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Dal 2004 il blog di Antonio Troise

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Dic 25 2008

Buon Natale a tutti voi!

Posted by Antonio Troise
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Auguro a tutti i miei cari lettori di passare felicemente le festività natalizie! Senza di Voi che mi leggete sempre, senza il vostro continuo confronto e senza la vostra approvazione, questo blog non potrebbe esistere. E’ solo grazie a Voi che sono giunto al 5° Augurio di Buon Natale su questo mio sito, nato per gioco e che a volte risulta essere un impegno più pesante di quello che era nei primi anni; è solo grazie a Voi che il mio entusiasmo nello scrivere non cala mai e se anche ultimamente ho allentato un po’ il ritmo di pubblicazione, presto riprenderò con lo stessa frequenza dei mesi passati, perché di articoli e idee ne ho decine in mente ogni settimana. Per ora li appunto e presto li vedrete pubblicati, nella speranza che, oltre a piacere al sottoscritto, possano interessare anche a Voi!

Buon Natale 2008

Buon Natale 2008 a tutti!

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Dic 20 2008

VLC Remote: spiegazione della configurazione avanzata per trasformare il vostro iPhone/iPod Touch in un telecomando wi-fi per controllare da remoto il lettore multimediale VLC

Posted by Antonio Troise
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Ieri ho installato sul mio iPod Touch, VLC Remote, una interessante applicazione distribuita sull’App Store Apple che permette di controllare da remoto il media player Open Source VLC utilizzando la rete WiFi di casa. Gli scopi sono molteplici, come poter usare il vostro pc come uno stereo per tutta la casa e selezionare direttamente dal vostro iPhone i brani musicali senza sedervi al PC (per questa caratteristica è necessaria, però, la versione a pagamento da 0,79 Euro), oppure potete stare comodamente seduti sul vostro divano a guardare il vostro film preferito mentre potete fermare la riproduzione o mandare avanti o indietro il filmato direttamente dal vostro iPhone o iPod Touch senza dovervi per forza alzare. Le funzionalità sono simili, anche se in misura ridotta per certi aspetti, dell’applicazione per iPhone/iPod Touch Remote della Apple che si interfaccia, però, solo con iTunes, ma in questo caso si ha il grande pregio di avere a disposizione un telecomando che gestisce il miglior player multimediale in circolazione: VLC!

VLC Remote
Configurazione avanzata

Per fare funzionare l’applicazione dovrete, però, oltre che disporre di una rete Wi-Fi e avere VLC installato sul vostro PC o Mac, anche avere la cura di impostare certe configurazioni sul vostro lettore multimediale. A chi non piace mettere mano ai file di sistema, è bene sapere che, è disponibile una piccola applicazione sul sito dello sviluppatore (rilasciata sia per PC che per Mac) che si occuperà di configurare automaticamente VLC per contro vostro. In realtà, questa applicazione si rivelerà molto utile sopratutto per gli utenti Mac, in quanto, ogniqualvolta dovrete aggiornare il vostro VLC all’ultima release stabile, una parte di questa configurazione, come vedremo, verrà irrimediabilmente persa, e avere sottomano un applicativo che lo autoriconfigurerà automaticamente, si dimostrerà essere una vera salvezza. Personalmente, io non sono solito lanciare applicativi senza sapere come funzionano e, per fortuna, sul sito del produttore, esiste il dettaglio delle modifiche da apportare manualmente alla configurazione di VLC, disponibile per Windows, Mac e Linux. Le procedure per Mac e Linux sono sostanzialmente le stesse (non per niente Mac ha un cuore Unix), mentre a quella per Windows deve essere aggiunto il passo di configurazione del firewall di sistema che deve aprire la porta 8080 per permettere il dialogo tra l’iPhone e il vostro VLC.

In questo articolo mi dedicherò solamente a spiegare, in italiano e con qualche mia personale aggiunta, la configurazione manuale per Mac, in quanto è quella che, in tutta probabilità, potrebbe essere riprodotta più volte se aggiornate spesso il vostro player multimediale e non volete affidarvi ad applicazioni di terze parti che mettano le mani sul vostro amato Mac (se non vi fidate potete benissimo creare voi stessi un file batch o Apple Script, seguendo i passi descritti in seguito).

1. Abilitare l’interfaccia HTTP

Le seguenti operazioni andranno a modificare un settaggio di VLC per abilitare l’interfaccia HTTP e, pertanto, almeno sui sistemi Mac, verrà modificato (da quanto ho appurato dalle mie prove) solo il file org.videolan.vlc.plist. Questo significa che quando installerete una nuova versione di VLC, questa configurazione dovrebbe rimanere impostata.

  1. Aprire le Preferenze di VLC dal menu: VLC/Preferenze
  2. Dalla finestre delle Preferenze appena aperta, cliccare su “All” in basso a sinistra. Ciò permetterà di abilitare la visualizzazione delle impostazioni avanzate di VLC
  3. Dalla lista di voci a sinistra che comparirà, selezionare Interfaccia/Interfacce principali
  4. Quindi, sulla destra, selezionare, per abilitarla, la voce: “Interfaccia di controllo a distanza HTTP“
  5. Quindi cliccare sul tasto “Registra” e restartare VLC
Preferenze di VLC
2. Assegnare i permessi di accesso a VLC

In teoria, la precedente configurazione atta ad abilitare l’interfaccia HTTP di VLC, dovrebbe essere sufficiente per tutte le vecchie versioni di VLC, ma dalle più recenti, è stato introdotto un controllo sui permessi di accesso, per non dare a tutti la possibilità di agire sul proprio VLC (pensate se siete in una biblioteca pubblica). E’ comunque possibile appurare questa eventualità perché, dopo avere eseguito il primo passo, quando aprirete VLC Remote sul vostro iPhone e questa eseguirà una scansione della rete, riuscirà ad individuare il vostro Mac/PC con VLC attivo (in quanto abbiamo abilitato, nel precedente step, l’interfaccia HTTP), ma vedrete la classica icona di VLC con una X rossa che starà ad indicare che non si hanno sufficienti privilegi per gestire da remoto il player multimediale.

VLC Remote

Le ultime versioni di VLC, infatti, usano un file .hosts per definire quali dispositivi (in particolare indirizzi ip che possono identificare dei computer ma anche degli iPhone/iPod Touch) possono accedere al VLC Remote Player. Il file .hosts, però, è presente all’interno dell file VLC.app (che altro non è che l’applicazione vera e propria di VLC per il mondo Mac). E’ per questo che, ogniqualvolta installeremo una nuova versione aggiornata di VLC, il file .hosts dei permessi verrà sempre sovrascritto con la versione di default dell’applicativo (in quanto contenuto nel file VLC.app che viene anch’esso sostituito). In questo caso, ricordatevi, dopo un aggiornamento di VLC, di rieseguire la procedura sotto dettagliata.

