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A differenza di chi crede che stiamo vivendo in una età di imbarbarismo e oscurantismo, c’è anche chi crede che quella che stiamo vivendo ora è un’epoca di rigogliosa mutazione, dove alla cultura classico-umanistica si è sostituita quella di massa, dove le ultime generazioni hanno abbandonato i musei polverosi dello specialismo e dell’accademia per riversarsi negli scintillanti saperi diffusi della cultura dell’uomo del web. L’uomo 2.0 è un portatore di cultura diversa, che non significa per forza mancanza di cultura: semplicemente i vecchi intellettuali non capiscono pienamente la rivoluzione in atto. E’ quello che afferma Franco Brevini nel suo ultimo saggio in una intervista di oggi sul Giornale e che quasi sembra rispondere alla visione pessimistica del Web di Lee Siegel.
Vecchia e Nuova Cultura
I figli della società mediatica sono forse meno colti dei loro padri (nel senso classico del concetto), ma sono sicuramente più intelligenti e vitali. Quando si afferma che i nostri ragazzi sono più ignoranti della generazione precedente, non significa che internet e i media in generale ne siano la causa, bensì è solo la causa del modo errato di agire della scuole e dei giornali (che, a volte, riempiono pagine di articoli di argomenti leggeri al limite del gossip nella speranza di raggiungere un pubblico più ampio).
In realtà stiamo vivendo una vera e propria rivoluzione culturale: se nella vecchia cultura esisteva l’idea di un solido approfondimento monografico, accademico e critico (l’immagine è quella dell’intellettuale studioso, che scava sino in fondo un problema ma non sa nulla di tutto il resto), oggi, invece, piuttosto che andare sino in fondo, si fa surfing, che non significa essere semplicemente superficiali, bensì si spazia da un settore all’altro, dall’informatica al latino, essendo coscienti di una maggiore complessità del mondo del sapere e dell’informazione, dove tutto è interconnesso e dove vince solo chi si dimostra attento ad una pluralità di ambiti culturali sacrificando la specializzazione che risulta spesso sterile.
I Simpson: un esempio di rivoluzione culturale
E’ venuta meno anche la distinzione tra alta cultura e prodotto di massa che, anche se si ritiene degradato, in realtà porta con sé, spesso in maniera nascosta, gradi diversi di lettura e interpretazione. Il caso più lampante sono la serie di cartoni animati “I Simpson“. Se da un lato si possono passare semplicemente venti minuti di spassoso divertimento (come li trascorrono i ragazzi), da un altro lato, un adulto, può intravedere nella trama, dei testi molto più complessi, attraversati da un reticolo di riferimenti culturali, citazioni colte e strizzatine d’occhio alla cultura alta che, proprio per questo motivo, li apprezza più o meno consciamente. Ciascun episodio di venti minuti è un concentrato geniale di idee, azioni, battute, colpi di scena, riferimenti al mondo culturale nei molteplici risvolti, dal cinema alla letteratura, dalla musica al video.
Non per niente sono stati scritti decine di libri sui Simpson, tra cui mi piace ricordare: “La scienza dei Simpson. Guida non autorizzata all’universo in una ciambella“, “I Simpson e la filosofia” e “I Simpson, il ventre onnivoro della tv postmoderna”
Pensate che il “Times“, nell’inchiesta sulle figure essenziali del XX secolo, li ha messi in alta classifica, alla pari, o quasi, di Einstein, Roosevelt, Gandhi, i Beatles e Picasso.
Dal Tramonto all’Alba della Cultura
In pratica stiamo assistendo al crepuscolo della cultura tradizionale classico-umanistica e, contemporaneamente, all’alba di una nuova stagione segnata dall’affacciarsi di nuovi saperi, nuovi pubblici e nuove dinamiche. La cultura con la C maiuscola è divenuta una cultura di élite che, proprio per questo motivo, sta morendo a favore di una cultura di massa, più condivisa e più generalista ma anche molto più vasta.
Insomma, secondo Franco Brevini, oggi circola molta più cultura di un tempo: infatti, nonostante i continui certificati di morte presunta, la cultura non ha mai goduto di una salute tanto buona come nella società attuale!
Internet poi non ha fatto altro che diffondere cultura sempre più