti scopi, allora forse anche il web potrà essere visto, capito e percepito diversamente!

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Lug 3 2008

Il punto della situazione sulle droghe virtuali nei file audio e spiegazione sull’origine del software I-Doser e dei file DRG

Posted by Antonio Troise
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Twilight Zone Ricordo un episodio della serie di fantascienza “Ai Confini della Realtà” in cui gli alieni riescono a trasmettere per radio un segnale subliminale in grado di condizionare il genere umano, tanto da riuscire a modificare il suo DNA e trasformarlo, nel giro di pochi giorni, in una sorta di armadillo pseudo-umano. Lo scopo, si scopre alla fine dell’episodio, è quello di rendere l’umanità in grado di resistere alla radiazioni nucleari di una prossima Terza Guerra Mondiale, garantendo così la sopravvivenza della civiltà sulla Terra. Curiosamente è stato proprio a questo episodio che ho pensato quando il 1 Luglio, ho sentito al TGCOM, la notizia del I-Doser, la droga virtuale che si aggira nei file mp3.
Devo dire, però che, oltre a credere di stare vivendo in un racconto di fantascienza (nel cinema troviamo anche altri esempi, da Morte a 33 giri a Nirvana, in cui il protagonista Jimi Dini è un programmatore che per sbarcare i lunario spaccia anche programmi droghe), ho subodorato il solito allarmismo tipico dei giornalisti nei confronti di internet.

Se siete soliti andare nelle librerie, ogni tanto forse vi sarà potuto capitare di imbattervi in qualche CD New Age che è in grado di farvi rilassare in pochi minuti sfruttando qualche particolare frequenza sonora (battiti binaurali) che interagisce direttamente col nostro cervello, per favorire la meditazione, il sonno o curare il mal di testa. Ma non pensavo che l’ingegneria del suono fosse giunta al punto di creare addirittura delle droghe virtuali. Ma sarà tutta verità o forse è stata condita con troppi elementi creativi?

Le prime notizie

Il TGCOM asserisce che:

Il fenomeno si chiama I-Doser ed è nato negli Stati Uniti e sta sbancando in Europa, dove ha attecchito soprattutto in Spagna, per poi diffondersi in modo rapido anche negli altri paesi. Italia compresa.

Il problema è che nessuno dei miei amici e conoscenti era a conoscenza di questa particolare droga virtuale. Ma neanche i cibernauti della blogosfera, sempre informata di tutto, ne era al corrente. E ciò risulta strano, perché, di solito, se una cosa funziona, sul web ci mette 5 minuti a fare il giro del mondo, anche grazie a canali P2P. Ma anche se nel canali di file sharing è possibile trovare i file per i-Doser, perché nessuno ne ha mai parlato prima? E se era un fenomeno nascosto nei bassifondi di internet, perché parlarne su un telegiornale a diffusione nazionale, tanto da contribuire a diffondere la notizia in pochi giorni? Se il fenomeno è reale ma ancora relegato a pochi, perché parlarne così apertamente mettendo in pericolo i giovani che, si sa, sono curiosi e sicuramente saranno andati a scaricarsi qualche demo di dose?

Le prime apparizioni di I-Doser

Dalle mie ricerche ho scoperto che per esempio, su Yahoo! Answers se ne è parlato circa 3 mesi fa, ma il fenomeno si era fermato li. Su Youtube compare qualche video, presumo tutti frutto di messe in scena, e nel frattempo qualche sito di riferimento era nato, a partire da quello ufficiale in inglese I-Doser.com fino ad arrivare ai nostrani TarantoHipHop e NonApriteQuelPortale, che hanno tentato di spiegare il meccanismo dell’I-Doser.
Ma diciamoci la verità, se non si conosceva il termine, era quasi impossibile venirne a conoscenza!

Oggi, invece, tutti i maggiori quotidiani nazionali ne parlano apertamente, ovviamente copiandosi l’un l’altro, Il Messaggero, Il Tempo, il Corriere della Sera, Panorama e La Stampa.
E questi sono solo alcuni giornali, per non parlare poi della Blogosfera che ha fatto rimbalzare la notizia su più fronti e, più saggiamente della controparte mediatica, è molto più scettica delle conclusioni dei media!

Il principio di funzionamento di I-Doser

Tutti segnalano che l’allarme è stato lanciato dal GAT il Nucleo Speciale Frodi Telematiche della Guardia di Finanza, che ha scoperto la novità nei blog e nei forum dove i giovani si scambiano informazioni (forse è stata colpa di quel tizio che su Yahoo! Answers ha chiesto informazioni?)

Le nuove cyber droghe, infatti, sono normali file in mp3 (in realtà sono file GDR). “Agiscono sulle onde a bassa frequenza – ci spiega il colonnello del GAT Umberto Rapetto – soprattutto quelle che vanno dai 3 ai 30 hertz, ossia le frequenze della fascia di lavoro del cervello.
L’orecchio assorbe questi suoni che non riesce a distinguere e che, nella maggior parte dei casi, sono mescolati a musiche psichedeliche“.
Proprio perchè gioca con diverse lunghezze d’onda e perchè fatto di suoni impercettibili, se ascoltati da un solo orecchio, i file non producono alcun effetto. Di qui la necessità delle cuffie.