  1. Aprire il Terminale
  2. Scrivere nella finestra del Terminale unix, la seguente riga di comando:
    open -e /Applications/VLC.app/Contents/MacOS/share/http/.hosts
    Attenzione al percorso di VLC: quello descritto sopra è quello di default, ma se avete installato VLC in un subdirectory di Applications, allora provvedete ad aggiornare il path, altrimenti il file .hosts non verrà trovato. Per esempio, se avete installato VLC sotto la cartella Video di Applicazioni, allora il comando da lanciare sarà il seguente:
    open -e /Applications/Video/VLC.app/Contents/MacOS/share/http/.hosts
  3. Il file .hosts, che altro non è che un classico file ascii, verrà aperto con Text Edit
  4. Di default, nel file .hosts, tutte le classi di indirizzo sono commentate ed è lasciato aperto solo il localhost (127.0.0.1), ovvero si può connettere all’interfaccia HTTP, solo un applicativo che risiede sullo stesso PC del player multimediale VLC.
    In particolare:

    Per dare l’accesso a tutti i dispositivi (quindi sia PC che iPhone e iPod Touch) che risiedono nella stessa newtork wi-fi, sarà sufficiente scommentare tutte le classi di indirizzi IP sotto la voce “private addresses“.
    In particolare:

    Se invece, si vuole lasciare completamente aperto (cosa peraltro che sconsiglio a meno di qualche particolare esigenza) l’accesso a VLC da qualsiasi classe di indirizzi IP, allora si dovranno scommentare le ultime 2 righe, sotto la voce “The world” (credo non sia neanche necessario scommentare le righe delle classi di indirizzi della rete locale, in quanto già incluse, ma per sicurezza verranno scommentate comunque).
    In particolare:

  5. Ora non vi resterà altro che restartare il vostro player VLC e finalmente potrete usare VLC Remote dal vostro iPhone/iPod Touch poichè avrete i permessi per accedere a VLC, come potrete constatare voi stessi:
    VLC Remote

In caso di problemi, il sito ufficiale di VLC Remote, mette a disposizione degli utenti due pagine: una di Basic Troubleshooting e un’altra di Advanced Troubleshooting, con la soluzione dei problemi più comuni.

Tag:app, app-store, Apple, iPhone, ipod-touch, itunes, telecomando, Tutorial, vlc, wi-fi
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Dic 17 2008

Mentre l’enciclopedia Treccani diventa aperta e web 2.0, il dizionario italiano De Mauro ha rischiato di sparire. Spiegazione del perché Wikipedia e il Wikizionario non correranno mai il rischio di cessare di esistere!

Posted by Antonio Troise
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Ricordo la Treccani, come il nome di una delle più autorevoli enciclopedie che nella mia adolescenza erano anche sinonimo di un enorme quantità di tomi dal prezzo spropositato (complessivamente l’Enciclopedia consta di 62 volumi, per un totale di 56.000 pagine con circa 50 milioni di parole, anche se quest’anno ha lanciato una edizione speciale in soli 3 volumi) e stampata su carta speciale garantita 200 anni, che avrebbe dovuto contenere, nelle intenzioni forse troppo ambiziose dei suoi autori, tutto lo scibile dell’umanità. Non ho mai posseduto la Treccani e mai l’ho potuta consultare per le mie ricerche scolastiche, e sono quindi contento di constatare che finalmente potrò farlo ora che ha deciso di pubblicare gratuitamente sul web una porzione consistente dell’opera globale delle enciclopedie e dei dizionari Treccani. Se, infatti, in passato il sito dell’Enciclopedia Treccani era una semplice vetrina web, oggi tutti possono finalmente consultare liberamente oltre 160mila lemmi.

E’ interessante notare, però, che il nuovo sito web 2.0 della Treccani, non mette solo online parte del suo vasto patrimonio enciclopedico, ma anche una serie di strumenti utili e interattivi, come widget, toolbar e feed rss per categoria, per farne un punto di riferimento del sapere in Rete, attorno al quale creare una sorta di social network della cultura italiana. E’ infatti possibile, commentare le voci enciclopediche, segnalare contenuti per arricchire il patrimonio Treccani, inserire parole chiave (tag) utili a creare percorsi tematici e ricerche incrociate, e si potranno scaricare widget per consultare le risorse enciclopediche direttamente dal proprio sito.
Infine, è possibile anche creare un proprio profilo personale per salvare percorsi di navigazione e link utili, scambiarsi messaggi, intervenire in dibattiti, ricevere aggiornamenti e porre quesiti alla redazione.

Come nelle enciclopedie cartacee non mancano i riferimenti da una voce all’altra, anche nel portale Treccani l’ipertestualizzazione è pervasiva: ogni parola dei lemmi delle enciclopedie e del vocabolario è un rimando, ogni rimando è un approfondimento. Basta, infatti, come avviene avviene per il dizionario De Mauro, fare un doppio click su una qualsiasi parola del testo e si verrà subito rimandati alla relativa voce del Vocabolario online o della Enciclopedia online.

Pensate che, la progettazione e l’avvio del portale hanno richiesto un investimento di meno di 500mila euro per due anni di lavoro, e il coinvolgimento di sei persone dello staff che lavorano quotidianamente sul portale. Niente male per un paese abituato a fare i conti con futuristici portali alla stregua di Italia.it, costato ben 45 milioni di euro!

Il fuggevole del Dizionario De Mauro

E se una nuova enciclopedia, pronta a collaborare o a sfidare Wikipedia, è nata, ecco che per un attimo la Rete ha tremato alla notizia che la famosa versione online del Dizionario italiano De Mauro Paravia, stava per sparire per fare posto, nell’homepage del sito, al Dizionario dei sinonimi e contrari De Mauro Paravia. Infatti, come sarà noto a tutti, il De Mauro è l’unico dizionario italiano completo di tutti i lemmi, tanto da essere un riferimento web per moltissimi utenti Internet, da anni linkato da blog e siti per la sua comodità di utilizzo. Certamente, esistono da tempo molte alternative, come il Vocabolario Treccani, il dizionario Garzanti (accessibile, però, dietro registrazione), il nuovo ed internazionale Google Dictionary (tanto da permettere di cercare il significato di una parola in circa 21 lingue, realizzando anche le corrispondenze tra una lingua e l’altra), e i collaborativi Dizionario Italiano e, forse più famoso, Wikizionario, ma tutti sono ancora troppo giovani per essere completi e diffusi sul web come il De Mauro. Infatti, sulla sua scia, sono nati moltissimi plugin per le toolbar, estensioni per firefox, e barre di ricerca che interrogavano direttamente questo database, e da anni veniva linkato da moltissimi siti web.

