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L’Open Source sta facendo proseliti in tutto il mondo e non solo nell’ambiente informatico, dove è questa idea rivoluzionaria è nata e si è ben consolidata, ma sta facendo ammiratori anche in altri settori dove non ci si aspettava minimamente di incontrarla.
Qui ho raccolto alcuni grandi progetti, come la rinata Open Cola, l’hardware Open Source, un film completamente realizzato con prodotti Open Source e, dulcis in fundo, due replicatori di oggetti Open Source.
- Possiamo, quindi, cominciare il nostro viaggio dalla Coca Cola Open Source, ovvero la Open Cola, una cola dove le istruzioni per prepararla sono liberamente consultabili ed eventualmente modificabili. Chiunque può crearsi la bevanda, e tutti possono modificare o regolare la giusta quantità degli ingredienti, e possono inoltre regolare i loro cambiamenti basandosi sulla GNU General Public License.
Nata inizialmente come mezzo per trasmettere il significato e l’importanza del software Open Source, la bevanda iniziò ad avere un discreto successo – tanto da far vendere più di 150.000 lattine. L’azienda della OpenCola, situata a Toronto, è diventata famosa più per la sua bevanda, che per il software prodotto. Laird Brown, il responsabile marketing, ha affermato che il successo è scaturito da una graduale sfiducia nelle multinazionali e dalla possibilità di sapere cosa si stia veramente bevendo. Purtroppo però l’industria della OpenCola ha successivamente attuato un nuovo piano strategico preferendo non pubblicare più sul proprio sito informazioni riguardo la prima bibita Open Source.
L’azienda è poi fallita e ad oggi nessuno produce una bevanda con tale ricetta.
Recentemente, però, è stato avviato il progetto italiano OpenDrink fra i cui obiettivi c’è quello di riscrivere e migliorare la ricetta della OpenCola. - Anche l’hardware può essere Open Source ed essere sviluppato in modo collaborativo; addirittura la Tucson Amateur Packet Radio (TAPR), una delle più grandi associazioni americane di appassionati di elettronica che sta ultimando la definizione di una licenza Open Source specifica per l’hardware. La nuova licenza, che si chiama Open Hardware License (OHL) e di cui è possibile scaricare la bozza 0.9, è una licenza che adotta molti dei principi legali alla base delle equiparabili licenze software, quali il copyleft di GNU, e le applica alla documentazione e alle specifiche tecniche dei componenti hardware, come schemi di progetto, diagrammi, etc.
C’è però chi fa notare che, anche le tradizionali licenze Open Source, prima tra tutti la GPL, sono adatte anche all’hardware, senza dovendo quindi riscriverne di nuove: testimonianza ne sarebbero l’iniziativa OpenSPARC di Sun ed il progetto Arduino, che si avvale della licenza Creative Commons.
In tal senso, quindi, si stanno muovendo progetti come Chumby, Neuros OSD e Arduino.
– Arduino è una scheda Open Source di Input-Ouput, totalmente programmabile ed hackerabile; il suo compito è quello di gestire installazioni artistiche e progetti basati sul controllo di periferiche dal computer: luci, sensori, suoni Arduino basa la sua architettura su Processing, un linguaggio Open Source dedicato alle immagine, suoni e animazioni. Disponibile per GNU/Linux, Mac OS X, e Windows, Processing 1.0 Beta è possibile scaricarlo da qui.– Chumby è una sorta di radiosveglia digitale con due porte usb, connessione wireless, un processore a 266 mhZ, 32 mb di ram e soprattutto la possibilità di installarci dei “widget” programmati in Flash. In pratica questo device potrà essere usato ANCHE come sveglia, ma usando mp3 e radio online; si collegherà alla rete per mail e download di news, quotazioni di borsa e Rss; lo potrete usare come cornice di foto (con Flickr) e con centinaia altre microapplicazioni; ma soprattutto è completamente hackerabile, anzi è nato per essere hackerato.
– Neuros OSD è il primo Media center basato su Linux, e oltre a registrare la televisione come Windows Media Center e l’Apple Tv, fa anche una serie di altre cose interessanti tra cui digitalizzare gli home movie, convertire video da moltissime sorgenti e fare uno screencapture di un video game.
Ma la novità vera è che non solo può essere hackerato, ma la Neuros invita a farlo offrendo dei soldi agli hacker: da $1000 per un video browser per YouTube o Google, $600 per un browser per Flickr, eccetera, ci sono un sacco di progetti a cui partecipare. - Ovviamente, alla lista delle applicazioni dell’Open Source, non poteva mancare l’ambito progetto di realizzare un film completamente Open Source. Fino ad ora, i software Open Source sono stati utilizzati per gli scopi più svariati nell’industria cinematografica, in maniera particolare nella realizzazione di lungometraggi, partendo da Shrek sino al Signore degli Anelli, senza dimenticare le produzioni ed i corti della Pixar.