[…]

Per ora non è stato accertato quali danni possa arrecare la cyber-droga, nè se dia dipendenza. “Il fenomeno è agli albori”, afferma Rapetto. “Chi diffonde i file sostiene che non ci siano effetti collaterali, che le dosi provocano delle semplici sbornie, ma è bene che a stabilirlo siano i medici.

Ma come funzionano queste droghe virtuali? Una spiegazione semplice ci arriva dal solito sempre informato Paolo Attivissimo che ci spiega che:

Si tratta di binaural beat: due suoni, a frequenze udibili e riproducibili dalle cuffie normali, e leggermente differenti l’uno dall’altro come frequenza: per esempio, uno è a 300 Hz e l’altro è a 307. Ascoltati in cuffia, in modo che uno solo dei due suoni raggiunga ciascun orecchio, producono un terzo suono per battimento.
Per fare un paragone stiracchiato, è come se vi arrivasse un MI in un orecchio e un FA nell’altro e il vostro cervello generasse una nota che è la differenza fra il MI e il FA.

Secondo un’altra fonte sembra che:

Il sistema funziona sulla base dei cosiddetti ‘battiti binaurali‘ (dall’inglese: binaural beats) sperimentati sul cervello negli anni Settanta dal dr. Gerald Oster alla clinica newyorkese Mount Sinai, e che consistono nell’applicare frequenze herziane diverse ai due orecchi per stimolare il cervello a seconda della loro intensita‘. Le frequenze cerebrali vanno da 1 a 4 Hz per il livello Delta, quello del sonno profondo, fino ad un massimo di 30Hz allo stato vigile che corrisponde alla frequenza Beta, passando per Theta e Alfa, uno stato quest’ultimo di semiveglia usato nei sistemi di Controllo Mentale perche’ consente di sincronizzare i due emisferi potenziando l’attivita’ cerebrale.
Le ‘dosi’ proposte da I-Doser si ottengono applicando, con auricolari, alte frequenze asincrone ai due orecchi, per esempio 500 e 510 Hz rispettivamente, causando nel cervello un tono di 10 Hz cioe’ in pieno livello Alfa e favorendo cosi’ gli effetti di alterazione della percezione.

L’origine del software I-Doser e cosa sono i file DRG?

Tutti hanno parlato del I-Doser fino allo sfinimento ma non tutti conoscono bene quale sia la sua origine. Dovete infatti sapere che I-Doser altro non è che un rip di un programma Open Source (GNU GPL v2) chiamato Sbagen in grado di generare onde sonore per il cervello (Brain-Wave generating) capace di rilassare l’individuo che le ascolta. Questa applicazione usa dei preset file con estensione .SBG che possono essere suonati e registrati come file WAV.
Ovviamente dire che sono file MP3 è errato perché, proprio per la natura stessa del formato di compressione audio, usare dei file MP3 significherebbe tagliare la banda di frequenza usata per generare quei fantomatici effetti di cui tutti parlano.

Quello che dovete sapere, quindi, è che la società che ha creato I-Doser altro non ha fatto che rifarsi al modello del software Sbagen e, per evitare che chiunque potesse ascoltare più volte la stessa “droga”, hanno creato un preset file di tipo DRG, che altro non è che un file .SBG criptato e contenente anche uno screenshot e le informazioni sul contenuto della dose! Questo file, di solito, viene venduto ad un prezzo di 5-10 euro, dura circa 45 minuti e, nelle intenzioni dei suo creatori, si può ascoltare una sola volta (appunto come una droga), costringendovi, per ripetere l’esperienza, a ricomprare più volte le dosi.

In realtà, come spesso accade per tutto ciò che ha lucchetti digitali, prima o poi, qualcuno è riuscito a sbloccare le limitazioni dei software e, per questo, è facile trovare versioni craccate di I-Doser e delle dosi ascoltabili senza limitazioni, grazie anche all’ausilio del software open source Sbagen.

E’ solo suggestione come nei placebo?

Con questo articolo non invito nessuno a provare questa “esperienza” perché, oltre a non credere ai fantomatici effetti psicotropi, ho dei seri dubbi sulla effettiva non pericolosità di un ascolto cacofonico di lunga durata (una sessione, ricordiamo, dura circa 45 minuti) sia sull’udito che sul cervello umano.

Comunque, la maggior parte di chi li ha scaricati e ascoltati in cuffia, non ha percepito alcun effetto psicotropo, se non quello di una notevole irritazione (in gergo tecnico, orchiclastia), perché non è musica ma solo rumore fastidiosissimo.

C’è chi asserisce che tutto dipende dalla sensibilità alle onde binaurali della singola persona ma io sospetto che, semplicemente, dipenda dal grado di suggestionabilità individuale. Come nell’effetto placebo, credo che chi ascolta questo rumore di fondo, vedendo il nome della droga, si autosuggestioni e, magari, un semplice cerchio alla testa o uno stato confusionario prodotto dal rumore cacofonico, viene facilmente attribuito al effetto specifico della droga virtuale!