Fortunatamente, si è scoperto che, almeno per ora, il dizionario italiano aveva solo cambiato indirizzo web. Ora si trova su old.demauroparavia.it e grazie alla collaborazione del webmaster, tutte le richieste provenienti search plugin di Firefox e che puntavano al vecchio demauroparavia.it, ora vengono automaticamente rigirate su old.demauroparavia.it.

I benefici dei siti Wiki che non potranno mai cessare di esistere

Insomma, per ora il pericolo è stato scongiurato, ma sicuramente è stato utile a molti, me compreso, ad aprire gli occhi sulla caducità delle informazioni su internet. Se è vero che se una cosa c’è su internet è probabile che una sua traccia sarà disponibile per sempre, è anche vero che se sparisce un database enorme, come il De Mauro appunto, sarà ben difficile rimpiazzarlo in poco tempo con un altro di pari livello. E’ per questo che progetti come il Wikizionario, e in generale, Wikipedia sono le migliori soluzioni per tutti, in quanto, proprio per la loro natura collaborativa e free, possono crescere costantemente nel tempo, migliorandosi e perfezionandosi, e possono essere liberamente replicate su qualsiasi sito o supporto. Infatti, è possibile scaricare l’intero contenuto e struttura di Wikipedia (un enorme dump XML del database), da http://static.wikipedia.org/downloads/ (qui la versione italiana di 1.6 GB aggiornata al Giugno 2008), mentre è possibile scaricare l’intero contenuto del Wikizionario da questa pagina: http://download.wikimedia.org/itwiktionary/. Basterà quindi installare il software con licenza GNU GPL MediaWiki su un qualsiasi sito web (ma anche localmente su un qualsiasi pc) per replicare all’infinito l’informazione contenuta nella più grande enciclopedia della Rete!

Tag:cultura, database, demauroparavia, dizionario, treccani, vocabolario, Web 2.0, wikipedia
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Dic 11 2008

Gli influencer del Web: chi sono e come agiscono. Quando le aziende studiano come conquistare chi influenza le decisioni del popolo della rete

Posted by Antonio Troise
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Forse non tutti sanno che sul Web il 90% dei contenuti online, articoli, commenti, video e fotografie di ogni social media, è creato da non più del 10% degli utenti internet. E sono proprio queste persone che hanno la capacità di riuscire ad influenzare le comunità online in modo da riuscire ad indirizzarle, più o meno coscientemente, verso una decisione o un acquisto e anche, perché no, l’elezione di un presidente degli Stati Uniti (tanto che Obama ha raggiunto il record di un miliardo di dollari in rete, di cui 150 milioni di dollari con singole donazioni di 100 dollari dal suo sito).
Come già ricordato in un mio articolo sul blog power, le aziende che guardano al webmarketing stanno iniziando a riconoscere e ad interpretare questa realtà, tanto che sono continuamente alla ricerca degli influencer, che rappresentano, di fatto, la chiave di volta per dialogare con successo con la Rete. Infatti, gli influencer possono determinare il successo di un prodotto o di un servizio, ma anche il suo fallimento. E’ per questo che le società devono considerarli un asset strategico, visto che possono essere i promotori naturali di una azienda o i critici più credibili.

Lo studio della Rubicon Consulting

Un recente studio della americana Rubicon Consulting ha tracciato il profilo degli influencer, tentando di carpirne i segreti, la loro diffusione, gli spazi dove agiscono (le comunità online) e le modalità con cui comunicano e propagano i loro messaggi. Al termine della sua indagine, è così riuscita a identificare 5 macro gruppi di comunità, in funzione delle caratteristiche degli utenti:

  1. VICINANZA: Meetup, creazione di gruppi fisici
  2. ATTIVITA’ IN COMUNE: Wikipedia, enciclopedia online
  3. CONDIVISIONE DEGLI STESSI INTERESSI: Youtube, video online per categorie
  4. COMPETENZA: social network professionali
  5. CONNESSIONI: Facebook, MySpace, SecondLife, tutti social network costruiti su ogni tipo di connessione tra persone

Un’altra rappresentazione, più visiva, che mostra gli influencer nei social network è possibile trovarla qui, dove, però, li si dividono in 4 macro aree:

Influencer
Analisi

Le comunità online originate dalle connessioni, come Facebook, sono, come è facile immaginare, le più frequentate (circa il 25% degli utenti internet) e le più importanti per i giovani sotto i 20 anni. Quindi, seguono, con il circa il 20% degli utenti internet, le comunità nate con attività in comune e condivisione di interessi.

I contenuti degli influencer sono in prevalenza:

  • Video (94%)
  • Articolo sul blog personale (92%)
  • Recensione (89%)
  • Una domanda (87%)
  • Una risposta (83%)
  • Foto (77%)
  • Commento (76%)
  • Aggiornamento propria area in un social network (75%)
Chi è l’influencer

Inoltre, se è vero che gli influencer possono determinare il successo di un prodotto o di un servizio, è anche vero che la loro influenza varia da settore a settore: mentre circa il 60% dei navigatori acquista un prodotto di elettronica di consumo seguendo i suggerimenti letti, solo il 18% sceglie un meccanico per la propria macchina. E’ elevata comunque la percentuale di coloro che decidono in base alle informazioni in rete: il 52% la vacanza, il 48% il film da vedere, il 41% la nuova auto e il prossimo lavoro, il 38% il ristorante.

Ma come si distingue un influencer? Di solito, un influencer, pubblica un contenuto in Rete più di una volta al giorno, e metà di loro ha meno di 22 anni e solo l’8% ha più di 50 anni. Il 40% sono studenti, mentre il 60% sono in prevalenza uomini, ma anche le donne hanno la loro influenza, tanto che il 78% delle mamme blogger negli Stati Uniti, da un giudizio sui prodotti per bambini e il 96% di tutte le mamme online considera con attenzione i loro consigli.

Epilogo

Quel che è certo è che l’opinione degli influencer è (almeno in teoria) indipendente e non una merce in vendita, tanto che l’unica arma delle aziende è quella di informare correttamente gli influencer, ascoltarli e dotarli di strumenti comparativi del proprio prodotto o servizio.
Quindi, in definitiva, l’investimento più importante è nella qualità della relazione con gli influencer!

Altre riferimenti

Per maggiori informazioni potete andare direttamente sulla pagina che dello studio della Rubin Consulting: Online Communities and Their Impact on Business che è stato diviso in 3 sezioni:

  1. Part One: How online community works
  2. Part Two: Leading Web Destinations and Community
  3. Part Three: Web Community and Social Life

Oppure potete scaricare direttamente il PDF del report completo.

