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In una recente inchiesta di Channel 4 nella trasmissione Dispatches si sono occupati di un fenomeno che ultimamente sta dilagando nei social network: l‘industria dei “Mi Piace” in grado di coinvolgere almeno 20.000 “dipendenti”. Per una paga di 12 dollari al mese (in paesi come il Bangladesh) hanno il compito di creare falsi profili al fine di incrementare il gradimento verso le pagine Facebook, Google+ o Youtube. Per fare un esempio, 1000 sostenitori su Twitter alcuni siti (come Socialkik) li offrono ad appena 29 dollari. Mentre 1000 follower su Instagram, il social dedicato alla fotografia, possono essere comprati per 15 dollari e 1000 “mi piace” per 30 dollari.
Per comprendere quanto sia importante questo mercato emergente, basti considerare che 1000 numeri di carte di credito costano nemmeno 6 dollari.
Addirittura alcuni hacker hanno modificato il virus Zeus, un tempo utilizzato per rubare i dati delle carte di credito, per pubblicare voti di gradimento finti su determinate pagine dei principali social network.
Di siti che offrono servizi del genere è pieno, basta cercare su Google le chiave di ricerca giuste per rendersene conto. Ma quel che è interessante notare è che non sempre i profili che generano tutti quei “Mi piace” sono fasulli o inconsapevoli. In molti casi gli utenti sono veri che attraggono altri utenti a suon di crediti. Chi cerca follower offre crediti che poi potrà rivendersi per aumentare il numero dei propri follower (come fanno siti come Grow Followers).
Ed ecco che quindi gli esperti SEO e di Social Media Roi si affrettano a ricordare che:
“Il numero di contatti, da solo, vuol dire sempre meno. Bisogna prestare attenzione al “page engagement”, inteso come somma di like, condivisioni, commenti e post spontanei»”
Basterà a far desistere personaggi in vista o responsabili di aziende a pagare per dimostrare che il proprio profilo o la propria pagina sia di reale interesse?