UPDATE: Il programma Le Iene è tornato sulla faccenda con un test pratico condotto su un gruppo di studenti e con un’intervista a Michelangelo Iannone, ricercatore del CNR.
Il lavoro delle Iene lascia ben poco spazio a dubbi sulla natura di quest’allarme gonfiato acriticamente dai media. Se i giudizi di Iannone sono lapidari, quelli degli studenti sono tombali. Il servizio è consultabile su Internet. (via attivissimo)

Tag:blogosfera, compressione, drg, fantascienza, i-doser, mp3, Musica, opensource, p2p, Radio, scienza, Software
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Mag 5 2008

Quando dalla blogosfera nasce una canzone dedicata all’addio di BlogBabel sulle note di A Te di Jovanotti

Posted by Antonio Troise
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Ritengo che uno dei modi migliori per esprimere i propri pensieri e sentimenti sia quello di farlo in musica. Certo, non tutti sono bravi: bisogna sapere suonare, essere intonati e mettere insieme qualche parola tanto da strappare via una lacrima o, magari, un sorriso. Una canzone che faccia sorridere, però, è difficile da fare e ancora di più se è rivolto a tutto quel mondo più o meno misterioso e più o meno famoso che è insito nella blogosfera.
Ma questa volta qualcuno ha creato un piccolo capolavoro… niente di eccezionale… ma è stato capace in pochi secondi di strappare un sorriso a me e a tutte le persone a cui l’ho proposto (s’intende blogger ovviamente). L’argomento è la ormai famosa dipartita di BlogBabel: su internet troverete decine di articoli che ne parlano ma nessuno lo ha fatto come Nemo perché, diciamoci la verità, che lo amavate oppure lo odiavate, faceva pur sempre parte della nostra vita di blogger e tutti i giorni ci ritrovavamo a parlarne. E l’autore del testo di questa canzone, sulle note di A te di Jovanotti, ci è riuscito in pieno, fino a trasformarla in uno scherzoso e ammiccante inno a BlogBabel, forte anche della potenza emotiva dell’ultimo successo di Lorenzo Cherubini.
E ora non mi resta che lasciarvi all’ascolto di questa canzone di Antonio Amato e poi magari ditemi cosa ne pensate:

Per chi è al lavoro e non può permettersi di ascoltare il brano, o per chi magari vuole seguire meglio la canzone, ho pensato di fare cosa gradita riportarvi il testo integrale della canzone.

A te che sei l’unica al web
L’unica ragione
Per arrivare fino in fondo
Ad ogni mio post
Quando ti guardo
Dopo un giorno pieno di parole
Senza che tu mi dica niente
Tutto si fa chiaro

A te che mi hai trovato
In classifica con pochi link
Con il mio feed contro il muro
Pronto a difendermi
Con pochi post
Stavo in fila
Con i disillusi
Tu mi hai raccolto come grillo
E mi hai portato con te

A te io mando un trackback
Perché non ho altro
Niente di meglio da offrirti
Di tutto quello che ho
Prendi il mio blog
E la magia
Che con un solo salto
Ci fa volare dentro il web
Come aggregatori

A te che sei
Semplicemente sei
Sostanza dei giorni miei
Sostanza dei sogni miei

A te che sei la mia BlogBabel la mia BabelBlog
A te che hai preso il mio tumblr e ne hai fatto molto di più
A te che hai dato senso al link senza misurarlo
A te che sei la mia BlogBabel la mia BabelBlog.

A te che io ti ho visto piangere nella tua homepage
Fragile che potevo ucciderti
Querelandoti un po’
E poi ti ho visto
Con la forza di un aeroplano
Prendere in mano il tuo sito
E trascinarlo in salvo

A te che mi hai insegnato i meme
E l’arte della cordata
A te che credi nella classifica
E anche nella sua abiura
A te che sei la miglior cosa
Che mi sia successa
A te che cambi tutti i giorni
E resti sempre la stessa

A te che sei
Semplicemente sei
Sostanza dei giorni miei
Sostanza dei sogni miei

A te che non ci piaci mai
E sei una meraviglia
Le forze della blogosfera si concentrano in te
Che sei un tracker, una classifica, un aggregatore
Sei l’orizzonte che mi accoglie quando mi allontano

A te che sei l’unica classifica
Che io posso avere
l’unico elenco che vorrei
Se non ti avessi con me

A te che hai reso il mio sito bello da morire
Che riesci a rendere il bloggare un immenso piacere

A te che sei la mia BlogBabel la mia BabelBlog
A te che hai preso il mio tumblr e ne hai fatto molto di più
A te che hai dato senso al link senza misurarlo
A te che sei la mia BlogBabel la mia BabelBlog.

A te che sei
Semplicemente sei
Sostanza dei giorni miei
Sostanza dei sogni miei

A te che sei
Semplicemente sei
Compagna dei giorni miei
Sostanza dei giorni miei

Tag:Blog, blog-power, blogbabel, blogosfera, mp3, Musica
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