Sotto il tag blog-power, infine, trovate alcuni miei articoli che parlano di marketing, web e blog.

Tag:blog-power, facebook, Internet, marketing, Obama, web, Web 2.0
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Dic 9 2008

Curiosità di una Apple eccessivamente meticolosa

Posted by Antonio Troise
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Sapevate che negli Apple Premium Reseller (o APR) e nei vari Apple Shop vige il divieto di introdurre PC in vista nel punto vendita? In effetti, il principio è valido: siccome Apple vende prodotti come iMac e Macbook, sarebbe assurdo vedere un PC desktop magari assemblato per gestire la contabilità, anche se vi fosse installato sopra una distribuzione Ubuntu. Non parliamo poi se vi fosse installato Windows Vista Premium Edition! Non è una cosa strana, ma francamente non avevo mai immaginato che potesse esistere un divieto simile. La cosa buffa, però, è che per permettere la commercializzazione degli iPhone anche agli APR, si è arrivati ad un accordo con il gestore TIM che permette di portare nei negozi un software per la gestione delle registrazioni che si basa esclusivamente su piattaforma Windows! Ovviamente, per non venire contro al divieto, il software di gestione deve essere installato su un virtualizzatore come Vmware Fusion o Parallels, oppure direttamente su Boot Camp, in modo da non contravvenire al divieto di introdurre PC in vista nel punto vendita.

L’eccessiva meticolosità del Supporto Apple

Un’altra curiosità della Apple risiede in questa pagina di supporto alla iTunes Card che evidenzia con quanta cura maniacale mettano nei dettagli anche nella soluzione dei problemi più comuni, come, per esempio, il fatto che iTunes possa dare un messaggio di codice “non valido” in seguito all’immissione del codice alfanumerico della propria iTunes Card.

iTunes Card

Ebbene, il Supporto Apple dopo aver scritto di assicurarsi di aver inserito il codice esattamente come appare sulla Card, ricorda di leggere attentamente il codice, poiché alcune lettere e numeri possono sembrare molto simili, e, inaspettatamente, enuncia tutti i casi di similitudine:

Le lettere e i numeri che seguono possono sembrare molto simili:

la lettera A e la lettera H
la lettera B e il numero 8
la lettera D e il numero 0
la lettera E e il numero 3
la lettera G e il numero 6
la lettera H e la lettera W
la lettera J e il numero 1
la lettera M e la lettera N
la lettera O e il numero 0
la lettera P e la lettera F
la lettera Q e la lettera O
la lettera Q e il numero 0
la lettera S e il numero 5
la lettera S e il numero 8
la lettera V e la lettera U
la lettera Z e il numero 2

Devo dire che è la prima volta che trovo una simile perizia e accuratezza, forse, per certi aspetti, anche eccessiva. La cosa più strana, però, sta in questa pagina di Supporto ai Song Code (codice per scaricare brani gratuitamente), dove, con la stessa precisione, si elencano le lettere e i numeri che possono creare ambiguità, ma, questa volta, sono in numero assai minore: 8 contro i precedenti 16!

Le lettere e i numeri che seguono possono sembrare molto simili:

la lettera B e il numero 8
la lettera G e il numero 6
la lettera V e la lettera U
la lettera Q e la lettera O
la lettera Q e il numero 0
la lettera Z e il numero 2
la lettera S e il numero 5
la lettera P e la lettera F

Che sia perché il codice prevede un numero minore di lettere o perché il font utilizzato è più chiaro e leggibile del precedente e si creano, quindi, meno ambiguità? Oppure, semplicemente, si tratta di un banale errore proprio laddove si cercava una meticolosità troppo esaustiva?
Comunque ben vengano queste iniziative, poiché non credo che i gestori telefonici che vendono ricariche telefoniche con le carte prepagate sono altrettanto scrupolosi nell’assistenza al cliente.

Tag:Apple, apple-shop, assistenza, itunes
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Dic 5 2008

Come scaricare da Rapidshare da riga di comando con Linux o Mac OS X

Posted by Antonio Troise
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Wget Rapidshare Alle volte può sembrare che, quando vengono proposte soluzioni a riga di comando, ci si voglia complicare le cose nonostante esistano decine di altri modi, molto più user friendly, semplici, efficaci e veloci. Vi starete chiedendo per quale motivo una persona vorrebbe scaricare un file da riga di comando piuttosto che usare una delle tanti utility grafiche e gratuite disponibili o, più semplicemente, usare il download manager del proprio browser, che qualunque esso sia, svolge già efficacemente il proprio lavoro?
Ebbene, la ricerca di queste soluzioni alternative avvengono semplicemente per necessità e non solo per il gusto di complicarsi la vita lanciandosi ogni volta in nuove sfide, o almeno è questo quello che accade a me!

Vi siete mai chiesti o vi siete mai trovati nella situazione di dover scaricare qualche file in parallelo? Ebbene, sicuramente avrete constatato un inevitabile rallentamento del sistema direttamente proporzionale al numero di download simultanei che vengono lanciati, sia perché, almeno in minima parte il processore deve gestire il trasferimento, sia perché la scrittura di più file contemporaneamente sull’hard disk (anche se in questo caso il concetto di simultaneità non è verosimile) impegnano il drive tanto da lasciare indietro le operazioni del sistema operativo.

Ebbene, la situazione potrebbe essere spiacevole se su quello stesso PC ci dovete lavorare. Ed è allora che vi viene in mente che forse potreste riutilizzare quel vecchio PC che non usate più, formattarlo, installarci sopra una qualsiasi distribuzione linux, e usarlo esclusivamente come Download Manager. Quindi, ogni qualvolta, vorrete scaricare un o più file da Rapidshare, basterà che vi colleghiate in telnet sul PC Muletto, aprite un file di testo, incollate le url dei file Rapidshare da scaricare, salvate il file e lanciate un piccolo script che eseguirà per voi tutto il lavoro, senza appesantire il sistema su cui state lavorando. Ovviamente, il sistema che adotterò, per essere il più leggero e flessibile possibile, non disporrà di una interfaccia grafica, bensì sarà esclusivamente a riga di comando, insomma da veri geek. Ma vi assicuro che questa è la soluzione inaspettatamente più semplice per risolvere il vostro problema di performance.

In questa sede, comunque, affronterò esclusivamente la soluzione che risolverà il problema di come scaricare un file da Rapidshare se si possiede un abbonamento Premium e quindi si potrà disporre di un utente e password che vi garantirà un servizio che può accettare più richieste di download contemporanee (anche se come vedremo più tardi ho deciso di non usarlo per non appesantire il vecchio PC Muletto) e che non richiede alcun tempo di attesa tra un download e il successivo.

