È noto a tutti che la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha emesso di recente una sentenza che ha fatto molto parlare, in quanto sancisce quello che molti chiamano il “Diritto all’Oblio“. In pratica, una persona può richiedere che i motori di ricerca sollecitati da una query sul suo nome omettano alcuni risultati relativi a questa ricerca, quando questi ledono un suo diritto personale. Ovviamente, il dibattito è aperto su dove cominci e dove finisca questo suo diritto: da una parte quasi tutti concordano sulle buone ragioni per escludere dalla SERP (Search Engine Results Page) di Google e degli altri motori le pagine che contengono informazioni palesemente offensive o diffamatorie nei confronti della persona in questione; d’altra parte, molti si chiedono se sia giusto escludere anche informazioni corrette e giustificate che per un motivo o per l’altro non fanno comodo a chi emette la richiesta. L’esempio più eclatante di quest’ultimo caso è l’ipotesi, tutt’altro che fantasiosa, di un candidato a un’elezione che volesse far cancellare dalla memoria di Internet, per esempio, la frequentazione abituale del Paddy Power Casino o eventuali condanne penali subite in passato, per evitare che vengano a conoscenza degli eventuali elettori. E come ci si può fidare di un nuovo socio o collaboratore, sapendo che forse costui ha fatto cancellare alcune sue eventuali malefatte per rifarsi un nome illibato?
Un dato è però certo. La Corte europea ha dato ai motori e soprattutto a Google un grattacapo difficile da risolvere e oltre 100.000 richieste sono arrivate all’azienda di Mountain View in meno di 3 mesi: vecchie denunce, reati gravi, foto imbarazzanti, episodi di bullismo o di insulti online, articoli di giornale screditanti e quant’altro, ogni pretesto buono o cattivo è stato ritenuto sufficiente da miriadi di utenti per richiedere subito per sé stessi l’immediata applicazione della sentenza. Come si capisce facilmente, alcuni casi sono perfettamente giustificati dalle circostanze ed è per loro che la Corte ha emesso la sentenza del 13 maggio. Altri casi sono opinabili e altri ancora del tutto infondati e abusivi. Fatto sta che con oltre mille richieste al giorno, è una media di un nuovo caso ogni 8 secondi che si presenta a Google per chiedere una soluzione legale ed efficace.
È un rompicapo che l’azienda californiana, pur ricca di risorse, non sa risolvere ed è quindi partita alla ricerca di soluzioni, nominando un Comitato Consultivo di dieci membri che include anche il presidente del consiglio di amministrazione di Google ed ex-CEO Eric Schmidt. Il Comitato Consultivo di Google sta girando l’Europa ed è in questi giorni in Italia per discutere del problema con esponenti del mondo aziendale, media, accademici, organizzazioni che si occupano della protezione dei dati, politici e anche con altre aziende attive nel settore della tecnologie moderne. Il fine dichiarato è quello di “ricevere consigli sui princìpi che Google dovrebbe applicare per prendere decisioni in merito ai singoli casi“. Ciò che potrebbe aiutare Google a trovare una soluzione equilibrata al problema.
Gli incontri del Comitato Consultivo sono trasmessi in streaming e i risultati delle discussioni saranno resi pubblici. Questo che abbiamo descritto non è il solo grattacapo di Google riguardo alle richieste di rimozione che il pubblico indirizza ai suoi servizi legali: ce ne sono altri e l’esempio più calzante è quello delle richieste DMCA (Digital Millennium Copyright Act), attraverso le quali i legittimi autori di testi, musiche e altre opere richiedono l’eliminazione delle copie illegittime. Nel 2011 Google ha ricevuto richieste per eliminare 10 milioni di links; quest’anno siamo già a 235 milioni di richieste di rimozione, delle quali il 91% è stato accettato. Controllare una tale massa di infrazioni e agire assicurandosi di non commettere nessuno sbaglio (né in difetto né in eccesso) è un’occupazione gigantesca che finora Google ha gestito quasi alla perfezione. Ma l’aumento delle notifiche sta generando ritardi crescenti nel trattamento delle domande. Anche qui, Google dovrà trovare una soluzione prima che i proprietari legittimi dei diritti d’autore, preoccupati per il rispetto degli stessi, scelgano strade alternative e più costose per farli valere, per esempio le vie legali.
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