Possiamo quindi affermare che le tecnologie a sorgente aperto hanno un loro ruolo nel mondo del cinema. Ma se si provasse ad applicare la filosofia Open Source ad un film, cercando di realizzare trama, riprese e tutto seguendo la stessa metodologia utilizzata per produrre una qualsiasi applicazione libera?
Anche se l’idea non è condivisa da tutti, c’è già un tentativo che va in questa direzione. Si tratta del Digital Tipping Point, che sotto la direzione di Christian Einfeldt ha raccolto una certa quantità di materiale per cercare di dare vita ad un documentario sull’effetto dell’Open Source, utilizzando proprio questa stessa metodologia.
La quantità di filmati raccolta è notevole, circa 350 ore totali, nelle quali troviamo interviste a più di 120 personaggi di spicco.
Tuttavia, la maggior parte del lavoro è ancora da fare, poiché, come noto, la post-produzione impiega spesso una quantità di risorse considerevole. Per questo motivo è continua la richiesta di aiuto a tutta la comunità Open Source. Il nome del film documentario sarà Buzz, in onore della prima versione di Debian, che a sua volta venne intitolata ad un personaggio dell’indimenticabile Toy Story.
Non c’è bisogno di aggiungere che le applicazioni utilizzate saranno rigorosamente a sorgente aperto. Anche se lo stesso produttore ha ammesso la superiorità in questo campo di taluni prodotti proprietari, le funzionalità richieste per la realizzazione di questo documentario sono presenti nei programmi liberi più diffusi.
Potete intanto guardare un PoC (Proof of Concept) della durata di quattro minuti.
- A tutto questo può far piacere sapere che nei laboratori della FabLab (abbreviazione di Fabrication Laboratory) è in atto la realizzazione di una tecnologia Open Source che permetta la replicazione di oggetti (come quello presente a bordo dell’Enterprise); il sogno di Neil Gershenfeld, dottore in fisica e studioso visionario dell’infinitamente piccolo, porterebbe prosperità e ricchezza alle popolazioni povere del globo, perché i replicatori dei FabLab (a differenza del RepRap in fondo) serviranno per portare la tecnologia là dove non esiste: “Il digital divide in realtà non è l’unico baratro: tra noi ed i paesi poveri c’è anche un abisso strumentale ed industriale”
Il costo del costruttore universale è elevato: un prototipo completo richiede un investimento di circa 16mila euro. Ma i replicatori del futuro, sviluppati con tecnologie nanoelettroniche (nanoassemblatori atomici), arriveranno a costare cifre irrisorie, al di sotto dei 1000 euro. Nelle scrivanie di tutto il mondo, accanto alla stampante, potranno così apparire piccole “fabbriche” portatili. Destinate irrimediabilmente a diventare, presto o tardi, assemblatori molecolari.
Finora sono riusciti a realizzare antenne wireless, piccoli apparecchi elettronici ed occhiali da sole. Partendo da materie prime naturali o artificiali come legno e leghe polimeriche, nel prossimo futuro i FabLab potranno essere utilizzati per compiere l’ultimo passo verso l’automazione totale dell’industria.
Qualcuno fa, però, notare che questo progetto potrebbe mettere in forse anche il concetto stesso di diritto d’autore: con la facilità d’uso di un odierno masterizzatore CD, con il progetto ed i componenti necessari sarà possibile produrre di tutto.
- Un analogo progetto è la RepRap 1.0 “Darwin”, (abbreviazione di Replicating Rapid-Prototyper) ovvero una macchina dal potenziale incredibile: un costruttore universale in grado di assemblare molti oggetti. Tutto quel che serve è l’inventiva dell’utente e speciali materie prime. Il progetto iniziale alla base di questa creazione venne teorizzato da John von Neumann, padre dell’informatica. Dopo mezzo secolo, questa macchina teoricamente capace di autoreplicarsi e di sottostare alle leggi di Darwin prende vita. Sarà così possibile utilizzare RepRap per costruirsi, in pochi minuti, la propria tazza per il caffè – dal design unico e personalissimo. E così per qualsiasi altro oggetto d’uso comune: sarà possibile sfornarli, in poco tempo, da questo “scatolone magico” delle dimensioni di un frigorifero. Basta rispettare alcuni limiti: non possono essere realizzati, ad esempio, prodotti ad alta resistenza termica, proprio per le materie prime utilizzate (plastica e speciali leghe metalliche altamente malleabili).
Per ora RepRap è solo un prototipo, ma è già rivoluzione. Sopratutto sui prezzi: una simile macchina sarà in grado di abbattere drasticamente i costi finali di tutti quegli oggetti solitamente utilizzati in una moderna abitazione. Bowyer è inoltre sicuro che il prezzo dell’attuale prototipo, attorno ai 31.000 euro, scenderà immediatamente non appena RepRap entrerà nelle catene di montaggio.
Ma la vera novità è che non verranno applicati brevetti: RepRap sarà “regalato al mondo” e coperto da licenza GNU.
[via wikipedia, boliboop, boliboop Programmazione, Punto Informatico e Punto Informatico]