Installare WGET

Per la mia soluzione userò wget, un potente comando per scaricare una pagina web o inviare richieste GET o POST, con o senza autenticazione. Se disponete di un sistema Unix/Linux, è molto probabile che lo troverete compilato e già pronto per essere eseguito. Se invece vi trovate su un sistema Mac OS X (Tiger o Leopard che sia), nonostante si abbia a disposizione nel sistema operativo una shell unix completa di tutti i maggiori comandi, l’unico a mancare sarà proprio wget. Ci sono alternative altrettanto valide, come curl o ftp (e, per chi se lo ricorda, anche lynx che col comando “lynx URL >dump.txt” è una variante alternativa), ma per i nostri scopi, wget è abbastanza flessibile e semplice tanto da essere necessario per creare il nostro script. Quindi, per chi non volesse passare per la fase di compilazione, qui potete scaricare la versione compilata per i sistemi Mac OS X 10.5.3 e superiori (quindi anche Tiger e Leopard): wget.zip. Una volta scaricato sarà già funzionante sul vostro sistema, ma per una installazione completa, lanciate questi comandi:

e se fosse necessario, eseguirte un

anche se nel file .profile della propria home directory dovrebbe già contenere il percorso settato, come qui mostrato:

Ora che abbiamo installato wget sul nostro sistema Mac, questo si comporterà a tutti gli effetti come un sistema Linux, quindi d’ora in poi non farò alcuna distinzione tra i due sistemi operativi.

Creare lo script – STEP 1

Per la creazione dello script ho preso spunto da my-guides.net e in questa sede mi dedicherò a spiegarne il funzionamento del codice adattato alle mie esigenze.

Rapidshare, per l’autenticazione, usa i cookie HTTP, dei file di testo inviati da un server ad un Web client (di solito un browser) e poi rimandati indietro dal client al server, senza subire modifiche, ogni volta che il client accede allo stesso server, e sono usati per eseguire autenticazioni e tracking di sessioni e per memorizzare informazioni specifiche riguardanti gli utenti che accedono al server.
Quindi, la nostra prima operazione, sarà quella di autenticarsi sul server Rapidshare e di salvare i cookie che mi permetteranno, in seguito, di scaricare qualsiasi file dal sito di hosting file.
Attensione, lo STEP 1, andrà eseguito solo una volta, perché i cookie, a meno che non si proceda alla loro eliminazione manuale, verranno salvati in una cartella della vostra home directory.

Il comando da lanciare è il seguente:

dove i parametri indicano:

  • –save-cookies: definisce dove salvare i cookies. Essendo dati più sensibili ho preferito creare un file nascosto (anche se ciò non garantisce la sicurezza del file)
  • –post-data: assegna il metodo POST (piuttosto che GET) per inviare al form di login i dati di username e password.
    –no-check-certificate: non richiede la validazione del certificato che restituisce il server (Se state usando una versione di wget precedente alla 1.10.2 l’opzione –no-check-certificate non è necessaria)
    -O: esegue il download della pagina html solo per ottenere i cookie e redirige l’output su /dev/null per non far comparire a video le righe del codice html.

Ovviamente, ricordatevi di sostuire USERNAME e PASSWORD con quelli del vostro account Rapidshare.

Creare lo script – STEP 2

Ora, ogni qualvolta dobbiamo scaricare un file da Rapidshare, dobbiamo digitare quanto segue:

dove il parametro -c si occupa di recuperare un eventuale download precedentemente interrotto che, quindi, ripartirò dal punto di arresto, mentre il parametro –load-cookies esegue un caricamento preventivo dei cookie precedentemente salvati per ottenere l’autorizzazione a scaricare, per poi, infine, dare in pasto la URL desiderata del file da scaricare. Però, nel momento in cui dovete scaricare più di un file, è evidente che dover scrivere ogni volta questa riga può essere noioso. Ecco perché ci troveremo a dover scrivere un piccolo script bash che automatizzerà il processo, dandogli in input le righe di un file urls.txt (che conterrà un file per ogni riga):

Salvate il codice sopra come file downloader.sh e rendetelo eseguibile con il seguente comando:

Ora copiate tutti i link dei file Rapidshare (uno per riga) che volete scaricare e incollateli nel file urls.txt. Quindi, per scaricare tutti i file, basterà digitare questo semplice comando:

Et Voilà! Il gioco è fatto e potete disporre di un sistema leggero, indipendente e autonomo per scaricare decine di file senza appesantire il vostro PC.

Scompattare un file RAR da riga di comando

Di solito i file su Rapidshare vengono compressi nel formato RAR e qualche volta sono anche protetti da password. Se volete completare l’opera, potete scaricare l’utility per riga di comando per Linux (o Mac) unRar 2.71 (ma esiste anche unrar della rarlab) e una volta decompresso

è possibile compilarlo entrando nella cartella unrar-2.71 appena creata e lanciando i comandi

Ora vi ritroverete il file eseguibile unrar nella directory /usr/local/bin/ e quindi accessibile da qualsiasi directory.

Tag:bash, curl, download, export, Linux, Mac os x, password, rapidshare, shell, unix, wget
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Dic 3 2008

Esperienza personale sulla riduzione delle prestazioni di un portatile alimentato dalla sola batteria e i casi limite di laptop Apple e Asus più lenti se usati senza batteria

Posted by Antonio Troise
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Dual Core Processor Forse non tutti sanno che molti notebook di ultima generazione lavorano diversamente a seconda se sono collegati ad una fonte di alimentazione esterna oppure se sono alimentati solamente dalla batteria. In effetti, il principio non era noto nei dettagli neanche a me. Ho sempre pensato che l’unica limitazione (perlomeno quelle visibili) su un portatile non collegato alla presa di corrente, fosse un semplice abbassamento automatico della luminosità dello schermo (che comunque può essere ripristinata manualmente). In realtà, anche grazie all’adozione dei processori multicore, molti portatili anche di fascia alta, tendono a limitare la potenza dei processori, e ciò avviene o spegnendo un core (un processore) oppure limitando la potenza totale della CPU (non so se avvenga lo stesso anche per la scheda grafica integrata o no). Il tutto per salvaguardare la durata della batteria. Questo cosa comporta, però? Come potete intuire le prestazioni del vostro fiammante computer dualcore si ridurrano drasticamente, e se usate applicazioni molto pesanti che magari richiedono una notevole elaborazione di dati o anche un sofisticato rendering 3D, ecco che, oltre a far scendere la durata della batteria, si ridurranno anche le prestazioni per far eseguire quelle applicazioni, col risultato che potrebbero, nei casi limite, girare anche più lentamente del normale. Ovviamente, parlo di casi limite, poiché spesso, quando un portatile è scollegato dalla presa di alimentazione, se si vuole far partire, per esempio, un gioco, si tende a collegarlo velocemente ad una alimentazione esterna poiché si è consci che la durata della batteria potrebbe calare bruscamente. In tal modo, però, oltre ad assicurare una alimentazione costante e duratura, si aumenteranno le prestazioni del portatile, tanto che difficilmente riuscirete ad accorgervi della differenza, anche perché i processori più moderni sono molto veloci per la maggior parte delle applicazioni che un utente medio può lanciare (ovviamente con le dovute eccezioni).

