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Il manoscritto Voynich è un libro di 22,5 per 16 centimetri, dallo spessore di circa 4 centimetri. È formato da 102 fogli, che danno un totale di 204 pagine scritte e illustrate. In origine, i fogli erano 116, come si è potuto dedurre dalla rilegatura dei vari fascicoli. Vi sono anche cinque fogli ripiegati a metà, tre fogli ripiegati tre volte, un foglio piegato quattro volte ed un foglio con ben sei ripiegature. Tutto il manoscritto è fittamente coperto da una scrittura sconosciuta; si è calcolato che sono quasi 250.000 i caratteri che formano il misterioso testo, le cui principali caratteristiche quantitative sono le seguenti: le “parole” sono 4182; di queste 1284 sono presenti più di una volta; 308 appaiono da otto volte in su; 184 da quindici volte in su; 23 sono presenti da cento volte in su.
Nel corso degli anni, molti si sono occupati del manoscritto Voynich: docenti universitari, biologi, crittologi militari, linguisti, medici, un cancerologo, un avvocato e molti dilettanti. Ciascuno di loro ha suggerito una soluzione per leggere quella che sembra una enciclopedia di filosofia naturale del Rinascimento.William Newbold, studioso di filosofia medievale, è stato il primo, negli Anni Venti, ad affermare di aver decifrato il testo.
Ma il sistema di Newbold è così palesemente arbitrario da non convincere nessuno: egli, infatti, credeva di aver scoperto che nei caratteri del manoscritto si nascondessero dei “micro-caratteri” stenografici, i quali andavano anagrammati per dare poi delle parole latine piuttosto improbabili a causa di un non meglio motivato “raddoppiamento sillabico”.
Per far funzionare una decifrazione fantasiosa, Newbold scambiava secondo le esigenze le lettere fra loro facendo, ad esempio, diventare “d” una “f”. Con questo sistema di pura invenzione, Newbold credette di leggere alcune pagine del libro che, secondo lui, contenevano straordinarie rivelazioni scientifiche: in quel testo, disse Newbold, erano descritte le nebulose stellari e le cellule alcuni secoli prima che venissero scoperte.
Ma, ben presto, questi fantastici risultati furono riconosciuti quali prodotti “del profondo entusiasmo e del dotto e ingegnoso inconscio” del professore. L’avvocato Joseph Feely tentò di decifrare il Voynich attraverso l’analisi della frequenza dei segni, ma non arrivò a risultati significativi. Leonell Strong, un genetista della Yale University, attribuì l’opera ad Anthony Ascham, un astrologo inglese del Cinquecento.
Il crittologo William F. Friedman, nel 1945, riunì un gruppo di studio a Washington che diede l’assalto all’enigma del Voynich con criteri rigorosi, proprio come se fosse un testo cifrato. Per prima cosa, il gruppo di Friedman decise di trascrivere i bizzarri caratteri del manoscritto in segni convenzionali ma sicuri; ad esempio, un segno del Voynich uguale alla cifra 9 venne trascritto come G; ciò non significa che i ricercatori lo “traducessero” con quella lettera; era insomma un espediente per trasportare l’astrusa scrittura del manoscritto in un sistema riconoscibile e chiaro.
Friedman morì nel 1969 senza aver trovato la soluzione all’enigma cui aveva dedicato decenni di studi e che aveva affrontato, per primo, con criteri oggettivi; tuttavia, egli si era fatto una sua personale opinione sul Voynich, che riteneva essere stato scritto in un linguaggio artificiale, qualcosa sul tipo dell’Esperanto. Oltre a queste congetture, Friedman arrivò ad osservazioni oggettive; egli notò che il testo del manoscritto era altamente ripetitivo, la stessa parola appariva due o tre volte di seguito, e parole che differivano di una sola lettera si presentavano con inusuale frequenza.
Inoltre il vocabolario del Voynich era più esiguo di quanto ci si aspettasse secondo i calcoli statistici, e le singole parole erano insolitamente corte rispetto al latino e all’inglese. Curiosa, poi, la totale assenza di parole formate da una o due lettere, che invece esistono in tutte le lingua naturali.
Secondo il professor Robert S. Brumbaugh, docente di storia della filosofia medioevale a Yale, il manoscritto Voynich è un falso, un antico falso realizzato con il solo fine di spillare quattrini all’imperatore Rodolfo, e – se la teoria è giusta – l’ingegnoso truffatore ci riuscì, perché come ricorderete il sovrano pagò ben 600 ducati il magico libro.
Una scoperta interessante, e basata su dati oggettivi, venne fatta nel 1976 da William Ralph Bennett che esaminò il Voynich in una sua opera sull’applicazione del computer nella soluzione di problemi scientifici e di ingegneria. Egli considerò il manoscritto come un esempio metodologico, arrivando ad un risultato dalle conseguenze notevolissime. Bennett determinò il livello di entropia del linguaggio in cui è scritto il Voynich, e fece notare che è un livello basso, più basso di quello di ogni altra lingua europea nota.
Ma cos’è l’entropia in linguistica? In fisica, entropia indica la quantità di disordine in un sistema: com’è noto, le leggi della termodinamica ci attestano che ogni sistema tende ad una entropia sempre crescente. Ogni trasformazione spontanea di un sistema isolato comporta un irreversibile aumento dell’entropia; fenomeni di questo tipo sono, ad esempio, il fluire del calore da un corpo caldo ad uno più freddo, o anche l’espansione di molecole di un gas nel vuoto.
