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Quando ci furono le celebrazioni del 25° anniversario della morte di Philip K. Dick si sono ripropοsti all’opinione pubblica alcuni preconcetti interpretativi che hanno da sempre condizionato la lettura dei suoi migliori romanzi: se da un lato si elogia l’importante tributo di Philip Dick alla letteratura di fantascienza, dall’altra ci si sente frustrati quando si tende ad associare per l’ennesima volta il nome di Dick legato all’LSD.
Ecco una interessante interpretazione:
Il primo a strumentalizzare il tema della droga nei romanzi di Dick fu Harlan Ellison, curatore dell’antologia Dangerous Visions, in cui compariva un racconto di Dick (La fede dei nostri padri, 1967). Dick sosteneva di non aver mai scritto romanzi sotto l’influenza di acidi, e che quella di Harlan fosse solo una trovata per accattivarsi le simpatie della controcultura dell’epoca (vedi a proposito Lawrence Sutin, Divine invasioni, la vita di Philip K. Dick pag. 188).
Non certo restio a dichiarare la propria dipendenza dalle amfetamine, droga subdola e capace di rovinare per sempre la sua salute e molti dei suoi rapporti personali, Dick negava risolutamente di avere simpatia per gli allucinogeni, e tanto più negava di affidarsi alle loro virtù psichedeliche per comporre i suoi romanzi.
Ma la riflessione che dovremmo fare è un’altra.
Kurt Cobain eroinomane, Alessandro Manzoni agorafobico, Dick strafatto di amfetamine (e non di acidi); tendiamo spesso a definire sbrigativamente il talento di alcune persone attraverso le loro difficoltà personali, traumi, nevrosi e dipendenze. Ma se fossero davvero queste le cifre della loro genialità, se davvero gli acidi avessero dettato le canzoni di John Lennon o La penultima verità di Dick, allora dovremmmo avere migliaia di opere d’arte come Strawberry Fields o Le tre stimmate di Palmer Eldritch!
Purtroppo non è così; purtroppo nel definire Dick attraverso la sua dipendenza dalle droghe tralasciamo di ricordare che di persone con dipendenze ce ne sono milioni, di autori geniali pochissimi, di Philip uno solo!
Il discorso è giustissimo, mi trovo completamente d’accordo. Ma è facile intuire come la voglia di semplificare, ridurre e comprendere il genio sfoci spesso, per umana debolezza (o invidia) in interpretazioni fallaci come lo spiegare il genio con la droga. In realtà P.K. Dick era un genio perché era un genio.
“[…]tendiamo spesso a definire sbrigativamente il talento di alcune persone attraverso le loro difficoltà personali, traumi, nevrosi e dipendenze. Ma se fossero davvero queste le cifre della loro genialità […] allora dovremmmo avere migliaia di opere d’arte come Strawberry Fields o Le tre stimmate di Palmer Eldritch!”
bel punto di vista. mi ha portato a considerare certe cose in una maniera non troppo scontata e facile.
Bel pensiero! ti faccio i complimenti 🙂
Anche una persona come me, molto severa verso le dipendenze ( sopratutto droghe.. ), riesce ad appoggiare il tuo parere.. però non dimentichiamoci delle persone che scelgono le dipendenze non per le loro difficoltà ma per superficialità. Un po come noi scegliamo la cola all’acqua..
Teniamo il discorso sul generico ed è tutto ok 😀