La mia esperienza

Ventola Io normalmente effettuo sempre un ciclo completo di carica e scarica della batteria, nel tentativo di farle avere un ciclo di vita il più lungo possibile, e, se in media ci impiega dalle 3 alle 4 ore a scaricarsi completamente, è anche vero che in questo arco di tempo, solitamente non stresso mai il mio portatile con elaborazioni grafiche o computazionali pesanti, tanto che non mi sono mai accorto della differenza. Questo fino a ieri sera, quando, stavo guardando alcuni video su Youtube. Fino a quando ero con la alimentazione scollegata e usavo solamente la batteria del mio Macbook Pro, tutto proseguiva senza problemi. Ma quando, oramai al limite di carica, ho deciso di collegare il mio portatile alla corrente, ecco che nel giro di un paio di minuti le due ventole di raffreddamento hanno alzato il numero di giri, tanto da sfiorare quasi i 6.000 rpm ciascuna, con un evidente aumento di rumore (solo un sibilo leggero ma comunque udibile). Ho provato quindi a scollegare l’alimentazione per vedere come si comportava il sistema di raffreddamento e, nel giro di pochi minuti (il tempo di riportare la temperatura sui valori standard), le ventole hanno ridotto sensibilmente il numero di giri fino ad arrivare ad un ragionevole valore di 2.000 rpm, con conseguente riduzione del rumore. Ma, non appena ho ricollegato l’alimentazione esterna, il numero di giri delle ventole si è riportato nuovamente verso i 6.000.

Sebbene possa sembrare un controsenso, credo che questa sia la dimostrazione che il mio Macbook Pro, come tanti altri portatili, ha effettuato una riduzione delle prestazioni in assenza di una alimentazione esterna. Infatti, senza l’alimentazione esterna, il mio portatile, al fine di risparmiare ulteriormente la carica della batteria, ha abbassato la luminosità dello schermo (ma questo è un settaggio che si può anche variare) e ha ridotto le prestazioni del mio Mac facendolo funzionare con un solo core e, magari, siccome ha anche una scheda grafica separata, riducendo le prestazioni della stessa. In tal modo, quando il portatile lavorava solo con la batteria, per visualizzare il video in flash, usava meno risorse di non quando era anche collegato all’alimentazione. In quest’ultimo caso, infatti, la temperatura si sarebbe alzata maggiormente (arrivando anche a quasi 60°) e le ventole hanno iniziato ad alzare il loro numero di giri per raffreddare il sistema.

Ovviamente, questo fenomeno di surriscaldamento, non accade tutte le volte che vedo un video su Youtube, ma è accaduto ieri e non accadeva da parecchi mesi. Infatti, occorre considerare diversi parametri che possono concorrere all’aumento di temperatura interna di un portatile: tra questi non posso non enumerare, la temperatura ambientale di partenza e la superficie sulla quale il computer è appoggiato (potrebbe spesso fare la differenza, specie in relazione con la posizione dei buchi di aerazione).
Purtroppo, ieri, non ho potuto fare ulteriori test, e oggi ho solo voluto riportare questa mia esperienza, magari per sentire anche i vostri commenti a riguardo.

Il caso limite di riduzione delle prestazioni in assenza di batteria: i casi Apple e Asus

A conferma della riduzione delle prestazioni dei portatili, vi è anche la recente notizia secondo cui, nei nuovi Macbook, quando sono collegati all’elettricità ma sono anche sprovvisti di batteria, il processore viene limitato di circa un 30%-40% della sua potenza totale, costringendo l’utente a dover per forza collegare la batteria, riducendo la longevità della stessa, per non vedersi ridotte drasticamente le capacità del MacBook. Effettuando il test CINEBENCH R10 il MacBook Pro 2.53 GHz da un punteggio di 5549 scende a 3504; la differenza è tale da poter concludere che solo il 63% della potenza di calcolo reale viene utilizzata (quando il sistema è collegato alla rete elettrica).
La caratteristica è inusuale a molti produttori di PC, che spesso si impegnano nella pratica comune di limitare il processore nel caso il sistema fosse collegato solo alla batteria per estenderne la durata operativa: in pratica, l’esatto opposto.
Da parte sua, la Apple ha dichiarato ufficialmente che limiterebbe il processore per evitare improvvisi spegnimenti del MacBook Pro dovuti ad un imprevisto aumento della richiesta d’energia. Se Mac Os X e le applicazioni in esecuzione richiedessero più energia elettrica di quella fornita dalla presa, il portatile potrebbe spegnersi improvvisamente con la perdita del vostro lavoro; questo non avverrebbe se la batteria è inserita.

Ma la Apple non è l’unica che si comporta in questo modo; la rete è piena di persone che notano abbassamenti considerevoli di prestazioni dei propri portatili in assenza di batteria; come questo possessore di un computer Asus V6J con core duo T2500 che ha notato che se lo si utilizza con l’alimentazione da rete e senza batteria il processore rimane “bloccato” nello stato di funzionamento a 900 MHz, indipendentemente dal carico di lavoro. L’assistenza centrale di Taiwan, gli ha risposto che il notebook è stato volutamente progettato in modo che lavorasse a pieno regime solo con la batteria collegata!

Tag:Apple, benchmark, dual core, laptop, macbook, portatile, rpm, rumore, temperatura, ventola
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Nov 27 2008

WordPress e il Fatal error in Text/Diff.php: patch aggiornata alla release 2.6.5 di WordPress e il mistero delle revisioni che non si disattivano completamente

Posted by Antonio Troise
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Stavo aggiornando un vecchio articolo pubblicato qualche mese fa quando, al momento del salvataggio del post, mi si presenta una schermata con questo messaggio di errore:

Warning: require_once(Text/Diff/Renderer.php) [function.require-once]: failed to open stream: No such file or directory in /home/public_html/wp-includes/Text/Diff/Renderer/inline.php on line 17

Fatal error: require_once() [function.require]: Failed opening required ‘Text/Diff/Renderer.php’ (include_path=’.:/usr/lib/php:/usr/local/lib/php’) in /home/public_html/wp-includes/Text/Diff/Renderer/inline.php on line 17

Descrizione del problema

Come già scritto in precedenza, con il rilascio della release 2.6 di WordPress, è stata introdotta la gestione delle revisioni dei post (Post Revisions Tracking) per tenere traccia delle modifiche di ogni articolo e pagina (mostrando le differenze in maniera visuale), con la possibilità di ripristinare la versione precedentemente salvata. Ovviamente, essendo il mio sito un blog esclusivamente monoautore, questa funzionalità è stata subito disattivata, risparmiando, così, spazio sul database e risorse per gestirla.