Nella comunicazione, entropia indica la relativa assenza di informazione, o l’incertezza del messaggio. Facciamo un esempio: se trovo una sequenza così composta: ab ab ab ab ab ab ab ab a, posso supporre con buona probabilità che la lettera successiva sarà una “b“. In questo caso, la stringa delle lettere è molto prevedibile e quindi l’entropia è bassa. Se invece ho una successione di lettere del tipo: dsghttfkptuyewsxhbrjyhko, sarà praticamente impossibile prevedere quale sarà la lettera che seguirà all’ultima, e quindi sarò davanti ad un caso di alta entropia.
Nella lingua italiana, ad esempio, la lettera Q ha una entropia minima, perché nel 99% dei casi sarà seguita da una U. Bennett scoprì dunque che il testo del Voynich ha un’entropia bassa. L’unica lingua che egli trovò con un livello di entropia paragonabile era l’hawaiano.
Questa scoperta è decisiva per sostenere la tesi per cui il Voynich reca un linguaggio artificiale, o comunque non naturale. Immaginiamo che qualcuno abbia voluto riempire un libro con centinaia di “parole” inventate (non un codice segreto, ma segni grafici apparentemente significanti): quell’insieme di parole avrebbe una entropia bassa perché lo scrivano finirebbe col ripetere, per abitudine e per comodità, certi gruppi di due o tre lettere, formando quei moduli ricorrenti che si sono riscontrati.
Dopo tanti anni di studi, analisi e falliti tentativi di decifrazione, il manoscritto Voynich continua ad essere “il più misterioso libro della terra“.
Per maggiori informazioni visitate il sito del Cicap da cui è stata tratta una parte del presente articolo: Cicap.org
UPDATE: Il 19 Aprile 2007 è comparsa una notizia su Le Scienze secondo la quale il manoscritto Voynich, risalente al XVI secolo, altro non sarebbe che lo strumento di una truffa ai danni di Rodolfo II, imperatore del Sacro Romano Impero e grande collezionista di testi esoterici e mirabilia, al quale sarebbe stato venduto per una cifra esorbitante, spacciandolo per un’opera di Ruggero Bacone.
A giungere a questa conclusione è stato Andreas Schinner, fisico e informatico dell’Università Johannes Kepler di Linz, in un articolo sull’ultimo numero della rivista di studi crittografici Cryptologia. Schinner avrebbe utilizzato sofisticate tecniche statistiche per analizzare il manoscritto, grazie alle quali ha potuto riscontrare che esso presenta tutte le caratteristiche che avrebbe un testo privo di significato una volta che venisse criptato con un sistema analogo a quello che veniva utilizzato alla corte di Elisabetta I per inviare messaggi segreti. Nel 2004 Gordon Rugg, della Keele University, aveva in effetti mostrato che la codifica manuale di un testo delle dimensioni del manoscritto di Voynich non avrebbe richiesto più di tre o quattro mesi di lavoro. Un tempo non eccessivo, considerata la lauta ricompensa elargita dall’imperatore.
Anch’io sono stato attratto dall’articolo comparso su Le Scienze che avvisa dello studio di A.Schinner e dopo molti anni ho ripreso contatto con il divertente e misterioso VMS.
Da una prima occhiata su Internet mi sono reso conto che gli studi primari provengono tutti da specialisti in matematica e in crittografia: mancano gli storici della botanica o dei codici antichi; è un peccato perché per quanto un’opera umana possa essere avulsa dal contesto cui si riferisce sarà sempre in qualche modo figlia del suo tempo e il codice Voynich è un prodotto degli anni 60-70 del XV secolo ed è sostanzialmente connessa con quella cultura e con quanto l’ha preceduto.
Un lavoro molto importante sul codice Voynich è stato scritto recentemente da Nick Pelling ed ha appunto il pregio di approcciare il problema in modo originale.
Nick Pelling non tenta di forzare il codice di VMS ma invece ne descrive minuziosamente le caratteristiche fisiche facendo un numero sorprendente di scoperte. Passa poi ad analizzare storicamente l’ambiente dove avrebbe potuto essere prodotto questo codice e infine avanza la sua ipotesi che ne attribuisce la paternità al Filarete e all’ambiente cortese della Milano sforzesca.
Cercherò di fare un articolo su questo eccellente testo che raccomando vivamente per il suo straordinario interesse e le brillanti conclusioni cui perviene.
Ecco gli estremi:
Nicholas Pelling: Curse of the Voynich. The secret history of the world’s most mysterious manuscript.
ISBN: O-9553160-0-6
Compelling Press 10 Malvern Close, Surbiton, Surrey, KT6 7UG
Si può ordinare nel sito http://www.compellingpress.com
e naturalmente presso amazon.
Sergio Toresella
Milano
toresella@fastwebnet.it
Se può interessare, ho scritto una mia recensione del libro di Pelling che apparirà in luglio su The Cryptogram e in ottobre su Cryptologia. A. B.
Nel silenzio più assordante un giovane sacerdote italiano ha svelato il mistero del Voynich in un libro. Vi segnalo questo link http://icustodi.wordpress.com