Da quando, però, ieri ho installato l’ultima release stabile 2.6.5, mi si è presentato un problema che non mi era mai accaduto, ma che, leggendo su internet, era presente sin dal primo rilascio della 2.6: il famoso Fatal error in Text/Diff.php, un fastidioso “bug” che impediva la modifica degli articoli pubblicati. Infatti, cercando di editare un articolo pubblicato si incappava in un messaggio di errore relativo alla directory Text contenuta in /wp_includes (che gestisce la funzione di revisione dei post), tanto da rendere impossibile qualsiasi modifica all’articolo a meno che non si provvedeva alla cancellazione e riscrittura dell’articolo stesso.

Il motivo che genera questo misterioso errore è, però, da ricercarsi nel fatto che molti server provider non permettono l’uso della funzione ini_set(). Probabilmente, quindi, la causa del presentarsi improvviso di questo errore sulle revisioni (nonostante siano state disattivate da tempo), non dovrebbe imputarsi alla release WordPress 2.6.5, bensì, forse, solo ad un cambio di policy del mio server provider (devo comunque ancora chiedere delucidazione a blooweb).

La soluzione del problema

Per risolvere questo problema, senza dover ricorrere alle modifiche manuali sui file php di WordPress (come suggerito qui, anche se l’autore sembra prevedere solo delle modifiche a due soli file, mentre in realtà dovrebbero essere fatte a 4 file: pluggable.php, wp-diff.php, Diff.php, inline.php), potete scaricare questo pacchetto zip che contiene direttamente i 4 files patchati: wp-includes-WP-2.6.0.zip

Il problema, però, è che questo pacchetto è stato realizzato il 23 Luglio 2008, quando ancora vi era la release 2.6, mentre da Luglio a Novembre 2008 sono intercorse 3 minor release (4 con la 2.6.1) che hanno interessato le modifiche ai seguenti file:

[source language=”:php”]
[http://codex.wordpress.org/Version_2.6.5]
wp-admin/users.php
wp-content/plugins/akismet/akismet.php
wp-includes/feed.php
wp-includes/post.php
wp-includes/version.php
xmlrpc.php

[http://codex.wordpress.org/Version_2.6.3]
wp-admin/includes/media.php
wp-content/plugins/akismet/akismet.php
wp-includes/class-snoopy.php
wp-includes/version.php

[http://codex.wordpress.org/Version_2.6.2]
wp-admin/includes/template.php
wp-admin/includes/image.php
wp-admin/import/textpattern.php
wp-admin/css/press-this-ie.css
wp-includes/post.php
wp-includes/version.php
wp-includes/query.php
wp-includes/formatting.php
wp-includes/pluggable.php
wp-includes/widgets.php
wp-login.php
wp-settings.php
[/source]

Siccome i file modificati dal pacchetto sono:

[source language=”:php”]
wp-includes/wp-diff.php
wp-includes/pluggable.php
wp-includes/Text/Diff/Diff.php
wp-includes/Text/Diff/Renderer/inline.php
[/source]

abbiamo che nel pacchetto di patch, il file wp-includes/pluggable.php non risulta aggiornato (perché modificato con la release 2.6.2).
A questo punto non resta che realizzare un nuovo pacchetto di file patchati comprensivo del nuovo wp-includes/pluggable.php aggiornato alla release 2.6.5 (che comunque risulta invariato dalla release 2.6.2) per non portarci dietro i vecchi bug risolti da mesi. Fortunatamente, l’autore del BUGFIX ha commentato tutte le righe con la seguente frase:

[source language=”:php”]
//BUGFIX: changed for systems doesn’t support ini changes (www.code-styling.de)
[/source]

Per cui è stato facile individuare tutte le modifiche apportate ai file. In particolare, non ha fatto altro che, almeno per questo file, commentare una riga di codice nel seguente modo:

[source language=”:php”]
//BUGFIX: changed for systems doesn’t support ini changes (www.code-styling.de)
// ini_set(‘include_path’, ‘.’ . PATH_SEPARATOR . ABSPATH . WPINC );
[/source]

In realtà, ho poi scoperto che, questa riga, nelle ultime release, è stata eliminata; in questo modo, nel pacchetto finale, compatibile con WordPress 2.6.5, basterà eliminare il file wp-includes/pluggable.php visto che con la release 2.6.2 l’ini_set è stato eliminato.

Ecco quindi, in definitiva, il nuovo pacchetto zip aggiornato alla release 2.6.5 contenente i 3 file php patchati: wp-includes-WP-2.6.5.zip

Il mistero delle revisioni che non si disattivano completamente

Dopo aver copiato i nuovi file nelle specifiche cartelle di WordPress, se andrete ad editare un post già pubblicato, non avrete più quel messaggio di errore, bensì, almeno inizialmente, come è accaduto a me, un semplice avviso bordato di rosso che dice:

Vi è un salvataggio automatico per questo articolo che è più recente della versione sottostante. Visualizza il salvataggio automatico.

Confrontando l’ultima revisione ho scoperto che, fortunatamente, conteneva le modifiche (salvate con il Salvataggio Automatico) che avevo fatto all’articolo prima che mi desse il messaggio di Fatal error in Text/Diff.php.

Il fatto strano, però, è che in teoria la funzione di revisione doveva essere stata completamente disattivata sul mio blog, perché nel file wp-config.php ho inserito la seguente riga:

[source language=”:php”]
define(‘WP_POST_REVISIONS’, false); //Disabilita la revisione dei POST
[/source]

Invece, lanciando la seguente query SQL da PhpMyAdmin:

[source language=”:sql”]
SELECT * FROM wp_posts WHERE post_type = ‘revision’
[/source]

scopro che ho ben 19 revisioni che risalgono addirittura dal 28 Luglio 2008, esattamente 7 giorni dopo aver disabilitato le revisioni su WordPress. Non capisco come possano essere state create le revisioni di alcuni articoli, mentre su tutti gli altri scritti in questo intervallo di tempo no. Presumo che, forse, siano state create solo le revisioni degli articoli pubblicati, e, in seguito, modificati, ma non è ho comunque la certezza. Mi riservo in futuro di effettuare ulteriori analisi, con la speranza che la patch inserita possa aver risolto il problema.
In definitiva, però, è evidente che risulta un funzionamento anomalo delle revisioni di WordPress che non verrebbero mai definitivamente disattivate. Qualcuno di voi può verificare o ha già riscontrato un simile comportamento?

Ritornando alla mia situazione, una volta constatata la presenza delle revisioni, ho deciso che, per avere un DB pulito, di rimuoverle tutte con il seguente comando MYSQL:

[source language=”:sql”]
DELETE FROM wp_posts WHERE post_type = ‘revision’;
[/source]

Download Patch Fatal error in Text/Diff.php aggiornato a WordPress 2.6.5
download Scarica wp-includes-WP-2.6.5.zip
Dimensione: 13.5 KB
Tag:database, Mysql, Php, phpmyadmin, query, revisione, Wordpress
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Nov 26 2008

IEEE 1667: in arrivo lo standard di autenticazione delle porte USB per impedire la copia non autorizzata dei dati sensibili sui dischi esterni USB

Posted by Antonio Troise
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Il nuovo standard IEEE 1667, in corso di standardizzazione presso l’”Institute of Electrical and Electronics Engineers” (IEEE) (l’autorità che si occupa delle certificazioni in campo elettronico ed elettrico), è la nuova tecnologia che farà storcere il naso a molti ma che darà maggiore sicurezza alle aziende che potranno così godere di una maggiore riservatezza dei loro dati. Nato con l’obiettivo di bloccare la visualizzazione di dispositivi USB da parte del sistema, il suo scopo ultimo sarà quello di impedire la copia di dati presenti sul computer su dispositivi removibili come hard disk esterni e pennette USB.

In realtà la richiesta di questo nuovo standard arriva direttamente da tutte quelle aziende che, purtroppo, sono state toccate dal furto di dati sensibili e che guardano con sospetto ai numerosi, economici e sempre più capienti dispositivi USB come ad una fonte possibile di dispersione se non furto di dati ed informazioni riservate.

Uno standard che mette d’accordo tutti

Con l’adozione dello standard IEEE 1667, l’unico modo per far vedere al computer un dispositivo sarà di passare per un processo di autenticazione e di convalidazione, salvo altre impostazioni decise dalle aziende, che potranno decidere quali dispositivi potrete collegare al vostro PC aziendale e in assenza delle quali non saranno in grado di essere visti dal sistema. In pratica si potranno completamente bloccare le porte USB senza ricorrere a metodi empirici come sistemi proprietari o configurazioni particolari che disabilitano le porte USB, ma solo con sistemi non standardizzati che obbligano ad acquistare software aggiuntivi o a seguire procedure complesse.

Il nuovo formato, infatti, non è dipendente da una piattaforma e potrà funzionare su differenti sistemi operativi, chiaramente previo supporto. Microsoft, tra i grandi promotori dello standard, dovrebbe integrare il supporto IEEE 1667 in Windows 7, nella speranza che, come accade su molte configurazioni su Windows Vista, questa autenticazione non sia solo di intralcio agli utenti.

Per maggiori dettagli tecnici sullo standard IEEE 1667, potete leggere questo articolo di Computer.org: Authentication in Transient Storage Device Attachments.

Tag:drive_usb, hard-disk, IEEE, IEEE 1667, microsoft, security, sicurezza, standardizzazione, usb, Windows
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Nov 24 2008

Taskbar Repair Tool Plus: quando nella taskbar di Windows XP non vengono più mostrate le finestre ridotte ad icona

Posted by Antonio Troise
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Vi è mai capitato, sul vostro PC Windows, di iconizzare una o più finestre e di non riuscire più a ritrovarle nella barra delle applicazioni? Devo dire che è alquanto sconfortante cercare le finestre iconizzate perché ogni vostro tentativo risulterà vano. Anche se provate a riavviare il PC o a giocare con le opzioni della taskbar, il risultato sarà sempre lo stesso: ogniqualvolta iconizzate una qualsiasi finestra, questa sparirà e non sarà possibile recuperarla, se non con la combinazione di tasti Alt+Tab, per scorrere tra le diverse applicazioni aperte (perché il processo resta comunque attivo). Non sono riuscito a capire quale sia la causa che genera questo comportamento anomalo di Windows, ma sembra che sia un problema abbastanza frequente, tanto che uno sviluppatore indipendente ha realizzato appositamente il tool Taskbar Repair Tool Plus!, che tra le varie funzionalità e tweaks che risolvono alcune problematiche con la barre delle applicazioni, la traybar e l’avvio veloce, ha anche la possibilità di ripristinare la visualizzazioni delle icone dei programmi minimizzati.
Nonostante richieda una registrazione di $5 per attivare alcune particolari funzionalità avanzate, per risolvere il nostro problema, possiamo benissimo procedere senza alcuna registrazione.

Procedura

Sarà, infatti, sufficiente scaricare da qui il programma (che non richiede installazione) e, una volta aperto,

Taskbar Repair Tool Plus!

basterà scegliere, dal primo menu “Taskbar Problems“, la voce “Minimized Programs Missing”

Taskbar Repair Tool Plus!

e cliccare sul tasto “Repair“.

Quindi, verrà visualizzato una richiesta di autorizzazione al restart del processo Windows Shell, che impiegherà alcuni secondi e non richiederà alcun logoff o reboot del sistema:

Taskbar Repair Tool Plus!

Cliccando sul tasto OK, la barra delle applicazioni sparirà per qualche secondo, dopodiché, come per magia, riappariranno tutte le finestre iconizzate!

Per i più curiosi, potete dare un occhiata al codice Visual Basic Script utilizzato per ripristinare la Taskbar: xp_taskbar_desktop_fixall.vbs. Come vedete, vengono modificate diverse chiavi di registro di Windows, tra cui:

HKCU\Software\Microsoft\Windows\CurrentVersion\Group Policy Objects\LocalUser\Software\Microsoft\Windows\CurrentVersion\Policies\Explorer\

HKLM\Software\Microsoft\Windows NT\CurrentVersion\Winlogon\Shell

HKCU\Software\Microsoft\Internet Explorer\Explorer Bars\{32683183-48a0-441b-a342-7c2a440a9478}\

Se non siete esperti, non modificate a mano le chiave del registro di configurazione di Windows, ma eseguite direttamente questo programma, e in pochi secondi avrete ripristinato il vostro sistema.

Tag:explorer, icone, regedit, taskbar, Windows
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